Ho ¿scoperto¿ Adriano Olivetti e il suo movimento politico (il Movimento Comunità) alcuni anni fa, in modo casuale. Adriano Olivetti, imprenditore, politico, intellettuale, urbanista, editore, saggista, è un industriale poliedrico e ¿visionario¿ che ha cambiato le regole e i fini dell'impresa, disegnando una fabbrica a misura d'uomo. Sono i primi anni Cinquanta, ma le utopie e le conquiste della Olivetti colpiscono ancora oggi; il Canavese diventa un punto di riferimento per intellettuali e economisti, un umanesimo fecondo, il luogo del dialogo tra Nord e Sud, il cui ricordo suscita rimpianto. Il sogno industriale di Adriano è un'utopia immaginata e in parte realizzata: un sogno che mira al successo e al profitto, eppure nello stesso tempo un disegno che prevede condizioni di lavoro innovative, un nuovo rapporto tra imprenditore e operaio, una visione diversa della classe dirigente e un'originale relazione tra la fabbrica e il territorio. Questa visione ispirata a un socialismo cristiano è stata anche un progetto politico-istituzionale federalista fondato sulla Comunità, un'innovativa gestione pianificata del territorio e una feconda esperienza culturale. In occasione della tesi di laurea, ho ripensato a quest'esperienza. La concezione olivettiana, ampia e complessa, può essere suddivisa, a livello teorico, in quattro ¿nuclei¿ tematici: imprenditoriale, istituzionale, territoriale e culturale. Tra questi, ho scelto di porre a oggetto della mia tesi la concezione politica dell'impresa, esaminandone i seguenti aspetti: 1) Fini dell'impresa; primato ed etica del lavoro; 2) Efficienza tayloristica ¿umanizzata¿ e fattori di consenso; innovazione di prodotto e organizzazione del lavoro; fondazione proprietaria; 3) Rapporti con sindacati confederali e Confindustria; 4) Consiglio di Gestione e Sindacato aziendale autonomo 5) Stato sociale e responsabilità socio-territoriale dell'impresa. Le questioni emerse sono molteplici. Il profitto dell'impresa deve essere reinvestito per il benessere della comunità o deve creare valore unicamente per gli azionisti? È stato un imprenditore illuminato o un utopista? Quali sono stati i rapporti con le altre forze politiche, sindacali e imprenditoriali? I progressi raggiunti sono stati reali diritti o concessioni paternaliste? Il suo riformismo è stato connotato da aziendalismo e dirigismo? Fu un'esperienza neocapitalista? Adriano Olivetti è un profeta inascoltato? Qual è il lascito di questa visione e quanto è ancora attuale? Nel tentativo di rispondere a questi e altri interrogativi si è proposto un confronto tra i saggi degli studiosi Giuseppe Berta, Donatella Ronci (con prefazione di Franco Ferrarotti), Luciano Gallino e Sergio Ristuccia, integrati con vari altri contributi di diversa provenienza. I giudizi riportati non riguardano esclusivamente la concezione d'impresa, ma l'intera visione olivettiana, fortemente integrata nei suoi diversi ¿nuclei¿. Pur con qualche difficoltà nel perseguire l'ideale imparzialità critica, ho reputato opportuno evitare il rischio dell'agiografia e della ¿mitizzazione¿. Ho cercato di attuare una feconda interazione tra autori e contribuiti di diverso orientamento, in un'analisi pluralista e equilibrata. Nella trattazione sono presenti anche alcune considerazioni sui fattori di sviluppo della Olivetti d'allora, sulle vicende della divisione elettronica e sulla controversa ¿operazione Underwood¿. Ho, infine, riportato le conclusioni e le speranze dei diversi autori.

Studi sulla concezione politica dell'impresa di Adriano Olivetti e del Movimento Comunità

PILASTRO, PAOLO
2012/2013

Abstract

Ho ¿scoperto¿ Adriano Olivetti e il suo movimento politico (il Movimento Comunità) alcuni anni fa, in modo casuale. Adriano Olivetti, imprenditore, politico, intellettuale, urbanista, editore, saggista, è un industriale poliedrico e ¿visionario¿ che ha cambiato le regole e i fini dell'impresa, disegnando una fabbrica a misura d'uomo. Sono i primi anni Cinquanta, ma le utopie e le conquiste della Olivetti colpiscono ancora oggi; il Canavese diventa un punto di riferimento per intellettuali e economisti, un umanesimo fecondo, il luogo del dialogo tra Nord e Sud, il cui ricordo suscita rimpianto. Il sogno industriale di Adriano è un'utopia immaginata e in parte realizzata: un sogno che mira al successo e al profitto, eppure nello stesso tempo un disegno che prevede condizioni di lavoro innovative, un nuovo rapporto tra imprenditore e operaio, una visione diversa della classe dirigente e un'originale relazione tra la fabbrica e il territorio. Questa visione ispirata a un socialismo cristiano è stata anche un progetto politico-istituzionale federalista fondato sulla Comunità, un'innovativa gestione pianificata del territorio e una feconda esperienza culturale. In occasione della tesi di laurea, ho ripensato a quest'esperienza. La concezione olivettiana, ampia e complessa, può essere suddivisa, a livello teorico, in quattro ¿nuclei¿ tematici: imprenditoriale, istituzionale, territoriale e culturale. Tra questi, ho scelto di porre a oggetto della mia tesi la concezione politica dell'impresa, esaminandone i seguenti aspetti: 1) Fini dell'impresa; primato ed etica del lavoro; 2) Efficienza tayloristica ¿umanizzata¿ e fattori di consenso; innovazione di prodotto e organizzazione del lavoro; fondazione proprietaria; 3) Rapporti con sindacati confederali e Confindustria; 4) Consiglio di Gestione e Sindacato aziendale autonomo 5) Stato sociale e responsabilità socio-territoriale dell'impresa. Le questioni emerse sono molteplici. Il profitto dell'impresa deve essere reinvestito per il benessere della comunità o deve creare valore unicamente per gli azionisti? È stato un imprenditore illuminato o un utopista? Quali sono stati i rapporti con le altre forze politiche, sindacali e imprenditoriali? I progressi raggiunti sono stati reali diritti o concessioni paternaliste? Il suo riformismo è stato connotato da aziendalismo e dirigismo? Fu un'esperienza neocapitalista? Adriano Olivetti è un profeta inascoltato? Qual è il lascito di questa visione e quanto è ancora attuale? Nel tentativo di rispondere a questi e altri interrogativi si è proposto un confronto tra i saggi degli studiosi Giuseppe Berta, Donatella Ronci (con prefazione di Franco Ferrarotti), Luciano Gallino e Sergio Ristuccia, integrati con vari altri contributi di diversa provenienza. I giudizi riportati non riguardano esclusivamente la concezione d'impresa, ma l'intera visione olivettiana, fortemente integrata nei suoi diversi ¿nuclei¿. Pur con qualche difficoltà nel perseguire l'ideale imparzialità critica, ho reputato opportuno evitare il rischio dell'agiografia e della ¿mitizzazione¿. Ho cercato di attuare una feconda interazione tra autori e contribuiti di diverso orientamento, in un'analisi pluralista e equilibrata. Nella trattazione sono presenti anche alcune considerazioni sui fattori di sviluppo della Olivetti d'allora, sulle vicende della divisione elettronica e sulla controversa ¿operazione Underwood¿. Ho, infine, riportato le conclusioni e le speranze dei diversi autori.
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