La tesi è un commento a due sezioni dei Vestalia, una delle parti più estese dei Fasti ovidiani. L'obiettivo è quello di unire ad un'indagine letteraria una riflessione di tipo archeologico-storico. I nuclei principali dell'analisi sono costituiti dall'eziologia del culto di Vesta e dal salvataggio del Palladio, a cui è connesso il casus Metelli; a queste tematiche si affiancano considerazioni riguardanti lo stile e la poetica ovidiani, come il voluto auto contraddirsi da parte di Ovidio e il continuo gioco di allusioni a se stesso e ai propri modelli. Ho voluto inoltre sottolineare l'influenza del modello callimacheo degli Aitia sui Fasti, elemento fondamentale per la strutturazione dell'opera ovidiana e per le scene di dialogo tra poeta e informatori divini. Un altro aspetto riguarda la maestria ovidiana nel ricreare immagini e scene mediante l'impiego di tecniche narrativo-visive, paragonabili ad alcune tecniche dell'attuale cinematografia. Nella prima parte (vv. 249-268 e vv. 284-304) l'attenzione è posta sulla figura di Vesta e soprattutto sulla sua particolare epifania e sull'aniconismo che la caratterizza. Altri aspetti riguardano l'eziologia del culto di Vesta, la sua identificazione con la terra e con il fuoco e i legami con la dea greca Ἑστία. La sezione comprende inoltre una breve digressione di carattere archeologico-architettonico sui luoghi connessi al culto della dea, l'Aedes Vestae, la Regia e l'Atrium Vestae. La seconda parte (vv. 417-460) è di interesse mitico-letterario: la narrazione ovidiana si apre con il racconto relativo al Palladio per spostarsi a quello dell'incendio del 241 a.C. nel tempio di Vesta, dove Enea avrebbe depositato il Palladio. Si affronta poi la questione relativa all'innocenza o alla colpevolezza del pontefice massimo Cecilio Metello: sebbene egli fosse stato il salvatore del Palladio durante l'incendio del 241 a.C., tuttavia non avrebbe potuto entrare nel Penus Vestae dove il simulacro era custodito, poiché l'accesso era interdetto agli uomini. Sulla base di numerose fonti letterarie e numismatiche è tuttavia possibile dimostrare che l'atto del pontefice fu mosso da Pietas e Devotio e pertanto non classificabile come empio; inoltre, l'insieme dei tratti che legano la figura di Metello a quelle di Numa, Camillo e Augusto fa propendere per l'innocenza del pontefice. La trattazione è provvista di due appendici in cui sono riportati i testi citati nel commento, insieme ad alcune fotografie (Aedes Vestae, Atrium, rilievo con vestali, torso di Ulisse).

I Vestalia nel VI libro dei Fasti di Ovidio: l'eziologia del culto di Vesta e il salvataggio del Palladio

TESIO, GIOVANNA
2012/2013

Abstract

La tesi è un commento a due sezioni dei Vestalia, una delle parti più estese dei Fasti ovidiani. L'obiettivo è quello di unire ad un'indagine letteraria una riflessione di tipo archeologico-storico. I nuclei principali dell'analisi sono costituiti dall'eziologia del culto di Vesta e dal salvataggio del Palladio, a cui è connesso il casus Metelli; a queste tematiche si affiancano considerazioni riguardanti lo stile e la poetica ovidiani, come il voluto auto contraddirsi da parte di Ovidio e il continuo gioco di allusioni a se stesso e ai propri modelli. Ho voluto inoltre sottolineare l'influenza del modello callimacheo degli Aitia sui Fasti, elemento fondamentale per la strutturazione dell'opera ovidiana e per le scene di dialogo tra poeta e informatori divini. Un altro aspetto riguarda la maestria ovidiana nel ricreare immagini e scene mediante l'impiego di tecniche narrativo-visive, paragonabili ad alcune tecniche dell'attuale cinematografia. Nella prima parte (vv. 249-268 e vv. 284-304) l'attenzione è posta sulla figura di Vesta e soprattutto sulla sua particolare epifania e sull'aniconismo che la caratterizza. Altri aspetti riguardano l'eziologia del culto di Vesta, la sua identificazione con la terra e con il fuoco e i legami con la dea greca Ἑστία. La sezione comprende inoltre una breve digressione di carattere archeologico-architettonico sui luoghi connessi al culto della dea, l'Aedes Vestae, la Regia e l'Atrium Vestae. La seconda parte (vv. 417-460) è di interesse mitico-letterario: la narrazione ovidiana si apre con il racconto relativo al Palladio per spostarsi a quello dell'incendio del 241 a.C. nel tempio di Vesta, dove Enea avrebbe depositato il Palladio. Si affronta poi la questione relativa all'innocenza o alla colpevolezza del pontefice massimo Cecilio Metello: sebbene egli fosse stato il salvatore del Palladio durante l'incendio del 241 a.C., tuttavia non avrebbe potuto entrare nel Penus Vestae dove il simulacro era custodito, poiché l'accesso era interdetto agli uomini. Sulla base di numerose fonti letterarie e numismatiche è tuttavia possibile dimostrare che l'atto del pontefice fu mosso da Pietas e Devotio e pertanto non classificabile come empio; inoltre, l'insieme dei tratti che legano la figura di Metello a quelle di Numa, Camillo e Augusto fa propendere per l'innocenza del pontefice. La trattazione è provvista di due appendici in cui sono riportati i testi citati nel commento, insieme ad alcune fotografie (Aedes Vestae, Atrium, rilievo con vestali, torso di Ulisse).
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