Ho scelto, per questa tesi di laurea, tre racconti legati al periodo che Mary Shelley trascorse in Italia. Due di essi non furono pubblicati durante la vita dell'autrice, e uno è manifestamente incompiuto. All'interno della produzione della scrittrice, queste tre opere occupano uno spazio singolare: innanzitutto perché sono racconti brevi di un'autrice nota perlopiù per i suoi romanzi ¿ in verità, per uno o due dei sei che ha scritto; in secondo luogo, perché non fanno neppure parte del filone principale dei racconti, quelli scritti per The Keepsake nel decennio successivo al 1828. Di nessuno dei tre mi risulta esistere una traduzione italiana, sebbene essi mettano in luce importanti aspetti del rapporto che Mary Shelley ebbe con la nostra cultura e con quella classica. In particolare, Ricordi italiani riporta le opinioni dell'autrice in merito al turismo dell'epoca, e alla possibilità di un rapporto emotivo e diretto con i luoghi conosciuti nel corso del viaggio; Valerius, il romano resuscitato è un racconto, molto frammentario ma denso di spunti su temi quali la solitudine (fondamentale per l'autrice ed esplorato in tutte le sue opere maggiori) e il confronto tra latinità e Italia moderna, e sulle difficoltà che uno straniero (anglosassone e quindi occidentale e nordico, estraneo al mondo meridionale e orientale del Mediterraneo) può trovare nella ricerca di sympathy con le culture del sud dell'Europa; l'ultimo, L'erede di Mondolfo, si avvicina di più al cliché che l'autrice avrebbe usato spesso in seguito, quello del racconto di avventure di ambientazione esotica perché distante nel tempo e/o nello spazio, ma presenta rispetto tale genere caratteri di originalità in quanto mette in luce interessanti concezioni su temi quali il confronto tra cultura e natura nell'educazione, e la possibilità di una religiosità ¿naturale¿, distinta tanto dal cattolicesimo quanto dai culti degli antichi. Il periodo italiano di Mary Shelley fu caratterizzato da un'intensa attività intellettuale, essenziale nel processo di formazione della scrittrice, e accompagnato inoltre da una serie di avventure materiali e psicologiche: ai disagi e alle emozioni del viaggio si devono infatti aggiungere i numerosi lutti subiti, e anche esperienze intensamente positive, come la formazione del circolo pisano degli Shelley. Il viaggio, in verità, aveva avuto motivazioni prevalentemente estranee a quelle culturali: i timori per la salute di Percy Shelley, il desiderio di fuggire dai creditori, la ricerca di uno stile di vita più economico (il costo della vita era meno elevato in Italia) e, per Claire Clairmont, la vana speranza di un ricongiungimento con Lord Byron. Non si trattò dunque di un pellegrinaggio dettato solo da ragioni culturali ed estetiche, non fu un grand tour in senso stretto, ma un'avventura che sfidò le convenzioni dell'epoca ed ebbe risultati inaspettati anche per coloro che la intrapresero. Il riflesso che tale esperienza ebbe sull'opera dell'autrice fu ovviamente essenziale, e arrivò a ripercuotersi addirittura sul suo romanzo più famoso, scritto prima del soggiorno italiano: nella versione del 1831 di Frankenstein, il protagonista Victor dichiara di essere nato a Napoli. Mi sembra che una trattazione specifica su alcuni racconti di ambientazione italiana, finora trascurati dalla critica e mai tradotti, possa fornire spunti nuovi, e una conoscenza ampliata, a chi studia quella che fu una delle autrici inglesi più influenti del diciannovesimo secolo.

Tre racconti di Mary Shelley: Ricordi italiani, Valerius e L'erede di Mondolfo

MAGNANO, LUCA DANIELE
2012/2013

Abstract

Ho scelto, per questa tesi di laurea, tre racconti legati al periodo che Mary Shelley trascorse in Italia. Due di essi non furono pubblicati durante la vita dell'autrice, e uno è manifestamente incompiuto. All'interno della produzione della scrittrice, queste tre opere occupano uno spazio singolare: innanzitutto perché sono racconti brevi di un'autrice nota perlopiù per i suoi romanzi ¿ in verità, per uno o due dei sei che ha scritto; in secondo luogo, perché non fanno neppure parte del filone principale dei racconti, quelli scritti per The Keepsake nel decennio successivo al 1828. Di nessuno dei tre mi risulta esistere una traduzione italiana, sebbene essi mettano in luce importanti aspetti del rapporto che Mary Shelley ebbe con la nostra cultura e con quella classica. In particolare, Ricordi italiani riporta le opinioni dell'autrice in merito al turismo dell'epoca, e alla possibilità di un rapporto emotivo e diretto con i luoghi conosciuti nel corso del viaggio; Valerius, il romano resuscitato è un racconto, molto frammentario ma denso di spunti su temi quali la solitudine (fondamentale per l'autrice ed esplorato in tutte le sue opere maggiori) e il confronto tra latinità e Italia moderna, e sulle difficoltà che uno straniero (anglosassone e quindi occidentale e nordico, estraneo al mondo meridionale e orientale del Mediterraneo) può trovare nella ricerca di sympathy con le culture del sud dell'Europa; l'ultimo, L'erede di Mondolfo, si avvicina di più al cliché che l'autrice avrebbe usato spesso in seguito, quello del racconto di avventure di ambientazione esotica perché distante nel tempo e/o nello spazio, ma presenta rispetto tale genere caratteri di originalità in quanto mette in luce interessanti concezioni su temi quali il confronto tra cultura e natura nell'educazione, e la possibilità di una religiosità ¿naturale¿, distinta tanto dal cattolicesimo quanto dai culti degli antichi. Il periodo italiano di Mary Shelley fu caratterizzato da un'intensa attività intellettuale, essenziale nel processo di formazione della scrittrice, e accompagnato inoltre da una serie di avventure materiali e psicologiche: ai disagi e alle emozioni del viaggio si devono infatti aggiungere i numerosi lutti subiti, e anche esperienze intensamente positive, come la formazione del circolo pisano degli Shelley. Il viaggio, in verità, aveva avuto motivazioni prevalentemente estranee a quelle culturali: i timori per la salute di Percy Shelley, il desiderio di fuggire dai creditori, la ricerca di uno stile di vita più economico (il costo della vita era meno elevato in Italia) e, per Claire Clairmont, la vana speranza di un ricongiungimento con Lord Byron. Non si trattò dunque di un pellegrinaggio dettato solo da ragioni culturali ed estetiche, non fu un grand tour in senso stretto, ma un'avventura che sfidò le convenzioni dell'epoca ed ebbe risultati inaspettati anche per coloro che la intrapresero. Il riflesso che tale esperienza ebbe sull'opera dell'autrice fu ovviamente essenziale, e arrivò a ripercuotersi addirittura sul suo romanzo più famoso, scritto prima del soggiorno italiano: nella versione del 1831 di Frankenstein, il protagonista Victor dichiara di essere nato a Napoli. Mi sembra che una trattazione specifica su alcuni racconti di ambientazione italiana, finora trascurati dalla critica e mai tradotti, possa fornire spunti nuovi, e una conoscenza ampliata, a chi studia quella che fu una delle autrici inglesi più influenti del diciannovesimo secolo.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/58747