Questo lavoro prende in esame la possibilità di guardare all'opera dell'artista torinese Giulio Paolini (Genova, 5 novembre 1940) con uno sguardo aguzzo; un concetto teorizzato da Marco Belpoliti nel saggio L'occhio di Calvino. Con questa accezione Belpoliti riformula una delle battute finali che Italo Calvino ha dedicato a Paolini, nel testo introduttivo a Idem, il primo libro edito dall'artista. Lo scrittore afferma: «Le fotografie di questa tela squadrata potranno riempire il catalogo d'una biblioteca immaginaria, ripetute identiche ogni volta col nome di un pittore inventato, con titoli di quadri possibili o impossibili che basta aguzzare lo sguardo per vedere». Calvino fa qui riferimento alla tela squadrata di Un quadro (1970), serie di quattordici esemplari in cui Paolini ha replicato, ogni volta con un diverso titolo e un diverso autore, il suo primo lavoro, Disegno geometrico (1960). Lo scrittore immagina di continuare la moltiplicazione; di estenderla a una biblioteca immaginaria di cui fanno parte quadri possibili e impossibili «che basta aguzzare lo sguardo per vedere». E, come sottolinea Belpoliti, proprio quest'atto di rendere aguzzo lo sguardo sposta il possibile dell'opera all'occhio che guarda, trasformando quest'ultimo nel campo della messa in scena dell'immagine che ha lì, e non nella realtà, la sua realizzazione compiuta. Dunque vedere come atto mentale, comune a Calvino e Paolini. Per Belpoliti l'attività dello scrittore e quella del pittore passano attraverso il medesimo «algoritmo della mente», la stessa procedura di pensiero che si è scelto qui di chiamare sguardo aguzzo. Si tratta certamente di una definizione semplicistica a cui ne sottintendono molte altre. Possiamo pertanto pensare all'espressione sguardo aguzzo come a un termine-contenitore, indicativo di un certo approccio all'immagine e di un certo modo di pensare. In questa sede vorrei porre le basi per pensare lo sguardo aguzzo e metterlo in pratica creandogli attorno un possibile contesto. In secondo luogo desidero interrogarmi sulle motivazioni che possono portare alla formulazione di uno sguardo di questo tipo.

Giulio Paolini. Lo sguardo aguzzo come algoritmo mentale

PRINA, SARA
2011/2012

Abstract

Questo lavoro prende in esame la possibilità di guardare all'opera dell'artista torinese Giulio Paolini (Genova, 5 novembre 1940) con uno sguardo aguzzo; un concetto teorizzato da Marco Belpoliti nel saggio L'occhio di Calvino. Con questa accezione Belpoliti riformula una delle battute finali che Italo Calvino ha dedicato a Paolini, nel testo introduttivo a Idem, il primo libro edito dall'artista. Lo scrittore afferma: «Le fotografie di questa tela squadrata potranno riempire il catalogo d'una biblioteca immaginaria, ripetute identiche ogni volta col nome di un pittore inventato, con titoli di quadri possibili o impossibili che basta aguzzare lo sguardo per vedere». Calvino fa qui riferimento alla tela squadrata di Un quadro (1970), serie di quattordici esemplari in cui Paolini ha replicato, ogni volta con un diverso titolo e un diverso autore, il suo primo lavoro, Disegno geometrico (1960). Lo scrittore immagina di continuare la moltiplicazione; di estenderla a una biblioteca immaginaria di cui fanno parte quadri possibili e impossibili «che basta aguzzare lo sguardo per vedere». E, come sottolinea Belpoliti, proprio quest'atto di rendere aguzzo lo sguardo sposta il possibile dell'opera all'occhio che guarda, trasformando quest'ultimo nel campo della messa in scena dell'immagine che ha lì, e non nella realtà, la sua realizzazione compiuta. Dunque vedere come atto mentale, comune a Calvino e Paolini. Per Belpoliti l'attività dello scrittore e quella del pittore passano attraverso il medesimo «algoritmo della mente», la stessa procedura di pensiero che si è scelto qui di chiamare sguardo aguzzo. Si tratta certamente di una definizione semplicistica a cui ne sottintendono molte altre. Possiamo pertanto pensare all'espressione sguardo aguzzo come a un termine-contenitore, indicativo di un certo approccio all'immagine e di un certo modo di pensare. In questa sede vorrei porre le basi per pensare lo sguardo aguzzo e metterlo in pratica creandogli attorno un possibile contesto. In secondo luogo desidero interrogarmi sulle motivazioni che possono portare alla formulazione di uno sguardo di questo tipo.
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