L'oggetto di studio di questa tesi è il lavoro svolto dai detenuti all'interno degli istituti penitenziari. La mia ricerca è divisa in due parti specifiche: nella prima si cerca di ricostruire a partire dalle fonti costituzionali, legislative e anche europee il panorama attuale del lavoro in carcere; nella seconda parte invece, viene analizzato un caso particolare di lavoro in carcere, ovvero la Casa Circondariale ¿G.Montalto¿ di Alba (cn), dove alcuni detenuti sono impegnati nel lavoro alle dipendenze dell'Amministrazione Penitenziaria e si occupano della coltivazione di un vigneto, anch'esso interamente compreso tra le mura del carcere. I detenuti lavoranti sono 14, inseriti nella realtà di un carcere con circa 200 detenuti, per cui circa il 10% del totale dei reclusi ha la possibilità di lavorare (dato questo che và a confermare i livello di impiego dei detenuti a livello nazionale). L'analisi è stata compiuta ricostruendo i passaggi fondamentali attraverso i quali il progetto albese ha avuto origine e si è consolidato, interpellando i principali soggetti artefici dell'iniziativa e soprattutto incontrando i detenuti lavoranti, ponendo loro interviste sulla loro attività inframuraria. Attraverso questa indagine ho cercato di valutare l'incidenza del lavoro all'interno della Casa Circondariale e le ripercussioni sulla vita dei detenuti. Presente nella legislazione penitenziaria italiana fin da prima della Costituzione, il lavoro in carcere svolto dai detenuti veniva considerato come un elemento afflittivo della condanna, un quid pluris con cui acuire la pena del reo. Con l'entrata in vigore della Costituzione, il carcere e la pena vengono rivalutate e a loro viene assegnato un ruolo riabilitativo, soprattutto grazie alla statuizione secondo la quale le pene ¿non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato¿ . I padri costituenti avevano inteso il carcere non più come raccoglitore eterogeneo di criminali, emarginati e disgraziati lasciati alla mercé degli eventi senza possibilità di rientrare nella società civile una volta scontata la pena, ma come un luogo, seppur sempre di privazione della libertà e punizione, in cui il reo potesse (o meglio dovesse) riflettere sugli errori compiuti e, grazie al periodo carcerario e a un percorso da svolgere al suo interno, riuscire a migliorare, rieducarsi e risocializzarsi, annullando così la propria ¿pericolosità¿ e antisocialità. Il lavoro ¿tra le sbarre¿ acquista dopo il 1948 una valenza differente: non più strumento di afflizione, ma opportunità e diritto per i detenuti, un diritto che la Carta già all'art. 4 riconosce a tutti i cittadini, accompagnato inoltre dall'obbligo per lo Stato di promuovere le condizioni che rendano effettivo il suddetto diritto. Il mondo carcerario è complesso e sconosciuto ai più. Il mio lavoro si è infatti rivelato un vero e proprio viaggio di conoscenza, stimolato dalla curiosità e dall'interesse di apprendere le dinamiche alla base di una realtà particolare e unica. Non si tratta di un mondo semplice ed aperto all'esterno, imbrigliato in controlli, permessi, burocrazia e difficoltà spesso ignorate dall'opinione pubblica perché ritenute scomode da affrontare. In realtà non è stato molto difficile relazionarsi con quest'ambiente, con i detenuti soprattutto, assai disponibile e per molti versi desideroso di aprirsi all'esterno per far conoscere le problematiche che lo affliggono. Il lavoro in carcere rappresenta un'occasione per i detenuti di esprimere la volontà e la capacità di reinserimento nella struttura sociale esterna, permettendo di ritagliarsi uno spazio di responsabilità e autodeterminazione nell'ambiente carcerario. Gli studi e le ricerche sull'incidenza del lavoro in carcere portano a concludere che questo abbia innegabili benefici non solo sulla vita carceraria dei detenuti, ma soprattutto sulla possibilità di recidiva da parte del reo.
La normativa sul lavoro in carcere: una ricerca empirica
TARETTO, GIULIO
2012/2013
Abstract
L'oggetto di studio di questa tesi è il lavoro svolto dai detenuti all'interno degli istituti penitenziari. La mia ricerca è divisa in due parti specifiche: nella prima si cerca di ricostruire a partire dalle fonti costituzionali, legislative e anche europee il panorama attuale del lavoro in carcere; nella seconda parte invece, viene analizzato un caso particolare di lavoro in carcere, ovvero la Casa Circondariale ¿G.Montalto¿ di Alba (cn), dove alcuni detenuti sono impegnati nel lavoro alle dipendenze dell'Amministrazione Penitenziaria e si occupano della coltivazione di un vigneto, anch'esso interamente compreso tra le mura del carcere. I detenuti lavoranti sono 14, inseriti nella realtà di un carcere con circa 200 detenuti, per cui circa il 10% del totale dei reclusi ha la possibilità di lavorare (dato questo che và a confermare i livello di impiego dei detenuti a livello nazionale). L'analisi è stata compiuta ricostruendo i passaggi fondamentali attraverso i quali il progetto albese ha avuto origine e si è consolidato, interpellando i principali soggetti artefici dell'iniziativa e soprattutto incontrando i detenuti lavoranti, ponendo loro interviste sulla loro attività inframuraria. Attraverso questa indagine ho cercato di valutare l'incidenza del lavoro all'interno della Casa Circondariale e le ripercussioni sulla vita dei detenuti. Presente nella legislazione penitenziaria italiana fin da prima della Costituzione, il lavoro in carcere svolto dai detenuti veniva considerato come un elemento afflittivo della condanna, un quid pluris con cui acuire la pena del reo. Con l'entrata in vigore della Costituzione, il carcere e la pena vengono rivalutate e a loro viene assegnato un ruolo riabilitativo, soprattutto grazie alla statuizione secondo la quale le pene ¿non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato¿ . I padri costituenti avevano inteso il carcere non più come raccoglitore eterogeneo di criminali, emarginati e disgraziati lasciati alla mercé degli eventi senza possibilità di rientrare nella società civile una volta scontata la pena, ma come un luogo, seppur sempre di privazione della libertà e punizione, in cui il reo potesse (o meglio dovesse) riflettere sugli errori compiuti e, grazie al periodo carcerario e a un percorso da svolgere al suo interno, riuscire a migliorare, rieducarsi e risocializzarsi, annullando così la propria ¿pericolosità¿ e antisocialità. Il lavoro ¿tra le sbarre¿ acquista dopo il 1948 una valenza differente: non più strumento di afflizione, ma opportunità e diritto per i detenuti, un diritto che la Carta già all'art. 4 riconosce a tutti i cittadini, accompagnato inoltre dall'obbligo per lo Stato di promuovere le condizioni che rendano effettivo il suddetto diritto. Il mondo carcerario è complesso e sconosciuto ai più. Il mio lavoro si è infatti rivelato un vero e proprio viaggio di conoscenza, stimolato dalla curiosità e dall'interesse di apprendere le dinamiche alla base di una realtà particolare e unica. Non si tratta di un mondo semplice ed aperto all'esterno, imbrigliato in controlli, permessi, burocrazia e difficoltà spesso ignorate dall'opinione pubblica perché ritenute scomode da affrontare. In realtà non è stato molto difficile relazionarsi con quest'ambiente, con i detenuti soprattutto, assai disponibile e per molti versi desideroso di aprirsi all'esterno per far conoscere le problematiche che lo affliggono. Il lavoro in carcere rappresenta un'occasione per i detenuti di esprimere la volontà e la capacità di reinserimento nella struttura sociale esterna, permettendo di ritagliarsi uno spazio di responsabilità e autodeterminazione nell'ambiente carcerario. Gli studi e le ricerche sull'incidenza del lavoro in carcere portano a concludere che questo abbia innegabili benefici non solo sulla vita carceraria dei detenuti, ma soprattutto sulla possibilità di recidiva da parte del reo.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/57035