Obiettivo della tesi è dimostrare per quali ragioni un traduttore possa essere considerato un autore: partendo da una serie di studi di traduttologia, l'attenzione è focalizzata sull'esperienza di Giuseppe Ungaretti che traduce la Phèdre di Jean Racine. Dapprima, si constata che, dell'opera raciniana, Ungaretti non traduce neppure il titolo: da Jean Racine, Phèdre si passa a Giuseppe Ungaretti, Vita d'un uomo. Fedra di Jean Racine. Gli studi traduttologici ai quali si fa cenno nella prima parte della tesi hanno una duplice valenza: da un lato, essi servono come varco d'ingresso al caso del poeta italiano, dall'altro, essi sono una verifica di quanto riscontrato, all'atto pratico, nella Fedra di Jean Racine. In seguito ad una breve digressione sulle opere tradotte da Ungaretti, si dimostrerà il raggiungimento di quello che egli definisce l'«apice dell'arte tradurre» che porta a poesia, raggiunto proprio nel momento in cui il poeta si appresta alla resa italiana delle opere raciniane. Corollari alla tesi sono gli approfondimenti sulla questione della missione del traduttore letterario contemporaneo e l'intervento di Dacia Maraini in merito alla questione «Il traduttore come autore» nell'ambito del progetto Dacia Maraini à la rencontre de ses lectrices et ses lecteurs, promosso dall'Université de Savoie e svoltosi il 24 aprile 2012. Inoltre, a dimostrazione dell'originalità (talora necessaria, talora ricercata) insita nell'atto stesso della traduzione, tanto più se, come nel caso in questione, l'ambito al quale Ungaretti si avvicina è la sottile linea di intersezione che lega il teatro alla poesia, sono analizzati, con metodo contrastivo, esempi pratici tratti dalla tragedia di Racine e dalla traduzione della stessa, con una particolare riflessione sulla resa del ritmo dell'alessandrino. Infine, a riprova di come la destinazione d'uso della versione di un testo in un'altra lingua possa influire sui punti su cui il traduttore focalizza l'attenzione, sono brevemente presentate, rilevando le principali somiglianze e differenze con la Fedra di Jean Racine, le due traduzioni della Fedra di Giovanni Raboni (rispettivamente BUR 1984 e Marietti 1999) e Fedra e Ippolito curata da Daniela Dalla Valle (Marsilio 2000). Non solo per gli aspetti finora citati, il ruolo dell'autore e quello del traduttore sono parzialmente sovrapponibili, ma anche perché lo stile individuale di chi traduce tende, anche involontariamente, a manifestarsi nell'opera tradotta come un'impronta, una firma, un sigillo.

Il traduttore come autore: Giuseppe Ungaretti, Vita d'un uomo. Fedra di Jean Racine

MORACCI, FEDERICO
2011/2012

Abstract

Obiettivo della tesi è dimostrare per quali ragioni un traduttore possa essere considerato un autore: partendo da una serie di studi di traduttologia, l'attenzione è focalizzata sull'esperienza di Giuseppe Ungaretti che traduce la Phèdre di Jean Racine. Dapprima, si constata che, dell'opera raciniana, Ungaretti non traduce neppure il titolo: da Jean Racine, Phèdre si passa a Giuseppe Ungaretti, Vita d'un uomo. Fedra di Jean Racine. Gli studi traduttologici ai quali si fa cenno nella prima parte della tesi hanno una duplice valenza: da un lato, essi servono come varco d'ingresso al caso del poeta italiano, dall'altro, essi sono una verifica di quanto riscontrato, all'atto pratico, nella Fedra di Jean Racine. In seguito ad una breve digressione sulle opere tradotte da Ungaretti, si dimostrerà il raggiungimento di quello che egli definisce l'«apice dell'arte tradurre» che porta a poesia, raggiunto proprio nel momento in cui il poeta si appresta alla resa italiana delle opere raciniane. Corollari alla tesi sono gli approfondimenti sulla questione della missione del traduttore letterario contemporaneo e l'intervento di Dacia Maraini in merito alla questione «Il traduttore come autore» nell'ambito del progetto Dacia Maraini à la rencontre de ses lectrices et ses lecteurs, promosso dall'Université de Savoie e svoltosi il 24 aprile 2012. Inoltre, a dimostrazione dell'originalità (talora necessaria, talora ricercata) insita nell'atto stesso della traduzione, tanto più se, come nel caso in questione, l'ambito al quale Ungaretti si avvicina è la sottile linea di intersezione che lega il teatro alla poesia, sono analizzati, con metodo contrastivo, esempi pratici tratti dalla tragedia di Racine e dalla traduzione della stessa, con una particolare riflessione sulla resa del ritmo dell'alessandrino. Infine, a riprova di come la destinazione d'uso della versione di un testo in un'altra lingua possa influire sui punti su cui il traduttore focalizza l'attenzione, sono brevemente presentate, rilevando le principali somiglianze e differenze con la Fedra di Jean Racine, le due traduzioni della Fedra di Giovanni Raboni (rispettivamente BUR 1984 e Marietti 1999) e Fedra e Ippolito curata da Daniela Dalla Valle (Marsilio 2000). Non solo per gli aspetti finora citati, il ruolo dell'autore e quello del traduttore sono parzialmente sovrapponibili, ma anche perché lo stile individuale di chi traduce tende, anche involontariamente, a manifestarsi nell'opera tradotta come un'impronta, una firma, un sigillo.
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