In questa tesi viene indagato come le donne musulmane migranti non siano mute vittime di società patriarcali, ma spesso piuttosto si configurino come attive portatrici di un diverso concetto di libertà, diverse forme di devozione e diverse modalità agentive. Lo studio si basa su sedici mesi di osservazione partecipante presso le comunità di immigrati a Pioltello, un comune della provincia di Milano con uno dei più alti tassi italiani di popolazione immigrata residente. A seguito di questo periodo trascorso a stretto contatto con famiglie musulmane, si sono svolte alcune interviste narrative mirate e alcune visite ad associazioni religiose e sale di preghiera locali che hanno consentito di approfondire l'argomento. Nella prima parte della tesi si mostra come la dimensione europea dell'Islam stia tentando di strutturarsi, spesso con piccole associazioni locali che si sforzano non solo di mantenere vicini alla religione i figli e i correligionari e spesso elaborano pratiche capaci di aiutare i fedeli nel loro percorso di integrazione. L'ampia adesione volontaria a movimenti islamisti è prova del fatto che, anche declinato da un punto di vista politico, l'Islam è in grado di convincere molte persone e non è necessariamente collegato al fanatismo religioso. L'islamismo d'Occidente può arrivare anche a supportare il fedele nel suo tentativo di vivere da buon cittadino europeo e da buon musulmano. L'islamismo non corrisponde a un pensiero politico che decreta la sottomissione della donna. Al contrario ipotizza in genere un modello ideale di società dove vi è una netta separazione dei compiti tra uomo e donna, ma all'interno dei propri ambiti ciascuno viene valorizzato. Proprio in alcuni settori dell'islamismo vi è anzi in atto un processo di recupero dei passi coranici che valorizzano il ruolo della figura femminile. Il femminismo musulmano e islamista da anni divulgano l'idea che il Corano intendesse innalzare la condizione femminile. Le donne musulmane non mettono in discussione la religione ed i suoi doveri, perché percepiti come strumento di consolazione. Nel mondo femminile islamico si può notare le donne non siano assolutamente prive di agency, non subiscano passivamente le norme religiose come lo stereotipo occidentale vorrebbe. La donna musulmana migrante si presenta in genere come una persona che ha elaborato riflessioni e confronti sistematici tra ¿modello occidentale¿ e ¿modello islamico¿, sfumandone i contorni, molto più di quanto non mostri d'aver fatto l'Occidente. Si è poi mostrato come anche il velo venga in genere adottato in maniera consapevole, libera e agentiva. Tra le prime generazioni spesso è legato al senso del pudore, incorporato attraverso un lungo lavoro sul corpo. Le giovani cresciute in Italia, invece, gli attribuiscono un significato diverso perché la società occidentale effettivamente gli attribuisce un significato diverso: se nei paesi islamici è segno di modestia e invisibilità, in Occidente diviene simbolo di alterità e chi lo indossa attira l'attenzione. Tra prime e seconde generazioni c'è spesso uno scarto che differenzia non tanto la prassi religiosa, che apparentemente può rimanere la stessa, ma il concetto di libertà e l'agentività che viene posta dietro questa prassi stessa. L'Islam fa paura all'Occidente perché è portatore di concetti di libertà e forme agentive diverse, ma si conclude mostrando come anche in Occidente questi concetti non siano statici e definiti come ci rassicurerebbe pensare

Abitare la norma: libertà, devozione e agentività tra le migranti musulmane

PARRAO, MARGHERITA
2011/2012

Abstract

In questa tesi viene indagato come le donne musulmane migranti non siano mute vittime di società patriarcali, ma spesso piuttosto si configurino come attive portatrici di un diverso concetto di libertà, diverse forme di devozione e diverse modalità agentive. Lo studio si basa su sedici mesi di osservazione partecipante presso le comunità di immigrati a Pioltello, un comune della provincia di Milano con uno dei più alti tassi italiani di popolazione immigrata residente. A seguito di questo periodo trascorso a stretto contatto con famiglie musulmane, si sono svolte alcune interviste narrative mirate e alcune visite ad associazioni religiose e sale di preghiera locali che hanno consentito di approfondire l'argomento. Nella prima parte della tesi si mostra come la dimensione europea dell'Islam stia tentando di strutturarsi, spesso con piccole associazioni locali che si sforzano non solo di mantenere vicini alla religione i figli e i correligionari e spesso elaborano pratiche capaci di aiutare i fedeli nel loro percorso di integrazione. L'ampia adesione volontaria a movimenti islamisti è prova del fatto che, anche declinato da un punto di vista politico, l'Islam è in grado di convincere molte persone e non è necessariamente collegato al fanatismo religioso. L'islamismo d'Occidente può arrivare anche a supportare il fedele nel suo tentativo di vivere da buon cittadino europeo e da buon musulmano. L'islamismo non corrisponde a un pensiero politico che decreta la sottomissione della donna. Al contrario ipotizza in genere un modello ideale di società dove vi è una netta separazione dei compiti tra uomo e donna, ma all'interno dei propri ambiti ciascuno viene valorizzato. Proprio in alcuni settori dell'islamismo vi è anzi in atto un processo di recupero dei passi coranici che valorizzano il ruolo della figura femminile. Il femminismo musulmano e islamista da anni divulgano l'idea che il Corano intendesse innalzare la condizione femminile. Le donne musulmane non mettono in discussione la religione ed i suoi doveri, perché percepiti come strumento di consolazione. Nel mondo femminile islamico si può notare le donne non siano assolutamente prive di agency, non subiscano passivamente le norme religiose come lo stereotipo occidentale vorrebbe. La donna musulmana migrante si presenta in genere come una persona che ha elaborato riflessioni e confronti sistematici tra ¿modello occidentale¿ e ¿modello islamico¿, sfumandone i contorni, molto più di quanto non mostri d'aver fatto l'Occidente. Si è poi mostrato come anche il velo venga in genere adottato in maniera consapevole, libera e agentiva. Tra le prime generazioni spesso è legato al senso del pudore, incorporato attraverso un lungo lavoro sul corpo. Le giovani cresciute in Italia, invece, gli attribuiscono un significato diverso perché la società occidentale effettivamente gli attribuisce un significato diverso: se nei paesi islamici è segno di modestia e invisibilità, in Occidente diviene simbolo di alterità e chi lo indossa attira l'attenzione. Tra prime e seconde generazioni c'è spesso uno scarto che differenzia non tanto la prassi religiosa, che apparentemente può rimanere la stessa, ma il concetto di libertà e l'agentività che viene posta dietro questa prassi stessa. L'Islam fa paura all'Occidente perché è portatore di concetti di libertà e forme agentive diverse, ma si conclude mostrando come anche in Occidente questi concetti non siano statici e definiti come ci rassicurerebbe pensare
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