Per larga parte degli anni ottanta e novanta infatti Torino ha vissuto una fase di crisi intensa. Si è trattato di una crisi globale, che ha investito una molteplicità di domini: la sua struttura sociale, il suo assetto produttivo e la sua classe politica. Fronte alla perdita- ora auspicata, ora rifiutata - della sua specializzazione industriale, a lungo la città si è mostrata incapace di elaborare opzioni di sviluppo alternative. Il futuro appariva fosco: la città, stretta nella tenaglia della sua monocultura industriale e nel grigiore della sua quotidianità, pareva destinata ad un lento declino. Oggi, passati vent'anni, l'immagine veicolata dai media ed affermata dai suoi cittadini è ribaltata. Il disciplinato passato della «vecchia company-town fordista e monoculturale» (Belligni et al., 2009, p. 2) pare essere irriso dallo slogan che la città si è data: Torino, si afferma, è «always on the move». La città, si dice, ha infine compiuto la transizione a metropoli postmoderna, e lo ha fatto ad una velocità tale da poter affermare che essa «rappresenta una delle più impressionanti storie di trasformazione urbana dell'Europa» (Huxley, 2010, p. 2). E' comune giudizio che i XX Giochi Olimpici Invernali del 2006, a loro volta esito di un lungo processo di elaborazione, abbiano rappresentato la scintilla che ha incendiato la città: grandi eventi e fiere internazionali, mostre d'arte e rassegne culturali, raduni e festeggiamenti hanno continuato a proporre e rafforzare l'immagine della città, all'esterno ed al suo interno, in uno scenario urbano intanto andato incontro ad un profondo restyling. Aree periferiche disagiate hanno conosciuto importanti e premiati processi di riqualificazione nell'ambito del Progetto Speciale Periferie. Vecchi luoghi di degrado come San Salvario, il Quadrilatero Romano, i Murazzi e Porta Palazzo sono tornati a nuova vita come sfavillanti e glamour arene della movida, popolati da giovani e meno giovani in cerca di esperienze, interazioni fluide e valori simbolici. Vecchie aree industriali sono state riconvertite in arene creative, tecnologiche, di produzione e consumo. Un affresco di questo tipo mette in luce un'evoluzione nel complesso positiva ed auspicabile del capoluogo piemontese. Tuttavia, vi è da indagare cosa vi sia sotto questi colori sfavillanti. Detto in altro modo: occorre comprendere se la spinta verso lo sviluppo dell'economia immateriale, fatta di tecnologia, conoscenza e offerta di entertainment abbia saputo garantire una vera crescita economica ed un rafforzamento della posizione competitiva di Torino su scala nazionale ed internazionale. E' veramente possibile che un'impostazione siffatta possa colmare i vuoti lasciati dal declino industriale? Le nuove attività creative e culturali hanno realmente contribuito, come postula la teoria, a rendere attraente il territorio alle imprese della knowledge economy e ai loro lavoratori?

ENTERTAINMENT MACHINE E POLITICHE URBANE. IL CASO DI TORINO 1993-2011

BERTULETTI, MAURO
2011/2012

Abstract

Per larga parte degli anni ottanta e novanta infatti Torino ha vissuto una fase di crisi intensa. Si è trattato di una crisi globale, che ha investito una molteplicità di domini: la sua struttura sociale, il suo assetto produttivo e la sua classe politica. Fronte alla perdita- ora auspicata, ora rifiutata - della sua specializzazione industriale, a lungo la città si è mostrata incapace di elaborare opzioni di sviluppo alternative. Il futuro appariva fosco: la città, stretta nella tenaglia della sua monocultura industriale e nel grigiore della sua quotidianità, pareva destinata ad un lento declino. Oggi, passati vent'anni, l'immagine veicolata dai media ed affermata dai suoi cittadini è ribaltata. Il disciplinato passato della «vecchia company-town fordista e monoculturale» (Belligni et al., 2009, p. 2) pare essere irriso dallo slogan che la città si è data: Torino, si afferma, è «always on the move». La città, si dice, ha infine compiuto la transizione a metropoli postmoderna, e lo ha fatto ad una velocità tale da poter affermare che essa «rappresenta una delle più impressionanti storie di trasformazione urbana dell'Europa» (Huxley, 2010, p. 2). E' comune giudizio che i XX Giochi Olimpici Invernali del 2006, a loro volta esito di un lungo processo di elaborazione, abbiano rappresentato la scintilla che ha incendiato la città: grandi eventi e fiere internazionali, mostre d'arte e rassegne culturali, raduni e festeggiamenti hanno continuato a proporre e rafforzare l'immagine della città, all'esterno ed al suo interno, in uno scenario urbano intanto andato incontro ad un profondo restyling. Aree periferiche disagiate hanno conosciuto importanti e premiati processi di riqualificazione nell'ambito del Progetto Speciale Periferie. Vecchi luoghi di degrado come San Salvario, il Quadrilatero Romano, i Murazzi e Porta Palazzo sono tornati a nuova vita come sfavillanti e glamour arene della movida, popolati da giovani e meno giovani in cerca di esperienze, interazioni fluide e valori simbolici. Vecchie aree industriali sono state riconvertite in arene creative, tecnologiche, di produzione e consumo. Un affresco di questo tipo mette in luce un'evoluzione nel complesso positiva ed auspicabile del capoluogo piemontese. Tuttavia, vi è da indagare cosa vi sia sotto questi colori sfavillanti. Detto in altro modo: occorre comprendere se la spinta verso lo sviluppo dell'economia immateriale, fatta di tecnologia, conoscenza e offerta di entertainment abbia saputo garantire una vera crescita economica ed un rafforzamento della posizione competitiva di Torino su scala nazionale ed internazionale. E' veramente possibile che un'impostazione siffatta possa colmare i vuoti lasciati dal declino industriale? Le nuove attività creative e culturali hanno realmente contribuito, come postula la teoria, a rendere attraente il territorio alle imprese della knowledge economy e ai loro lavoratori?
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