Gli effetti placebo e nocebo rappresentano l'insieme degli effetti psicobiologici che si verificano nel cervello del paziente in seguito alla somministrazione di un trattamento inerte (effetto placebo) o di suggestioni verbali negative (effetto nocebo). Nel primo caso, si tratta di un fenomeno di miglioramento clinico dovuto al contesto psicosociale positivo che circonda il paziente; il secondo comporta, invece, il peggioramento sintomatico, dovuto al contesto psicosociale negativo. I trattamenti placebo vengono somministrati in diversi contesti: nei trial clinici, con l'obiettivo di testare l'efficacia di un trattamento attivo; nella ricerca sul placebo, con l'obiettivo di indagare i meccanismi psicologici e neurobiologici alla base dell'effetto placebo; nella pratica clinica, dove il placebo è uno strumento utilizzato per calmare pazienti ansiosi o difficili, evitare un conflitto, portare beneficio al paziente o, molto raramente, scoprire se i sintomi riferiti sono reali, simulati o psicologici. Nessuno degli studi analizzati in letteratura ha cercato di comprendere quali variabili, interno o esterne, potessero influenzare il medico nello scegliere di somministrare un placebo e non un trattamento attivo. Ad oggi, infatti, si ha una buona conoscenza dei meccanismi cerebrali che si attivano nel paziente durante l'assunzione di un placebo (Benedetti, 2011) mentre si hanno scarse informazioni su quello che accade nella mente di chi lo somministra (Benedetti, 2011). Dal momento che la relazione medico-paziente coinvolge due unità in interazione, immerse in un determinato contesto psicosociale, responsabile dell'effetto placebo, studiare ciò che succede nella mente del professionista della salute è importante quanto comprendere ciò che avviene nel paziente. Lo scopo di questo lavoro sperimentale, primo passo di una ricerca ancora in via di sviluppo, era indagare quali fattori potessero influenzare il futuro medico nello scegliere se somministrare un placebo o un trattamento attivo ad un paziente in un contesto di finta somministrazione di stimoli dolorifici. Si è scelto di valutare la possibile influenza di tre tipi di variabili: cognitive (informazioni fornite dagli sperimentatori al futuro medico riguardo all'efficacia del placebo prima della prova; il livello di conoscenza pregressa riguardo al placebo; l'ipotesi sull'efficacia di quest'ultimo chieste al partecipante ad inizio e fine prova); psicologiche (la flessibilità, il senso di autoefficacia generale, l'empatia e lo scetticismo, indagate tramite specifiche scale) ed il feedback del paziente (ovvero se rispondesse o non rispondesse al placebo). Ciò che è stato evidenziato in questo lavoro è che la variabile più significativa risulta essere la risposta del paziente: a prescindere dal fatto che il medico creda o non creda nel placebo, lo conosca o non lo conosca, se la somministrazione di placebo funziona per il paziente, sulla base del feedback soggettivo, allora il clinico decide di utilizzarlo al posto di un trattamento attivo.

Placebo o trattamento attivo? I fattori che influenzano la scelta.

MARATEA, GABRIELLA
2017/2018

Abstract

Gli effetti placebo e nocebo rappresentano l'insieme degli effetti psicobiologici che si verificano nel cervello del paziente in seguito alla somministrazione di un trattamento inerte (effetto placebo) o di suggestioni verbali negative (effetto nocebo). Nel primo caso, si tratta di un fenomeno di miglioramento clinico dovuto al contesto psicosociale positivo che circonda il paziente; il secondo comporta, invece, il peggioramento sintomatico, dovuto al contesto psicosociale negativo. I trattamenti placebo vengono somministrati in diversi contesti: nei trial clinici, con l'obiettivo di testare l'efficacia di un trattamento attivo; nella ricerca sul placebo, con l'obiettivo di indagare i meccanismi psicologici e neurobiologici alla base dell'effetto placebo; nella pratica clinica, dove il placebo è uno strumento utilizzato per calmare pazienti ansiosi o difficili, evitare un conflitto, portare beneficio al paziente o, molto raramente, scoprire se i sintomi riferiti sono reali, simulati o psicologici. Nessuno degli studi analizzati in letteratura ha cercato di comprendere quali variabili, interno o esterne, potessero influenzare il medico nello scegliere di somministrare un placebo e non un trattamento attivo. Ad oggi, infatti, si ha una buona conoscenza dei meccanismi cerebrali che si attivano nel paziente durante l'assunzione di un placebo (Benedetti, 2011) mentre si hanno scarse informazioni su quello che accade nella mente di chi lo somministra (Benedetti, 2011). Dal momento che la relazione medico-paziente coinvolge due unità in interazione, immerse in un determinato contesto psicosociale, responsabile dell'effetto placebo, studiare ciò che succede nella mente del professionista della salute è importante quanto comprendere ciò che avviene nel paziente. Lo scopo di questo lavoro sperimentale, primo passo di una ricerca ancora in via di sviluppo, era indagare quali fattori potessero influenzare il futuro medico nello scegliere se somministrare un placebo o un trattamento attivo ad un paziente in un contesto di finta somministrazione di stimoli dolorifici. Si è scelto di valutare la possibile influenza di tre tipi di variabili: cognitive (informazioni fornite dagli sperimentatori al futuro medico riguardo all'efficacia del placebo prima della prova; il livello di conoscenza pregressa riguardo al placebo; l'ipotesi sull'efficacia di quest'ultimo chieste al partecipante ad inizio e fine prova); psicologiche (la flessibilità, il senso di autoefficacia generale, l'empatia e lo scetticismo, indagate tramite specifiche scale) ed il feedback del paziente (ovvero se rispondesse o non rispondesse al placebo). Ciò che è stato evidenziato in questo lavoro è che la variabile più significativa risulta essere la risposta del paziente: a prescindere dal fatto che il medico creda o non creda nel placebo, lo conosca o non lo conosca, se la somministrazione di placebo funziona per il paziente, sulla base del feedback soggettivo, allora il clinico decide di utilizzarlo al posto di un trattamento attivo.
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