Nella primavera del 2021, la situazione in Afghanistan era sulla bocca di tutti: il Presidente Biden aveva da poco comunicato che tutte le truppe statunitensi, seguite da quelle della NATO, avrebbero lasciato il paese entro l’11 settembre 2021, vent’anni esatti dal tragico attentato alle Torri Gemelle. Questa notizia ebbe un enorme risalto internazionale, sanciva la fine della guerra contro i talebani, una guerra durata due decenni, con tanto sangue versato e migliaia di miliardi di dollari spesi. Nonostante dal punto di vista formale la missione venisse in questo modo considerata conclusa, il futuro dell’Afghanistan rimaneva incerto. Agli occhi di molti osservatori internazionali pareva che il Paese avesse imboccato il sentiero di una pacificazione con i talebani e che avesse gli strumenti necessari per affrontare le sue nuove sfide da Stato “libero”. Queste previsioni erano però da libro dei sogni e infatti sul campo si rivelarono errate. L’offensiva talebana fu immediata e impressionante nei tempi, il popolo afghano, in circa quattro mesi, tornò di nuovo sotto la dura legge della Sharia imposta dai “vecchi” talebani, dimostrando che erano loro i veri vincitori del conflitto. Ma come è possibile che in 4 mesi gli studenti coranici siano riusciti a buttare al vento un impegno durato 20 anni? Per provare a rispondere a questa domanda, ho voluto iniziare da quello che considero la causa principale del fallimento dell’intervento occidentale, ossia la mancata comprensione della articolata e tribale cultura afghana. L’Occidente si è presentato in Afghanistan come il paladino dei diritti umani e della democrazia, non riuscendo a capire che per provare a vincere il conflitto avrebbe dovuto capire gli altri prima di provare a far capire sé stesso ed esportare i propri valori. La mancanza di comprensione non è stato l’unico errore nell’intervento, ma secondo la mia opinione si può considerare la causa scatenante della maggior parte delle difficoltà che le truppe della coalizione trovarono nel paese. Per ragioni di brevità di esposizione non ho potuto affrontare con tutti i dovuti particolari questo aspetto, ma lo studio dei testi di riferimento e la documentazione sugli atti precedenti gli ultimi vent’anni è stato senz’altro un momento di profonda riflessione. Infatti, seguendo l’analisi del Paese effettuato da Maria Morigi nella prima parte del suo libro “Afghanistan Storia-Geopolitica-Patrimonio” pubblicato da Anteo Edizioni nel 2001, mi è apparso evidente quanto la fiducia possa essere importante per un popolo come quello afghano, molto legato a tradizioni e valori. Fiducia che si può ottenere solo conquistando il loro cuore, mantenendo le promesse che si fanno. Purtroppo, questo non è sempre stato fatto e, come illustrato anche nel libro di Nico Pirro “Afghanistan missione incompiuta (2001-2015)” pubblicato per la prima volta nel 2016 da Lantana Editori, ma di cui io ho fatto riferimento alla versione pubblicata da Poets & Sailors nel 2021, gli occidentali non hanno capito fin da subito che il loro sforzo principale dovesse essere diretto proprio ad ottenere la collaborazione dei cittadini afghani e non alla sola uccisione dei ribelli. Tutte riflessioni confermate anche dalle pubblicazioni dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e dagli articoli della rivista LIMES (rivisita geopolitica italiana).

Afghanistan e il resto del mondo, 20 anni di incomprensioni

GRANDINI, SEAN
2021/2022

Abstract

Nella primavera del 2021, la situazione in Afghanistan era sulla bocca di tutti: il Presidente Biden aveva da poco comunicato che tutte le truppe statunitensi, seguite da quelle della NATO, avrebbero lasciato il paese entro l’11 settembre 2021, vent’anni esatti dal tragico attentato alle Torri Gemelle. Questa notizia ebbe un enorme risalto internazionale, sanciva la fine della guerra contro i talebani, una guerra durata due decenni, con tanto sangue versato e migliaia di miliardi di dollari spesi. Nonostante dal punto di vista formale la missione venisse in questo modo considerata conclusa, il futuro dell’Afghanistan rimaneva incerto. Agli occhi di molti osservatori internazionali pareva che il Paese avesse imboccato il sentiero di una pacificazione con i talebani e che avesse gli strumenti necessari per affrontare le sue nuove sfide da Stato “libero”. Queste previsioni erano però da libro dei sogni e infatti sul campo si rivelarono errate. L’offensiva talebana fu immediata e impressionante nei tempi, il popolo afghano, in circa quattro mesi, tornò di nuovo sotto la dura legge della Sharia imposta dai “vecchi” talebani, dimostrando che erano loro i veri vincitori del conflitto. Ma come è possibile che in 4 mesi gli studenti coranici siano riusciti a buttare al vento un impegno durato 20 anni? Per provare a rispondere a questa domanda, ho voluto iniziare da quello che considero la causa principale del fallimento dell’intervento occidentale, ossia la mancata comprensione della articolata e tribale cultura afghana. L’Occidente si è presentato in Afghanistan come il paladino dei diritti umani e della democrazia, non riuscendo a capire che per provare a vincere il conflitto avrebbe dovuto capire gli altri prima di provare a far capire sé stesso ed esportare i propri valori. La mancanza di comprensione non è stato l’unico errore nell’intervento, ma secondo la mia opinione si può considerare la causa scatenante della maggior parte delle difficoltà che le truppe della coalizione trovarono nel paese. Per ragioni di brevità di esposizione non ho potuto affrontare con tutti i dovuti particolari questo aspetto, ma lo studio dei testi di riferimento e la documentazione sugli atti precedenti gli ultimi vent’anni è stato senz’altro un momento di profonda riflessione. Infatti, seguendo l’analisi del Paese effettuato da Maria Morigi nella prima parte del suo libro “Afghanistan Storia-Geopolitica-Patrimonio” pubblicato da Anteo Edizioni nel 2001, mi è apparso evidente quanto la fiducia possa essere importante per un popolo come quello afghano, molto legato a tradizioni e valori. Fiducia che si può ottenere solo conquistando il loro cuore, mantenendo le promesse che si fanno. Purtroppo, questo non è sempre stato fatto e, come illustrato anche nel libro di Nico Pirro “Afghanistan missione incompiuta (2001-2015)” pubblicato per la prima volta nel 2016 da Lantana Editori, ma di cui io ho fatto riferimento alla versione pubblicata da Poets & Sailors nel 2021, gli occidentali non hanno capito fin da subito che il loro sforzo principale dovesse essere diretto proprio ad ottenere la collaborazione dei cittadini afghani e non alla sola uccisione dei ribelli. Tutte riflessioni confermate anche dalle pubblicazioni dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e dagli articoli della rivista LIMES (rivisita geopolitica italiana).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/54772