Cinema has become one of the foremost tools of memory due to its ability to give order and continuity to it. However, it is easy to observe how remembering is an activity—or rather, a process—that is entirely subjective and fragmented, and thus easily manipulable. Italian cinema achieved its greatest successes when it attempted to dismantle the myths of the past, especially from the 1970s onwards, when nostalgia began to focus more strongly on a tragic period like fascism. Nostalgia, moreover, is a modern phenomenon that, much like the cinematic medium, shares one of the characteristics of modernity according to Sennett—the desire to evoke and share emotions. By the 1970s, millions of Italians looking back at their past could see only the fascist ‘ventennio’, viewed partly with bittersweet feelings and partly romanticized as a period of relative security in contrast to the discomfort of the present, especially with the fading of the revolutionary spirit of the '68 movement. For Italian cinema, looking at the fascist past thus becomes a delicate operation, often falling into a form of contemplation even in films that had initially declared strong anti-fascist intentions. Making the situation even more complex is the coincidence of this period with the phenomenon of revivals, which essentially involve a search in the past for secure, certain values that can be revived to counter the uncertainty of the present. This convergence stems from the need for the revival to look at a 'lost world' which, precisely because it is in the past, crystallizes in the observation of details capable of evoking emotions—exactly what happens in the generation of nostalgic feelings. In the 1970s, few directors managed to distance themselves from this phenomenon, with Mauro Bolognini, Federico Fellini, and Bernardo Bertolucci standing out as particularly significant figures, the latter two representing the greatest achievements of Italian cinema of that era. This dissertation will thus focus on the attempt to deconstruct certain mythologizations and idealizations of the past through the works of these three directors, each of whom addressed the phenomenon with their own particularities. Bolognini represents one of the most eccentric and excessive spirits in Italian cinema, and, while detaching himself from historicist constraints, with ‘Metello’ (1970) and ‘Fatti di gente perbene’ (1974), he looks at one of the most idealized periods in Italian history, the so-called Belle Époque, to explore the moral decay and greed of a bourgeois class that already exhibited many of the symptoms that later flooded in the fascist regime. Fellini, particularly with ‘Amarcord’ (1973), is the author who more than anyone else succeeded in directly reconstructing the fascist period, cutting off nostalgic feelings at their roots by depicting the regime in all its ridiculousness, forcing millions of Italians who, like him, were born during the ‘ventennio’ to confront a sense of embarrassment stemming from the awareness of having been part of (and perhaps accepted) that same past. Finally, Bertolucci proves to be the most ambiguous outcome, if only because he is the only one of the three directors to have known the regime solely through cultural products and stories passed down to him, placing films like ‘Il Conformista’ (1970) in the face of a contradiction that, according to Calvino, is inherent in a certain falsehood on the iconographic level, ultimately undermining the anti-fascist message of its content.
Il cinema è divenuto uno degli strumenti della memoria per eccellenza per la sua capacità di darvi ordine e continuità. Diventa, tuttavia, semplice constatare come il ricordare sia un’attività, o meglio, un processo totalmente soggettivo e frammentato, dunque facilmente manipolabile. Il cinema italiano ha ottenuto i migliori esiti nel momento in cui ha tentato di smontare i miti del passato, specialmente a partire dagli anni Settanta, quando la nostalgia ha iniziato con più forza a rivolgersi a un periodo tragico come quello fascista. La nostalgia è d’altronde un fenomeno moderno che, esattamente come il medium cinematografico, condivide una delle tipicità della modernità secondo Sennett, ovvero la volontà di far provare e di condividere emozioni. Arrivati agli anni Settanta milioni di italiani guardando al loro passato possono vedere solamente il ventennio, in parte guardato con sensazioni dolceamare e in parte romanticizzato come periodo di relativa sicurezza di fronte al disagio del presente, specie con il dissuadersi degli spiriti sessantottini. Per il cinema italiano guardare al passato fascista diventa quindi un’operazione delicata, spesso cadendo in una forma di contemplazione anche in pellicole che nelle finalità si fossero dichiarate fortemente antifasciste. A rendere ancora più articolata la situazione è certamente la coincidenza di questo periodo con il fenomeno dei revival, che sostanzialmente si configurano come una ricerca nel passato di valori sicuri, certi da poter riattivare per contrastare l’incertezza dell’oggi. Questa convergenza deriva dalla necessità per il revival di guardare a un ‘mondo perduto’ che, proprio per il suo carattere passato, si cristallizza nell’osservazione di dettagli in grado di suscitare emozioni; esattamente ciò che accade durante la generazione del sentimento nostalgico. Negli anni Settanta sono stati pochi i registi in grado di svincolarsi da questo fenomeno, tra cui appaiono particolarmente significativi i nomi di Mauro Bolognini, Federico Fellini e Bernardo Bertolucci, con questi ultimi due che appaiono come i più grandi esiti del cinema italiano di quegli anni tout court. La dissertazione si concentrerà quindi sul tentativo di decostruzione di certe mitizzazioni e idealizzazioni del passato passando attraverso alcune opere della filmografia di questi tre registi, ognuno in grado di trattare con le proprie specificità il fenomeno. Bolognini rappresenta uno degli animi più eccentrici ed eccessivi del cinema italiano e, pur slegandosi da vincoli storicistici, guarderà, con 'Metello' (1970) e 'Fatti di gente perbene' (1974), a una delle epoche più idealizzate della storia italiana, la cosiddetta Belle Èpoque, per scandagliare la malsanità e l’avidità di una classe borghese che già presentava molti dei sintomi poi deflagrati con il regime fascista. Fellini, specie con 'Amarcord' (1973), sarà l’autore che più di tutti riuscirà a ricostruire direttamente il periodo fascista troncando sul nascere la generazione di sentimenti nostalgici, mostrando il regime in tutta la sua ridicolezza e ponendo milioni di italiani che, come lui, erano nati nel ventennio di fronte a una sensazione di imbarazzo scaturita dalla consapevolezza di aver fatto parte (e forse accettato) quello stesso passato. Infine, Bertolucci risulterà l’esito più ambiguo se non altro perché egli è l’unico dei tre registi a conoscere il regime esclusivamente tramite prodotti culturali e racconti tramandatigli, ponendo film come 'Il conformista' (1970) di fronte a una contraddizione che, secondo Calvino, sarebbe insita in una certa falsità sul piano iconografico e in ultimo in grado di minare il portato antifascista del suo contenuto.
Costruire il passato: il cinema italiano degli anni Settanta tra cinefilia, nostalgia e revival
SIGNORELLI, ALESSANDRO
2023/2024
Abstract
Il cinema è divenuto uno degli strumenti della memoria per eccellenza per la sua capacità di darvi ordine e continuità. Diventa, tuttavia, semplice constatare come il ricordare sia un’attività, o meglio, un processo totalmente soggettivo e frammentato, dunque facilmente manipolabile. Il cinema italiano ha ottenuto i migliori esiti nel momento in cui ha tentato di smontare i miti del passato, specialmente a partire dagli anni Settanta, quando la nostalgia ha iniziato con più forza a rivolgersi a un periodo tragico come quello fascista. La nostalgia è d’altronde un fenomeno moderno che, esattamente come il medium cinematografico, condivide una delle tipicità della modernità secondo Sennett, ovvero la volontà di far provare e di condividere emozioni. Arrivati agli anni Settanta milioni di italiani guardando al loro passato possono vedere solamente il ventennio, in parte guardato con sensazioni dolceamare e in parte romanticizzato come periodo di relativa sicurezza di fronte al disagio del presente, specie con il dissuadersi degli spiriti sessantottini. Per il cinema italiano guardare al passato fascista diventa quindi un’operazione delicata, spesso cadendo in una forma di contemplazione anche in pellicole che nelle finalità si fossero dichiarate fortemente antifasciste. A rendere ancora più articolata la situazione è certamente la coincidenza di questo periodo con il fenomeno dei revival, che sostanzialmente si configurano come una ricerca nel passato di valori sicuri, certi da poter riattivare per contrastare l’incertezza dell’oggi. Questa convergenza deriva dalla necessità per il revival di guardare a un ‘mondo perduto’ che, proprio per il suo carattere passato, si cristallizza nell’osservazione di dettagli in grado di suscitare emozioni; esattamente ciò che accade durante la generazione del sentimento nostalgico. Negli anni Settanta sono stati pochi i registi in grado di svincolarsi da questo fenomeno, tra cui appaiono particolarmente significativi i nomi di Mauro Bolognini, Federico Fellini e Bernardo Bertolucci, con questi ultimi due che appaiono come i più grandi esiti del cinema italiano di quegli anni tout court. La dissertazione si concentrerà quindi sul tentativo di decostruzione di certe mitizzazioni e idealizzazioni del passato passando attraverso alcune opere della filmografia di questi tre registi, ognuno in grado di trattare con le proprie specificità il fenomeno. Bolognini rappresenta uno degli animi più eccentrici ed eccessivi del cinema italiano e, pur slegandosi da vincoli storicistici, guarderà, con 'Metello' (1970) e 'Fatti di gente perbene' (1974), a una delle epoche più idealizzate della storia italiana, la cosiddetta Belle Èpoque, per scandagliare la malsanità e l’avidità di una classe borghese che già presentava molti dei sintomi poi deflagrati con il regime fascista. Fellini, specie con 'Amarcord' (1973), sarà l’autore che più di tutti riuscirà a ricostruire direttamente il periodo fascista troncando sul nascere la generazione di sentimenti nostalgici, mostrando il regime in tutta la sua ridicolezza e ponendo milioni di italiani che, come lui, erano nati nel ventennio di fronte a una sensazione di imbarazzo scaturita dalla consapevolezza di aver fatto parte (e forse accettato) quello stesso passato. Infine, Bertolucci risulterà l’esito più ambiguo se non altro perché egli è l’unico dei tre registi a conoscere il regime esclusivamente tramite prodotti culturali e racconti tramandatigli, ponendo film come 'Il conformista' (1970) di fronte a una contraddizione che, secondo Calvino, sarebbe insita in una certa falsità sul piano iconografico e in ultimo in grado di minare il portato antifascista del suo contenuto.File | Dimensione | Formato | |
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