Questa tesi esplora l'evoluzione storica della comprensione della dicotomia sesso/genere, un tema cruciale per l'interpretazione del comportamento umano. Nel contesto del mondo occidentale, è largamente accettata l'idea di una divisione binaria tra sesso maschile e femminile, radicata in differenze biologiche. L'umanità, caratterizzata da un marcato dimorfismo sessuale, evidenzia differenze fenotipiche tra maschi e femmine, generalmente riconducibili a distinzioni genetiche e fisiologiche. Queste distinzioni sono state storicamente utilizzate – abbracciando forme più o meno esplicite di determinismo biologico – per giustificare caratteristiche comportamentali e ruoli sociali differenti tra uomini e donne. Nel 1949, tuttavia, la filosofa Simone de Beauvoir introduce un cambiamento di prospettiva nel suo libro Il secondo sesso, affermando che "Donna non si nasce, lo si diventa" . De Beauvoir sfida l'idea di una mascolinità e femminilità naturalizzate, esaminando la subordinazione femminile dal punto di vista biologico e arrivando alla conclusione che la femminilità sia una costruzione culturale piuttosto che una condizione naturale. Questa prospettiva si amplia con le teorie di Judith Butler, che in Questione di genere (1999) critica l'idea di genere come categoria "naturalizzata" e ancorata al sesso biologico, ridefinendo il genere come il risultato di una serie di atti e stili corporei che si ripetono all’interno di un rigido sistema di regolamentazione. È in questa prospettiva che i corpi che sfuggono alla dicotomia maschio/femmina vengono forzati a conformarsi a essa, come si mostrerà, nel corso del lavoro, tramite la discussione di alcuni casi emblematici come quello di David Reimer e dei test sessuali attuati in ambito sportivo, utili a comprendere quanto la norma agisca in maniera concreta sui corpi. Infine, il concetto di habitus di Pierre Bourdieu verrà esaminato in parallelo alla teoria di Butler, evidenziando come la riproduzione di determinati atti, culturalmente denotati, possa influenzare e plasmare la corporeità, similmente a come il genere agisce come norma che perpetua sé stessa attraverso la ripetizione di alcuni atti corporei. La comprensione della dicotomia sesso/genere è dunque evoluta nel tempo, passando da una visione biologicamente determinista ad una concezione più complessa, dove la dimensione culturale svolge un ruolo dominante. In particolare, il genere emerge come una costruzione sociale e normativa piuttosto che come una semplice conseguenza delle differenze biologiche, implicando che le identità di genere non siano fisse, ma continuamente soggette a processi di negoziazione e reinterpretazione. Le teorie di Simone de Beauvoir, Judith Butler e Pierre Bourdieu offrono strumenti concettuali per unire la dimensione biologica e la dimensione socioculturale, così da poter arrivare ad una comprensione il più completa possibile del genere.
Questa tesi esplora l'evoluzione storica della comprensione della dicotomia sesso/genere, un tema cruciale per l'interpretazione del comportamento umano. Nel contesto del mondo occidentale, è largamente accettata l'idea di una divisione binaria tra sesso maschile e femminile, radicata in differenze biologiche. L'umanità, caratterizzata da un marcato dimorfismo sessuale, evidenzia differenze fenotipiche tra maschi e femmine, generalmente riconducibili a distinzioni genetiche e fisiologiche. Queste distinzioni sono state storicamente utilizzate – abbracciando forme più o meno esplicite di determinismo biologico – per giustificare caratteristiche comportamentali e ruoli sociali differenti tra uomini e donne. Nel 1949, tuttavia, la filosofa Simone de Beauvoir introduce un cambiamento di prospettiva nel suo libro Il secondo sesso, affermando che "Donna non si nasce, lo si diventa" . De Beauvoir sfida l'idea di una mascolinità e femminilità naturalizzate, esaminando la subordinazione femminile dal punto di vista biologico e arrivando alla conclusione che la femminilità sia una costruzione culturale piuttosto che una condizione naturale. Questa prospettiva si amplia con le teorie di Judith Butler, che in Questione di genere (1999) critica l'idea di genere come categoria "naturalizzata" e ancorata al sesso biologico, ridefinendo il genere come il risultato di una serie di atti e stili corporei che si ripetono all’interno di un rigido sistema di regolamentazione. È in questa prospettiva che i corpi che sfuggono alla dicotomia maschio/femmina vengono forzati a conformarsi a essa, come si mostrerà, nel corso del lavoro, tramite la discussione di alcuni casi emblematici come quello di David Reimer e dei test sessuali attuati in ambito sportivo, utili a comprendere quanto la norma agisca in maniera concreta sui corpi. Infine, il concetto di habitus di Pierre Bourdieu verrà esaminato in parallelo alla teoria di Butler, evidenziando come la riproduzione di determinati atti, culturalmente denotati, possa influenzare e plasmare la corporeità, similmente a come il genere agisce come norma che perpetua sé stessa attraverso la ripetizione di alcuni atti corporei. La comprensione della dicotomia sesso/genere è dunque evoluta nel tempo, passando da una visione biologicamente determinista ad una concezione più complessa, dove la dimensione culturale svolge un ruolo dominante. In particolare, il genere emerge come una costruzione sociale e normativa piuttosto che come una semplice conseguenza delle differenze biologiche, implicando che le identità di genere non siano fisse, ma continuamente soggette a processi di negoziazione e reinterpretazione. Le teorie di Simone de Beauvoir, Judith Butler e Pierre Bourdieu offrono strumenti concettuali per unire la dimensione biologica e la dimensione socioculturale, così da poter arrivare ad una comprensione il più completa possibile del genere.
Oltre il sesso: la complessità del genere tra natura e cultura
CASELLA, FRANCESCA
2023/2024
Abstract
Questa tesi esplora l'evoluzione storica della comprensione della dicotomia sesso/genere, un tema cruciale per l'interpretazione del comportamento umano. Nel contesto del mondo occidentale, è largamente accettata l'idea di una divisione binaria tra sesso maschile e femminile, radicata in differenze biologiche. L'umanità, caratterizzata da un marcato dimorfismo sessuale, evidenzia differenze fenotipiche tra maschi e femmine, generalmente riconducibili a distinzioni genetiche e fisiologiche. Queste distinzioni sono state storicamente utilizzate – abbracciando forme più o meno esplicite di determinismo biologico – per giustificare caratteristiche comportamentali e ruoli sociali differenti tra uomini e donne. Nel 1949, tuttavia, la filosofa Simone de Beauvoir introduce un cambiamento di prospettiva nel suo libro Il secondo sesso, affermando che "Donna non si nasce, lo si diventa" . De Beauvoir sfida l'idea di una mascolinità e femminilità naturalizzate, esaminando la subordinazione femminile dal punto di vista biologico e arrivando alla conclusione che la femminilità sia una costruzione culturale piuttosto che una condizione naturale. Questa prospettiva si amplia con le teorie di Judith Butler, che in Questione di genere (1999) critica l'idea di genere come categoria "naturalizzata" e ancorata al sesso biologico, ridefinendo il genere come il risultato di una serie di atti e stili corporei che si ripetono all’interno di un rigido sistema di regolamentazione. È in questa prospettiva che i corpi che sfuggono alla dicotomia maschio/femmina vengono forzati a conformarsi a essa, come si mostrerà, nel corso del lavoro, tramite la discussione di alcuni casi emblematici come quello di David Reimer e dei test sessuali attuati in ambito sportivo, utili a comprendere quanto la norma agisca in maniera concreta sui corpi. Infine, il concetto di habitus di Pierre Bourdieu verrà esaminato in parallelo alla teoria di Butler, evidenziando come la riproduzione di determinati atti, culturalmente denotati, possa influenzare e plasmare la corporeità, similmente a come il genere agisce come norma che perpetua sé stessa attraverso la ripetizione di alcuni atti corporei. La comprensione della dicotomia sesso/genere è dunque evoluta nel tempo, passando da una visione biologicamente determinista ad una concezione più complessa, dove la dimensione culturale svolge un ruolo dominante. In particolare, il genere emerge come una costruzione sociale e normativa piuttosto che come una semplice conseguenza delle differenze biologiche, implicando che le identità di genere non siano fisse, ma continuamente soggette a processi di negoziazione e reinterpretazione. Le teorie di Simone de Beauvoir, Judith Butler e Pierre Bourdieu offrono strumenti concettuali per unire la dimensione biologica e la dimensione socioculturale, così da poter arrivare ad una comprensione il più completa possibile del genere.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/4948