Il presente lavoro di tesi vuole essere un punto di partenza per provare ad immaginare alcune modalità altre di vivere la relazionalità, la cura, la convivenza, l’organizzazione dello spazio e la vita in senso lato; modalità che possano incrinare l’assioma dell’inevitabilità del dominio, dello sfruttamento e della lotta perenne come tratti essenziali e intrinseci alla condizione stessa dell’esistenza in ogni tempo, in ogni luogo, in ogni corpo sulla Terra. Per farlo, è necessario portare in luce le strutture fondamentali, le frontiere, su cui questo dominio si sorregge: una di queste, una di quelle più nascoste, è quella che si costruisce su una guerra stratificata, quella contro l’animalità nell’umano e quella contro gli altri animali; un’animalità da soggiogare, sacrificare, addomesticare e rimuovere in nome della civiltà, dell’ordine, del progresso e della sopravvivenza – la quale può essere intesa letteralmente con vivere al di sopra, anche rispetto al proprio corpo e alla sua vulnerabilità. Questa guerra è quella dell’umano e dell’umanità; ma non di tutti gli umani, quanto dell’umano occidentale e ancora più precisamente, del modello dell’umano occidentale egemone: di classe medio-alta, maschio, bianco, cisgender, eterosessuale. Questa è la sua guerra, ma al contempo, per la portata che ha assunto, coinvolge tutti i viventi nella realtà capitalista, colonialista, patriarcale e specista – la specie, per l’appunto, che non è tanto un criterio biologico oggettivo, ma un dispositivo che, come quello della razza e del genere, esiste per imprimere nella “naturalità” dati rapporti di forza; così come il dualismo umano/animale e quello culturale/naturale che, in tal senso, assumono dei significati tutti politici, in cui lo sconfinamento nelle une o nelle altre categorie è stabilito da criteri altri e decisi, per l’appunto, dall’Uomo razionale. Il pensiero e la prassi antispecista, se posti in un rapporto intersezionale con tutti gli altri movimenti di liberazione, con i movimenti decoloniali e avvalendosi di analisi come quelle di Adorno, Horkheimer e Derrida, possono dare preziosi strumenti per intessere relazioni orizzontali di solidarietà e resistenza transpecifiche, con cui sostenerci insieme per darci la spinta verso il “salto” oltre la ratio strumentale del dominio, senza lasciare nessuno indietro.

Il presente lavoro di tesi vuole essere un punto di partenza per provare ad immaginare alcune modalità altre di vivere la relazionalità, la cura, la convivenza, l’organizzazione dello spazio e la vita in senso lato; modalità che possano incrinare l’assioma dell’inevitabilità del dominio, dello sfruttamento e della lotta perenne come tratti essenziali e intrinseci alla condizione stessa dell’esistenza in ogni tempo, in ogni luogo, in ogni corpo sulla Terra. Per farlo, è necessario portare in luce le strutture fondamentali, le frontiere, su cui questo dominio si sorregge: una di queste, una di quelle più nascoste, è quella che si costruisce su una guerra stratificata, quella contro l’animalità nell’umano e quella contro gli altri animali; un’animalità da soggiogare, sacrificare, addomesticare e rimuovere in nome della civiltà, dell’ordine, del progresso e della sopravvivenza – la quale può essere intesa letteralmente con vivere al di sopra, anche rispetto al proprio corpo e alla sua vulnerabilità. Questa guerra è quella dell’umano e dell’umanità; ma non di tutti gli umani, quanto dell’umano occidentale e ancora più precisamente, del modello dell’umano occidentale egemone: di classe medio-alta, maschio, bianco, cisgender, eterosessuale. Questa è la sua guerra, ma al contempo, per la portata che ha assunto, coinvolge tutti i viventi nella realtà capitalista, colonialista, patriarcale e specista – la specie, per l’appunto, che non è tanto un criterio biologico oggettivo, ma un dispositivo che, come quello della razza e del genere, esiste per imprimere nella “naturalità” dati rapporti di forza; così come il dualismo umano/animale e quello culturale/naturale che, in tal senso, assumono dei significati tutti politici, in cui lo sconfinamento nelle une o nelle altre categorie è stabilito da criteri altri e decisi, per l’appunto, dall’Uomo razionale. Il pensiero e la prassi antispecista, se posti in un rapporto intersezionale con tutti gli altri movimenti di liberazione, con i movimenti decoloniali e avvalendosi di analisi come quelle di Adorno, Horkheimer e Derrida, possono dare preziosi strumenti per intessere relazioni orizzontali di solidarietà e resistenza transpecifiche, con cui sostenerci insieme per darci la spinta verso il “salto” oltre la ratio strumentale del dominio, senza lasciare nessuno indietro.

Antispecismo e Intersezionalità

ROTUNDO, GIORGIA
2023/2024

Abstract

Il presente lavoro di tesi vuole essere un punto di partenza per provare ad immaginare alcune modalità altre di vivere la relazionalità, la cura, la convivenza, l’organizzazione dello spazio e la vita in senso lato; modalità che possano incrinare l’assioma dell’inevitabilità del dominio, dello sfruttamento e della lotta perenne come tratti essenziali e intrinseci alla condizione stessa dell’esistenza in ogni tempo, in ogni luogo, in ogni corpo sulla Terra. Per farlo, è necessario portare in luce le strutture fondamentali, le frontiere, su cui questo dominio si sorregge: una di queste, una di quelle più nascoste, è quella che si costruisce su una guerra stratificata, quella contro l’animalità nell’umano e quella contro gli altri animali; un’animalità da soggiogare, sacrificare, addomesticare e rimuovere in nome della civiltà, dell’ordine, del progresso e della sopravvivenza – la quale può essere intesa letteralmente con vivere al di sopra, anche rispetto al proprio corpo e alla sua vulnerabilità. Questa guerra è quella dell’umano e dell’umanità; ma non di tutti gli umani, quanto dell’umano occidentale e ancora più precisamente, del modello dell’umano occidentale egemone: di classe medio-alta, maschio, bianco, cisgender, eterosessuale. Questa è la sua guerra, ma al contempo, per la portata che ha assunto, coinvolge tutti i viventi nella realtà capitalista, colonialista, patriarcale e specista – la specie, per l’appunto, che non è tanto un criterio biologico oggettivo, ma un dispositivo che, come quello della razza e del genere, esiste per imprimere nella “naturalità” dati rapporti di forza; così come il dualismo umano/animale e quello culturale/naturale che, in tal senso, assumono dei significati tutti politici, in cui lo sconfinamento nelle une o nelle altre categorie è stabilito da criteri altri e decisi, per l’appunto, dall’Uomo razionale. Il pensiero e la prassi antispecista, se posti in un rapporto intersezionale con tutti gli altri movimenti di liberazione, con i movimenti decoloniali e avvalendosi di analisi come quelle di Adorno, Horkheimer e Derrida, possono dare preziosi strumenti per intessere relazioni orizzontali di solidarietà e resistenza transpecifiche, con cui sostenerci insieme per darci la spinta verso il “salto” oltre la ratio strumentale del dominio, senza lasciare nessuno indietro.
Antispeciesism and intersectionality
Il presente lavoro di tesi vuole essere un punto di partenza per provare ad immaginare alcune modalità altre di vivere la relazionalità, la cura, la convivenza, l’organizzazione dello spazio e la vita in senso lato; modalità che possano incrinare l’assioma dell’inevitabilità del dominio, dello sfruttamento e della lotta perenne come tratti essenziali e intrinseci alla condizione stessa dell’esistenza in ogni tempo, in ogni luogo, in ogni corpo sulla Terra. Per farlo, è necessario portare in luce le strutture fondamentali, le frontiere, su cui questo dominio si sorregge: una di queste, una di quelle più nascoste, è quella che si costruisce su una guerra stratificata, quella contro l’animalità nell’umano e quella contro gli altri animali; un’animalità da soggiogare, sacrificare, addomesticare e rimuovere in nome della civiltà, dell’ordine, del progresso e della sopravvivenza – la quale può essere intesa letteralmente con vivere al di sopra, anche rispetto al proprio corpo e alla sua vulnerabilità. Questa guerra è quella dell’umano e dell’umanità; ma non di tutti gli umani, quanto dell’umano occidentale e ancora più precisamente, del modello dell’umano occidentale egemone: di classe medio-alta, maschio, bianco, cisgender, eterosessuale. Questa è la sua guerra, ma al contempo, per la portata che ha assunto, coinvolge tutti i viventi nella realtà capitalista, colonialista, patriarcale e specista – la specie, per l’appunto, che non è tanto un criterio biologico oggettivo, ma un dispositivo che, come quello della razza e del genere, esiste per imprimere nella “naturalità” dati rapporti di forza; così come il dualismo umano/animale e quello culturale/naturale che, in tal senso, assumono dei significati tutti politici, in cui lo sconfinamento nelle une o nelle altre categorie è stabilito da criteri altri e decisi, per l’appunto, dall’Uomo razionale. Il pensiero e la prassi antispecista, se posti in un rapporto intersezionale con tutti gli altri movimenti di liberazione, con i movimenti decoloniali e avvalendosi di analisi come quelle di Adorno, Horkheimer e Derrida, possono dare preziosi strumenti per intessere relazioni orizzontali di solidarietà e resistenza transpecifiche, con cui sostenerci insieme per darci la spinta verso il “salto” oltre la ratio strumentale del dominio, senza lasciare nessuno indietro.
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Descrizione: Tesi di laure magistrale in antropologia culturale ed etnologia
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/4939