Le Grandi Guerre del XX secolo hanno mutato considerevolmente gli scenari economici e politici dell'intero globo. I Paesi si erano resi conto dell'impossibilità di perseguire delle politiche basate sull'individualità nazionale e che la sempre maggiore interdipendenza tra le diverse economie del modo sarebbe stata una cosa inevitabile. Tutto ciò ha generato, dal secondo dopoguerra in poi, una crescente necessità da parte dei Paesi di abbandonare ciò che li potesse isolare in questo contesto sempre più globalizzato e interconnesso. Gli accordi commerciali tra gli Stati, che fino ad allora erano stati prettamente di natura bilaterale, iniziano ad assumere una nuova forma, quella del multilateralismo. L'esempio principe fu il GATT (General Agreement on Tariffs and Trade), firmato nell'ottobre del 1947 da 23 Paesi, tra cui le più importanti economie mondiali, con l'intento di perseguire lo sviluppo economico attraverso atteggiamenti cooperativi. Questi atteggiamenti cooperativi presupponevano una sostanziale riduzione dei livelli di protezionismo commerciale che tutti i Paesi avevano avuto fino ad allora. Lo strumento protezionista per eccellenza della politica commerciale era quello del dazio e, pertanto, gli Stati si concentrarono notevolmente nel voler abbassare i livelli tariffari che avevano imposto negli scambi fino ad allora. Questa linea di pensiero è stata sostenuta fino agli anni più recenti, infatti, come si vedrà nell'elaborato, le barriere commerciali si sono sensibilmente ridotte dalla nascita del GATT ad oggi. Tuttavia, ad interrompere questa evoluzione del liberalismo commerciale, sono entrati in scena gli Stati Uniti che, con l'elezione alla presidenza del conservatore Donald Trump, hanno creato una frattura col pensiero moderno del commercio internazionale. L'idea della politica commerciale del neopresidente degli Stati Uniti non si basa, quindi, su una cooperazione che possa permettere uno sviluppo omogeneo dell'economia globale, piuttosto si basa sul ritorno ad un protezionismo che, a suo avviso, possa permettere agli States di rimanere una tra le principali economie del mondo. Questa scelta, rivelatasi per ora piuttosto discutibile, è emersa con il timore delle possibili conseguenze che la forte ascesa cinese sullo scenario economico internazionale avrebbero potuto comportare. Trump, cavalcando i residui che la crisi finanziaria del 2008 aveva lasciato sull'economia americana, è riuscito a convincere gli elettori che i problemi dell'economia interna, in realtà, avevano radici esterne. Ovviamente la Cina, Stato con alti livelli di export verso gli Stati Uniti, principale detentrice di quote di debito pubblico statunitense e, perdipiù Paese a regime comunista, ha rappresentato per il presidente USA la giusta foce in cui incanalare i problemi economici degli States. Pertanto, non appena Trump ha avuto la possibilità di sfidare la Cina sul tema commerciale, si è innescato un contenzioso tra i due Paesi che, di fatto, è scaturito in una vera e propria “trade war”. Questa guerra commerciale ha dato al presidente statunitense il pretesto di attuare la sua idea di politica commerciale attraverso minacce e implementazioni di barriere tariffarie, prima di tutto rivolte verso la Cina, ma che di fatto hanno colpito anche altre economie mondiali: l'Unione Europea è stata una di quelle.
IL DAZIO: UN "NUOVO" STRUMENTO NELLA GUERRA COMMERCIALE DI TRUMP
MATTIOLI, JACOPO
2018/2019
Abstract
Le Grandi Guerre del XX secolo hanno mutato considerevolmente gli scenari economici e politici dell'intero globo. I Paesi si erano resi conto dell'impossibilità di perseguire delle politiche basate sull'individualità nazionale e che la sempre maggiore interdipendenza tra le diverse economie del modo sarebbe stata una cosa inevitabile. Tutto ciò ha generato, dal secondo dopoguerra in poi, una crescente necessità da parte dei Paesi di abbandonare ciò che li potesse isolare in questo contesto sempre più globalizzato e interconnesso. Gli accordi commerciali tra gli Stati, che fino ad allora erano stati prettamente di natura bilaterale, iniziano ad assumere una nuova forma, quella del multilateralismo. L'esempio principe fu il GATT (General Agreement on Tariffs and Trade), firmato nell'ottobre del 1947 da 23 Paesi, tra cui le più importanti economie mondiali, con l'intento di perseguire lo sviluppo economico attraverso atteggiamenti cooperativi. Questi atteggiamenti cooperativi presupponevano una sostanziale riduzione dei livelli di protezionismo commerciale che tutti i Paesi avevano avuto fino ad allora. Lo strumento protezionista per eccellenza della politica commerciale era quello del dazio e, pertanto, gli Stati si concentrarono notevolmente nel voler abbassare i livelli tariffari che avevano imposto negli scambi fino ad allora. Questa linea di pensiero è stata sostenuta fino agli anni più recenti, infatti, come si vedrà nell'elaborato, le barriere commerciali si sono sensibilmente ridotte dalla nascita del GATT ad oggi. Tuttavia, ad interrompere questa evoluzione del liberalismo commerciale, sono entrati in scena gli Stati Uniti che, con l'elezione alla presidenza del conservatore Donald Trump, hanno creato una frattura col pensiero moderno del commercio internazionale. L'idea della politica commerciale del neopresidente degli Stati Uniti non si basa, quindi, su una cooperazione che possa permettere uno sviluppo omogeneo dell'economia globale, piuttosto si basa sul ritorno ad un protezionismo che, a suo avviso, possa permettere agli States di rimanere una tra le principali economie del mondo. Questa scelta, rivelatasi per ora piuttosto discutibile, è emersa con il timore delle possibili conseguenze che la forte ascesa cinese sullo scenario economico internazionale avrebbero potuto comportare. Trump, cavalcando i residui che la crisi finanziaria del 2008 aveva lasciato sull'economia americana, è riuscito a convincere gli elettori che i problemi dell'economia interna, in realtà, avevano radici esterne. Ovviamente la Cina, Stato con alti livelli di export verso gli Stati Uniti, principale detentrice di quote di debito pubblico statunitense e, perdipiù Paese a regime comunista, ha rappresentato per il presidente USA la giusta foce in cui incanalare i problemi economici degli States. Pertanto, non appena Trump ha avuto la possibilità di sfidare la Cina sul tema commerciale, si è innescato un contenzioso tra i due Paesi che, di fatto, è scaturito in una vera e propria “trade war”. Questa guerra commerciale ha dato al presidente statunitense il pretesto di attuare la sua idea di politica commerciale attraverso minacce e implementazioni di barriere tariffarie, prima di tutto rivolte verso la Cina, ma che di fatto hanno colpito anche altre economie mondiali: l'Unione Europea è stata una di quelle.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/48175