Tema d’eccezione, sin dalle origini duecentesche, della nostra tradizione letteraria, nel Quattrocento italiano la teorizzazione della natura dell’amore prese nuovo slancio in seguito alla riscoperta della filosofia di Platone. A Firenze, in particolare, e al riparo della corte medicea, dove Marsilio Ficino, appena ultimata la traduzione degli scritti del ‘padre de’ philosophi’, con il proprio Commentarium in Convivium Platonis de amore del 1469 diede un primo saggio dell’adattabilità del patrimonio concettuale dei Platonici alla trattazione del più umano e concreto dei sentimenti. Nel lavoro che qui si presenta, si è voluto ripercorrere in tre tappe l’evoluzione rinascimentale di quest’inedita ‘filosofia dell’amore’ nata sotto il segno del platonismo. Per farlo, nella prima parte della tesi ci si è dedicati anzitutto all’illustrazione della sua fondazione quattrocentesca, realizzata attraverso la rassegna, oltrechè di quelli ficiniani, dei contributi del Commento sopra una canzona de amore composta da Girolamo Benivieni di Giovanni Pico della Mirandola e del dittico composto dal De Amore libri tres, e dal Panegyricus in Amorem di Francesco Cattani da Diacceto. Nella seconda, invece, si è considerata la configurazione ‘eccentrica’ dell’erotologia contenuta nei Dialoghi d’amore di Yehudah Abarbanel, conosciuto tra i latini come Leone Ebreo. Nella terza, si è concluso con l’analisi della dottrina dell’amore del fiorentino Benedetto Varchi esposta nelle Lezioni Accademiche da lui tenute all’Accademia degli Infiammati e all’Accademia Fiorentina e, insieme, nel Dialogo della infinità di amore della cortigiana Tullia d’Aragona (opera che, come si vedrà, per via della sua incerta attribuzione costituisce un asse fondamentale del pensiero varchiano). Dal punto di vista metodologico, al piano della descrizione storico-culturale del loro operato, si è poi affiancata una considerazione più strettamente teoretica delle dottrine di questa serie di autori. A questo livello, è sembrato di poter individuare il centro della discussione filosofica in due poli fondamentali: l’uno vertente sulla questione della convertibilità dell’eros platonico con l’amore predicabile di Dio, l’altro avente per oggetto la definizione corretta della natura di amore, sempre divisa tra il problema della strutturazione di una teoria del desiderio e, ovviamente, quello della caratterizzazione dell’idea di Bellezza. La ricchezza di tale discussione, come si potrà notare nel corso della trattazione, consiste da un lato nel bilanciamento, differente in ciascuno degli interpreti dei ‘misterii d’amore’, di istanze concettuali neoplatoniche e aristoteliche e, dunque, nel confronto di diversi sistemi di impronta concordistica; dall’altro - soprattutto nella filosofia varchiana - nell’applicazione delle sopraddette istanze concettuali a materiali perlopiù poetico-letterari, secondo le logiche di un adattamento tanto più frequente quanto più andrà affermandosi quella tendenza storica per cui, come affermò Eugenio Garin, «in discussioni di maniera venne estenuandosi l’opposizione platonica all’aristotelismo accademico».

"Lo sviluppo della filosofia dell'amore nel platonismo rinascimentale: l'eredità del Quattrocento, Leone Ebreo e Benedetto Varchi"

SOLA, ANDREA
2020/2021

Abstract

Tema d’eccezione, sin dalle origini duecentesche, della nostra tradizione letteraria, nel Quattrocento italiano la teorizzazione della natura dell’amore prese nuovo slancio in seguito alla riscoperta della filosofia di Platone. A Firenze, in particolare, e al riparo della corte medicea, dove Marsilio Ficino, appena ultimata la traduzione degli scritti del ‘padre de’ philosophi’, con il proprio Commentarium in Convivium Platonis de amore del 1469 diede un primo saggio dell’adattabilità del patrimonio concettuale dei Platonici alla trattazione del più umano e concreto dei sentimenti. Nel lavoro che qui si presenta, si è voluto ripercorrere in tre tappe l’evoluzione rinascimentale di quest’inedita ‘filosofia dell’amore’ nata sotto il segno del platonismo. Per farlo, nella prima parte della tesi ci si è dedicati anzitutto all’illustrazione della sua fondazione quattrocentesca, realizzata attraverso la rassegna, oltrechè di quelli ficiniani, dei contributi del Commento sopra una canzona de amore composta da Girolamo Benivieni di Giovanni Pico della Mirandola e del dittico composto dal De Amore libri tres, e dal Panegyricus in Amorem di Francesco Cattani da Diacceto. Nella seconda, invece, si è considerata la configurazione ‘eccentrica’ dell’erotologia contenuta nei Dialoghi d’amore di Yehudah Abarbanel, conosciuto tra i latini come Leone Ebreo. Nella terza, si è concluso con l’analisi della dottrina dell’amore del fiorentino Benedetto Varchi esposta nelle Lezioni Accademiche da lui tenute all’Accademia degli Infiammati e all’Accademia Fiorentina e, insieme, nel Dialogo della infinità di amore della cortigiana Tullia d’Aragona (opera che, come si vedrà, per via della sua incerta attribuzione costituisce un asse fondamentale del pensiero varchiano). Dal punto di vista metodologico, al piano della descrizione storico-culturale del loro operato, si è poi affiancata una considerazione più strettamente teoretica delle dottrine di questa serie di autori. A questo livello, è sembrato di poter individuare il centro della discussione filosofica in due poli fondamentali: l’uno vertente sulla questione della convertibilità dell’eros platonico con l’amore predicabile di Dio, l’altro avente per oggetto la definizione corretta della natura di amore, sempre divisa tra il problema della strutturazione di una teoria del desiderio e, ovviamente, quello della caratterizzazione dell’idea di Bellezza. La ricchezza di tale discussione, come si potrà notare nel corso della trattazione, consiste da un lato nel bilanciamento, differente in ciascuno degli interpreti dei ‘misterii d’amore’, di istanze concettuali neoplatoniche e aristoteliche e, dunque, nel confronto di diversi sistemi di impronta concordistica; dall’altro - soprattutto nella filosofia varchiana - nell’applicazione delle sopraddette istanze concettuali a materiali perlopiù poetico-letterari, secondo le logiche di un adattamento tanto più frequente quanto più andrà affermandosi quella tendenza storica per cui, come affermò Eugenio Garin, «in discussioni di maniera venne estenuandosi l’opposizione platonica all’aristotelismo accademico».
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