L'opera conosciuta con il titolo di Partitiones oratoriae è un compendio di retorica in forma di dialogo tra Cicerone e il figlio, il quale, secondo la finzione letteraria, chiede al padre di ripetergli in latino i precetti che gli ha già insegnato in greco. Si tratta di un testo dallo stile molto scarno ed essenziale, una sorta di catechismo, che ha circolazione piuttosto ampia nel Medioevo, soprattutto nelle scuole. La sua tradizione si divide in due rami, A e J, individuati da E. Ströbel a fine Ottocento e ridenominati Φ e Ψ da R. Giomini nel 1996. A partire dalla fine del XV secolo gli editori costituiscono il testo sulla base della famiglia Ψ, fino a quando nel 1893 W. Friedrich, curatore dell'edizione Teubner, conferisce assoluta preminenza a due codici Parisini (P p), appartenenti a Φ. Da questo momento il ramo Ψ viene considerato deteriore e le sue lezioni sono spesso sottovalutate dai tre editori novecenteschi: A.S. Wilkins (Oxford 1903), H. Bornecque (Paris 1924) e R. Giomini (Roma 1996). Il mio lavoro consiste nella collazione integrale di due importanti codici della famiglia Ψ, entrambi vergati nell'Italia settentrionale: Wien 157, della fine del XII o dell'inizio del XIII secolo, siglato I, e Troyes 552 (T), della prima metà del XIV secolo, amplissima raccolta di opere di Cicerone appartenuta a Petrarca. Per mezzo dell'esame degli errores coniunctivi e disiunctivi tra i due manoscritti si tenta poi di dimostrare che T non sarebbe copia di I (come afferma Giomini), ma figlio di un esemplare trascritto dal medesimo antigrafo di I. Infine è lasciato spazio a una riflessione su quelle varianti di I T, condivise dal resto del ramo Ψ, degne di nota e troppo spesso trascurate dagli editori moderni.

I codici Wien 157 e Troyes 552 delle Partitiones oratoriae di Cicerone

GIORDANO, MILENA
2012/2013

Abstract

L'opera conosciuta con il titolo di Partitiones oratoriae è un compendio di retorica in forma di dialogo tra Cicerone e il figlio, il quale, secondo la finzione letteraria, chiede al padre di ripetergli in latino i precetti che gli ha già insegnato in greco. Si tratta di un testo dallo stile molto scarno ed essenziale, una sorta di catechismo, che ha circolazione piuttosto ampia nel Medioevo, soprattutto nelle scuole. La sua tradizione si divide in due rami, A e J, individuati da E. Ströbel a fine Ottocento e ridenominati Φ e Ψ da R. Giomini nel 1996. A partire dalla fine del XV secolo gli editori costituiscono il testo sulla base della famiglia Ψ, fino a quando nel 1893 W. Friedrich, curatore dell'edizione Teubner, conferisce assoluta preminenza a due codici Parisini (P p), appartenenti a Φ. Da questo momento il ramo Ψ viene considerato deteriore e le sue lezioni sono spesso sottovalutate dai tre editori novecenteschi: A.S. Wilkins (Oxford 1903), H. Bornecque (Paris 1924) e R. Giomini (Roma 1996). Il mio lavoro consiste nella collazione integrale di due importanti codici della famiglia Ψ, entrambi vergati nell'Italia settentrionale: Wien 157, della fine del XII o dell'inizio del XIII secolo, siglato I, e Troyes 552 (T), della prima metà del XIV secolo, amplissima raccolta di opere di Cicerone appartenuta a Petrarca. Per mezzo dell'esame degli errores coniunctivi e disiunctivi tra i due manoscritti si tenta poi di dimostrare che T non sarebbe copia di I (come afferma Giomini), ma figlio di un esemplare trascritto dal medesimo antigrafo di I. Infine è lasciato spazio a una riflessione su quelle varianti di I T, condivise dal resto del ramo Ψ, degne di nota e troppo spesso trascurate dagli editori moderni.
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