Il 4 novembre del 2008 il senatore dell'Illinois, Barack Hussein Obama II, fu eletto 44° Presidente degli Stati Uniti d'America dopo uno scontro elettorale con il senatore dell'Arizona, John McCain, in cui trionfò con il 53% delle preferenze e quasi 67 milioni di voti. Quattro anni dopo, però, gli Stati Uniti d'America si sono affacciati all'anno delle elezioni ancora immersi in quei problemi, in parte ereditati dall'amministrazione precedente, che il governo Obama non è riuscito a risolvere ma di cui, probabilmente è riuscito a prevenire conseguenze peggiori. Le leggi promulgate per arginare l'aumento del tasso di disoccupazione e per dare uno stimolo all'economia, oltre al salvataggio dei maggiori istituti di credito ed ai finanziamenti a diversi settori industriali hanno aumentato l'intervento dello Stato nell'economia ma non hanno sortito l'effetto immediato che l'amministrazione sperava di ottenere, contribuendo, anzi, ad accrescere il debito pubblico nazionale. La guerra in Iraq, che aveva segnato il punto più basso della popolarità americana nel mondo oltre che a pesare in maniera devastante sui conti pubblici americani , è finita ma rimane aperto il conflitto in Afghanistan, da cui non si vede ancora una chiara via d'uscita. Le maggiori responsabilità del protrarsi di queste situazioni devono, sicuramente, essere addebitate all'esecutivo in carica ma non possono prescindere da una valutazione sull'aumento della polarizzazione politica che si è verificata in questi anni. Le elezioni del 2008 e il loro culmine, la vittoria del primo Presidente nero della storia americana, infatti, segnarono un punto di svolta nei rapporti tra il partito democratico e quello repubblicano. I democratici, galvanizzati da una vittoria schiacciante, si riunirono attorno al loro nuovo leader, assimilandone le tecniche di comunicazione e la macchina elettorale e subendo le conseguenze delle decisioni, delle politiche e della sua impopolarità. Obama aveva promesso non solo riforme fuori dall'ordinario ma, soprattutto, un cambiamento etico dei governanti dopo gli anni difficili della gestione Bush ed una collaborazione proficua con gli avversari nell'ottica degli interessi della cittadinanza americana. La sconfitta del partito repubblicano, all'opposto, fu il segno più evidente della crisi che imperversava da anni e che gli errori dell'amministrazione Bush non avevano fatto altro che rimarcare. La divisione interna e la mancanza di una prospettiva condivisa impedirono quella ricostruzione che diversi osservatori politici e lo stesso McCain avevano auspicato in seguito alle elezioni. Durante gli anni di governo, i repubblicani di Camera e Senato si limitarono ad un ostruzionismo cieco mirato all'affossamento delle proposte degli avversari e ad evidenziarne il fallimento. Questa tendenza si radicalizzò ulteriormente in seguito alle elezioni di midterm, che furono condizionate dal movimento Tea Party che permise l'elezione di nuovi deputati e senatori più conservatori dei precedenti.

La campagna presidenziale americana del 2012

SADDI, FRANCESCO MARIA
2011/2012

Abstract

Il 4 novembre del 2008 il senatore dell'Illinois, Barack Hussein Obama II, fu eletto 44° Presidente degli Stati Uniti d'America dopo uno scontro elettorale con il senatore dell'Arizona, John McCain, in cui trionfò con il 53% delle preferenze e quasi 67 milioni di voti. Quattro anni dopo, però, gli Stati Uniti d'America si sono affacciati all'anno delle elezioni ancora immersi in quei problemi, in parte ereditati dall'amministrazione precedente, che il governo Obama non è riuscito a risolvere ma di cui, probabilmente è riuscito a prevenire conseguenze peggiori. Le leggi promulgate per arginare l'aumento del tasso di disoccupazione e per dare uno stimolo all'economia, oltre al salvataggio dei maggiori istituti di credito ed ai finanziamenti a diversi settori industriali hanno aumentato l'intervento dello Stato nell'economia ma non hanno sortito l'effetto immediato che l'amministrazione sperava di ottenere, contribuendo, anzi, ad accrescere il debito pubblico nazionale. La guerra in Iraq, che aveva segnato il punto più basso della popolarità americana nel mondo oltre che a pesare in maniera devastante sui conti pubblici americani , è finita ma rimane aperto il conflitto in Afghanistan, da cui non si vede ancora una chiara via d'uscita. Le maggiori responsabilità del protrarsi di queste situazioni devono, sicuramente, essere addebitate all'esecutivo in carica ma non possono prescindere da una valutazione sull'aumento della polarizzazione politica che si è verificata in questi anni. Le elezioni del 2008 e il loro culmine, la vittoria del primo Presidente nero della storia americana, infatti, segnarono un punto di svolta nei rapporti tra il partito democratico e quello repubblicano. I democratici, galvanizzati da una vittoria schiacciante, si riunirono attorno al loro nuovo leader, assimilandone le tecniche di comunicazione e la macchina elettorale e subendo le conseguenze delle decisioni, delle politiche e della sua impopolarità. Obama aveva promesso non solo riforme fuori dall'ordinario ma, soprattutto, un cambiamento etico dei governanti dopo gli anni difficili della gestione Bush ed una collaborazione proficua con gli avversari nell'ottica degli interessi della cittadinanza americana. La sconfitta del partito repubblicano, all'opposto, fu il segno più evidente della crisi che imperversava da anni e che gli errori dell'amministrazione Bush non avevano fatto altro che rimarcare. La divisione interna e la mancanza di una prospettiva condivisa impedirono quella ricostruzione che diversi osservatori politici e lo stesso McCain avevano auspicato in seguito alle elezioni. Durante gli anni di governo, i repubblicani di Camera e Senato si limitarono ad un ostruzionismo cieco mirato all'affossamento delle proposte degli avversari e ad evidenziarne il fallimento. Questa tendenza si radicalizzò ulteriormente in seguito alle elezioni di midterm, che furono condizionate dal movimento Tea Party che permise l'elezione di nuovi deputati e senatori più conservatori dei precedenti.
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