Questo progetto di tesi di laurea specialistica nasce dalla passione per la ricerca storica e dalla curiosità per un argomento di cui, a livello di conoscenza diffusa, si sa davvero poco. Sugli aspetti negativi del nostro, seppur breve, colonialismo è calato nel corso degli anni una spessa cortina fumogena, tanto che l'ammissione ufficiale in merito all'impiego dei gas tossici da parte del governo italiano arriva solo nel 1996. Dalla constatazione di questa evidenza è appunto sorto l'interesse di capire il perché di quella che lo storico e giornalista piemontese Angelo Del Boca ritiene essere una ¿rimozione totale¿; oltre alla necessità di indagare nei dettagli quella che ne rappresenta senza dubbio la pagina più oscura, ossia l'impiego dei gas sulle popolazioni etiopiche. La tesi é divisa in 5 capitoli, più un'introduzione ed una conclusione. Il primo è dedicato alla definizione e classificazione degli agenti chimici utilizzati in guerra, rifacendosi ai più diffusi testi scientifici sull'argomento, oltre che, ovviamente, al testo della Convenzione sulla proibizione delle armi chimiche del 1993. La seconda sezione della tesi é dedicata alla corposa ricostruzione dell'intera campagna d'Abissinia, dai primi anni '30 alla seconda guerra mondiale.Una volta stabilite le responsabilità e le tempistiche della decisione d'invadere l'Etiopia, prende le mosse un'ampia rassegna degli avvenimenti principali del conflitto. Il succedersi degli eventi porta al paragrafo nel quale si propone un resoconto dell'opera dell'aviazione e dei suoi bombardamenti ad iprite ed arsine. La terza sezione funge da ponte tra gli avvenimenti della guerra italo-etiopica ed i giorni nostri. In questa terza parte si cerca infatti di ricostruire il percorso della memorialistica del conflitto. Dopo una necessaria premessa dedicata al ruolo della propaganda di regime e alla sua totalizzante opera di imposizione di una retorica indiscutibile, si va alla ricerca delle peculiarità dei ricordi dei reduci, dividendole secondo un criterio cronologico. Il quarto capitolo del progetto prova a ricostruire le fasi del dibattito pubblico in merito all'uso dei gas in Etiopia, dagli anni '60, ai primi anni del nuovo millennio. Per raccontare questa vicenda è stato necessario ripercorrere la storia personale dei due storici che maggiormente hanno contribuito a detto percorso. Infatti, il capitolo è arricchito da quanto emerso dalle interviste con Angelo Del Boca e Giorgio Rochat, oltre che da una corposa selezione degli articoli comparsi sui maggiori quotidiani nazionali. Dopo aver descritto le difficoltà archivistiche dei due storici, le invettive subite a mezzo stampa, le polemiche con l'ex ministro dell'Africa italiana Alessandro Lessona e con Montanelli, si arriva finalmente all'ammissione del ministro Corcione, che pone una pietra tombale sulle velleità negazioniste di chi riteneva il nostro un colonialismo migliore rispetto a tutti gli altri. Proprio quest'ultimo radicatissimo preconcetto è alla base del capitolo V, nel quale si analizzano le cause maggiori della creazione del mito del ¿bono italiano¿. La tesi di queste pagine è infatti che il mito degli ¿italiani brava gente¿ si sia originato proprio dalla nostra avventura in Africa, e poi con il finire del secondo conflitto mondiale. Si giunge allora all'analisi dei due più importanti prodromi del mito in esame: la ¿mancata Norimberga italiana¿ e la dicotomia ¿italiano buono-tedesco cattivo¿.

L'ARMA CHIMICA ITALIANA IN ETIOPIA: L'OBLIO, LA MEMORIA E IL DIBATTITO DAL FASCISMO ALLA SECONDA REPUBBLICA

BELLADONNA, SIMONE
2011/2012

Abstract

Questo progetto di tesi di laurea specialistica nasce dalla passione per la ricerca storica e dalla curiosità per un argomento di cui, a livello di conoscenza diffusa, si sa davvero poco. Sugli aspetti negativi del nostro, seppur breve, colonialismo è calato nel corso degli anni una spessa cortina fumogena, tanto che l'ammissione ufficiale in merito all'impiego dei gas tossici da parte del governo italiano arriva solo nel 1996. Dalla constatazione di questa evidenza è appunto sorto l'interesse di capire il perché di quella che lo storico e giornalista piemontese Angelo Del Boca ritiene essere una ¿rimozione totale¿; oltre alla necessità di indagare nei dettagli quella che ne rappresenta senza dubbio la pagina più oscura, ossia l'impiego dei gas sulle popolazioni etiopiche. La tesi é divisa in 5 capitoli, più un'introduzione ed una conclusione. Il primo è dedicato alla definizione e classificazione degli agenti chimici utilizzati in guerra, rifacendosi ai più diffusi testi scientifici sull'argomento, oltre che, ovviamente, al testo della Convenzione sulla proibizione delle armi chimiche del 1993. La seconda sezione della tesi é dedicata alla corposa ricostruzione dell'intera campagna d'Abissinia, dai primi anni '30 alla seconda guerra mondiale.Una volta stabilite le responsabilità e le tempistiche della decisione d'invadere l'Etiopia, prende le mosse un'ampia rassegna degli avvenimenti principali del conflitto. Il succedersi degli eventi porta al paragrafo nel quale si propone un resoconto dell'opera dell'aviazione e dei suoi bombardamenti ad iprite ed arsine. La terza sezione funge da ponte tra gli avvenimenti della guerra italo-etiopica ed i giorni nostri. In questa terza parte si cerca infatti di ricostruire il percorso della memorialistica del conflitto. Dopo una necessaria premessa dedicata al ruolo della propaganda di regime e alla sua totalizzante opera di imposizione di una retorica indiscutibile, si va alla ricerca delle peculiarità dei ricordi dei reduci, dividendole secondo un criterio cronologico. Il quarto capitolo del progetto prova a ricostruire le fasi del dibattito pubblico in merito all'uso dei gas in Etiopia, dagli anni '60, ai primi anni del nuovo millennio. Per raccontare questa vicenda è stato necessario ripercorrere la storia personale dei due storici che maggiormente hanno contribuito a detto percorso. Infatti, il capitolo è arricchito da quanto emerso dalle interviste con Angelo Del Boca e Giorgio Rochat, oltre che da una corposa selezione degli articoli comparsi sui maggiori quotidiani nazionali. Dopo aver descritto le difficoltà archivistiche dei due storici, le invettive subite a mezzo stampa, le polemiche con l'ex ministro dell'Africa italiana Alessandro Lessona e con Montanelli, si arriva finalmente all'ammissione del ministro Corcione, che pone una pietra tombale sulle velleità negazioniste di chi riteneva il nostro un colonialismo migliore rispetto a tutti gli altri. Proprio quest'ultimo radicatissimo preconcetto è alla base del capitolo V, nel quale si analizzano le cause maggiori della creazione del mito del ¿bono italiano¿. La tesi di queste pagine è infatti che il mito degli ¿italiani brava gente¿ si sia originato proprio dalla nostra avventura in Africa, e poi con il finire del secondo conflitto mondiale. Si giunge allora all'analisi dei due più importanti prodromi del mito in esame: la ¿mancata Norimberga italiana¿ e la dicotomia ¿italiano buono-tedesco cattivo¿.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/44237