Mi paracaduto dall’aeroplano, non so dove andare. Apro la mappa e scelgo uno stabile a caso, è la prima volta che entro in questo mondo. So solo di dover trovare un’arma, e presto. Dentro la casa scelgo di camperarmi sopra il lavandino in bagno. In qualsiasi momento un team potrebbe arrivare, io sono da sola perché volevo che le mie prime esperienze di gioco fossero di prova, per capire come funziona il battle royale. L’esperienza sonora è totale, sento le gocce d’acqua cadere dal soffione della doccia, il pavimento che scricchiola, il vento che sposta le lamiere del tetto, gli uccelli fuori dalla casa, gli spari in lontananza e poi il rumore di una macchina. Sono in gioco da quattro minuti, è tanto, non ho ancora preso il drop e quindi non ho “fantasma”. Il team che è appena sceso dalla macchina potrebbe avere il sensore di battito cardiaco e vedermi. Forse è per quello che hanno scelto questa casa, perché sanno esattamente dove sono; però non credo, dato che stanno loottando le casse nelle altre camere. Sento dei passi avvicinarsi, qualcuno sta per entrare in bagno, e io ho solo un “pellington”. Il nemico passa davanti alla porta del mio bagno, sparo ma non lo colpisco. Con i cecchini in close-range è così: se sbagli il primo colpo sei morto. Non ho tempo a far scorrere l’otturatore del mio fucile per avere un secondo colpo in canna che l’intero team nemico piomba su di me e mi finisce senza troppi complimenti. Immagina di immergerti nella stessa situazione che ho appena descritto, senza esperienza di giochi in battle royale, senza armi e senza possibilità di vittoria, ma con la speranza di intraprendere un lavoro etnografico virtuale quando l'unico scopo degli altri giocatori è ucciderti: tutto ciò descrive esattamente la mia prima volta sul campo. Per fortuna i miei interlocutori non saranno quelli che sparano a me, bensì quelli che spareranno insieme a me. Questa tesi è il risultato di cinque mesi di lavoro di campo nelle mappe digitali di Verdansk e Rebirth Island, raggiunti tramite una connessione Wi-Fi, uno schermo e una consolle Xbox. I capitoli che seguono intendono offrire un’etnografia del mondo virtuale del videogioco “Call of Duty: Warzone” attraverso l'analisi di tre tematiche, rese centrali attraverso la ricerca e l’osservazione partecipante. Il primo capitolo è dedicato alla presentazione dell’antropologia digitale, e in particolare al concetto di “netnografia” . Il secondo capitolo è dedicato invece a Warzone, alle sue modalità di funzionamento e alle caratteristiche di accesso e gioco. Nel capitolo successivo sono esposte le modalità del mio ingresso sul campo, insieme al tema – fondamentale – della socialità tra video-giocatori. Nei capitoli seguenti vengono infine discussi altri due aspetti centrali emersi durante la ricerca, ovvero la “comunità” e la dimensione linguistica, terminando infine la tesi con alcune considerazioni personali circa futuri sviluppi.

Call of Duty: Warzone Etnografia digitale di una comunità videoludica

FOIST, ASHLYNN ERIN
2020/2021

Abstract

Mi paracaduto dall’aeroplano, non so dove andare. Apro la mappa e scelgo uno stabile a caso, è la prima volta che entro in questo mondo. So solo di dover trovare un’arma, e presto. Dentro la casa scelgo di camperarmi sopra il lavandino in bagno. In qualsiasi momento un team potrebbe arrivare, io sono da sola perché volevo che le mie prime esperienze di gioco fossero di prova, per capire come funziona il battle royale. L’esperienza sonora è totale, sento le gocce d’acqua cadere dal soffione della doccia, il pavimento che scricchiola, il vento che sposta le lamiere del tetto, gli uccelli fuori dalla casa, gli spari in lontananza e poi il rumore di una macchina. Sono in gioco da quattro minuti, è tanto, non ho ancora preso il drop e quindi non ho “fantasma”. Il team che è appena sceso dalla macchina potrebbe avere il sensore di battito cardiaco e vedermi. Forse è per quello che hanno scelto questa casa, perché sanno esattamente dove sono; però non credo, dato che stanno loottando le casse nelle altre camere. Sento dei passi avvicinarsi, qualcuno sta per entrare in bagno, e io ho solo un “pellington”. Il nemico passa davanti alla porta del mio bagno, sparo ma non lo colpisco. Con i cecchini in close-range è così: se sbagli il primo colpo sei morto. Non ho tempo a far scorrere l’otturatore del mio fucile per avere un secondo colpo in canna che l’intero team nemico piomba su di me e mi finisce senza troppi complimenti. Immagina di immergerti nella stessa situazione che ho appena descritto, senza esperienza di giochi in battle royale, senza armi e senza possibilità di vittoria, ma con la speranza di intraprendere un lavoro etnografico virtuale quando l'unico scopo degli altri giocatori è ucciderti: tutto ciò descrive esattamente la mia prima volta sul campo. Per fortuna i miei interlocutori non saranno quelli che sparano a me, bensì quelli che spareranno insieme a me. Questa tesi è il risultato di cinque mesi di lavoro di campo nelle mappe digitali di Verdansk e Rebirth Island, raggiunti tramite una connessione Wi-Fi, uno schermo e una consolle Xbox. I capitoli che seguono intendono offrire un’etnografia del mondo virtuale del videogioco “Call of Duty: Warzone” attraverso l'analisi di tre tematiche, rese centrali attraverso la ricerca e l’osservazione partecipante. Il primo capitolo è dedicato alla presentazione dell’antropologia digitale, e in particolare al concetto di “netnografia” . Il secondo capitolo è dedicato invece a Warzone, alle sue modalità di funzionamento e alle caratteristiche di accesso e gioco. Nel capitolo successivo sono esposte le modalità del mio ingresso sul campo, insieme al tema – fondamentale – della socialità tra video-giocatori. Nei capitoli seguenti vengono infine discussi altri due aspetti centrali emersi durante la ricerca, ovvero la “comunità” e la dimensione linguistica, terminando infine la tesi con alcune considerazioni personali circa futuri sviluppi.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/43842