Il dibattito pubblico contemporaneo risente fortemente di una percezione distorta, infatti nel momento in cui ci confrontiamo con l'altro, e in più generale con la diversità, pretendiamo di poter adottare in contesti diversi una visione assoluta per risolvere la complessità. Siamo di fronte a un bias di conferma: cerchiamo di ricondurre l'altro, che come tale esce dai nostri schemi, entro delle categorie già in nostro possesso, tendendo a considerare le persone in compartimenti stagni, senza possibilità di comunicare. Il mondo, secondo questa prospettiva non sarebbe un insieme di individui che appartengono a collettività molteplici, ma piuttosto a gruppi religiosi, culturali, etnici rigidamente separati gli uni dagli altri e mai in contatto. Oggi è più che mai essenziale tentare di indebolire queste retoriche basate su un'assolutizzazione univoca delle identità e sostituirle con narrazioni in grado di sottolineare la contingenza di tutte le definizioni del sé e dell'altro da sé. Insistere sulla valenza plurale e ibrida del mondo moderno globalizzato e di ciò che si continua a etichettare come Occidente comporta situarsi in uno spazio critico e aperto, nel quale interrogarsi e cercare di liberarsi da una difesa rigida di un'identità storica. La necessità di rivolgere la nostra attenzione alla dimensione relazionale della costruzione del sé e dell'altro da sé e di guardare alla contemporaneità come un'esperienza di riconoscimento, implica dunque un sovvertimento di quel discorso negativo che ha da sempre influenzato il rapporto tra noi (europei, occidentali, cristiani) e gli altri (l'Islam). Ciò può avvenire attraverso una disamina di tutti quei termini che caratterizzano la quotidianità, col fine di coglierne profondamente gli aspetti per rimodellare la propria personale percezione di una cultura, una religione considerata ostile alla cultura Occidentale. È fondamentale distinguere tra fede, pratica e comunità, sebbene ognuna di queste componenti completi le altre. La dichiarazione di una fede è una forma di pratica, la quale però è modellata in base alle situazioni concrete. Si inserisce quindi la comunità, che definiscono se stesse in base e per mezzo di fede e pratiche. Questa è la motivazione per cui le differenze di credo definiscono i gruppi religiosi, ma non li creano direttamente, infatti quando parliamo con singoli cristiani, musulmani, buddisti, ebrei si colgono molteplici differenze all'interno di aggregazioni minime, e ciò avviene perché sebbene le persone frequentino il medesimo luogo di culto e proclamino la stessa identità settarie, quando si parla di fede personale si trovano distinzioni rilevanti. E così le piccole variazioni nella pratica permettono di riconoscere gli altri come membri di una confessione o come intrusi appartenenti a un'altra. È necessario dunque estrapolare criticamente ogni componente alla luce di un determinato momento storico e di una specifica area geografica in cui le comunità si rendono protagoniste di una certa pratica. Ciò ha poco a che vedere con ciò che la religione dice e si deve cercare di evitare questo errore prospettico. Per i sostenitori dello scontro di civiltà, i seguaci dell'Islam sono presentati come indiscutibilmente avversi alla modernità e non adatti a essere integrati. Tuttavia chi ha a cuore il benessere generale della società dovrebbe occuparsi della minaccia jihadista e riaccendere la fede nella possibilità di una democrazia liberale inclusiva e multietnica.

Islam e Occidente. Percezioni e mistificazioni nell'età della globalizzazione

BORGE, BEATRICE
2018/2019

Abstract

Il dibattito pubblico contemporaneo risente fortemente di una percezione distorta, infatti nel momento in cui ci confrontiamo con l'altro, e in più generale con la diversità, pretendiamo di poter adottare in contesti diversi una visione assoluta per risolvere la complessità. Siamo di fronte a un bias di conferma: cerchiamo di ricondurre l'altro, che come tale esce dai nostri schemi, entro delle categorie già in nostro possesso, tendendo a considerare le persone in compartimenti stagni, senza possibilità di comunicare. Il mondo, secondo questa prospettiva non sarebbe un insieme di individui che appartengono a collettività molteplici, ma piuttosto a gruppi religiosi, culturali, etnici rigidamente separati gli uni dagli altri e mai in contatto. Oggi è più che mai essenziale tentare di indebolire queste retoriche basate su un'assolutizzazione univoca delle identità e sostituirle con narrazioni in grado di sottolineare la contingenza di tutte le definizioni del sé e dell'altro da sé. Insistere sulla valenza plurale e ibrida del mondo moderno globalizzato e di ciò che si continua a etichettare come Occidente comporta situarsi in uno spazio critico e aperto, nel quale interrogarsi e cercare di liberarsi da una difesa rigida di un'identità storica. La necessità di rivolgere la nostra attenzione alla dimensione relazionale della costruzione del sé e dell'altro da sé e di guardare alla contemporaneità come un'esperienza di riconoscimento, implica dunque un sovvertimento di quel discorso negativo che ha da sempre influenzato il rapporto tra noi (europei, occidentali, cristiani) e gli altri (l'Islam). Ciò può avvenire attraverso una disamina di tutti quei termini che caratterizzano la quotidianità, col fine di coglierne profondamente gli aspetti per rimodellare la propria personale percezione di una cultura, una religione considerata ostile alla cultura Occidentale. È fondamentale distinguere tra fede, pratica e comunità, sebbene ognuna di queste componenti completi le altre. La dichiarazione di una fede è una forma di pratica, la quale però è modellata in base alle situazioni concrete. Si inserisce quindi la comunità, che definiscono se stesse in base e per mezzo di fede e pratiche. Questa è la motivazione per cui le differenze di credo definiscono i gruppi religiosi, ma non li creano direttamente, infatti quando parliamo con singoli cristiani, musulmani, buddisti, ebrei si colgono molteplici differenze all'interno di aggregazioni minime, e ciò avviene perché sebbene le persone frequentino il medesimo luogo di culto e proclamino la stessa identità settarie, quando si parla di fede personale si trovano distinzioni rilevanti. E così le piccole variazioni nella pratica permettono di riconoscere gli altri come membri di una confessione o come intrusi appartenenti a un'altra. È necessario dunque estrapolare criticamente ogni componente alla luce di un determinato momento storico e di una specifica area geografica in cui le comunità si rendono protagoniste di una certa pratica. Ciò ha poco a che vedere con ciò che la religione dice e si deve cercare di evitare questo errore prospettico. Per i sostenitori dello scontro di civiltà, i seguaci dell'Islam sono presentati come indiscutibilmente avversi alla modernità e non adatti a essere integrati. Tuttavia chi ha a cuore il benessere generale della società dovrebbe occuparsi della minaccia jihadista e riaccendere la fede nella possibilità di una democrazia liberale inclusiva e multietnica.
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