This dissertation was born from a journey that I had the opportunity to undertake during my third university year. From December 2021 to July 2022, I carried out the planned internship activity for the È Umani Onlus association. Specifically, I was included in their active service at the “Lorusso e Cutugno” prison in Turin in the women's pavilion, the Arione Laboratory. The laboratory is part of a macro-project, the L.E.I. Project. (work, emancipation, inclusion) managed by the Casa di Carità Arti e Mestieri Foundation. Over this time I had the opportunity to enter into relationships with many women who at that moment were facing a period of detention, some for longer, some less, and to listen to their stories, their experiences, their doubts. and their daily emotions. Subsequently, my collaboration with the association continued within the “Ferrante Aporti” Juvenile Penitentiary Institute (I.P.M.) in Turin at the “Vie di (Centri)fuga” laundry service which takes care of the management of the washing of all I.P.M. linen and the C.P.A. (First Reception Centre), in the presence and collaboration of a boy detained on the work exchange. Here I had the opportunity to enter into relationships with many young people aged between 14 and 25, many of whom were unaccompanied foreigners. The two experiences were very different, although we always work within penitentiary institutions and with people who are experiencing a period of detention because they have committed a crime. I therefore started to think about how different it could be and is for a boy of around seventeen to become a prisoner, compared to what it could mean for a more adult and more mature person. I would like to focus precisely on the concept that the noun "detainee" uses and surrounds. Often this term carries with it clichés regarding people who are in prison, it tends to define them and reduce them to crime, when if you thought about it no one would want to be represented by their own mistake. This process does not only take place externally to the prison world, but also internally, sometimes it is the prisoners themselves who begin to identify with the act they performed previously. When I started working at I.P.M. In Turin, I was immediately struck by some of the boys' statements, given with such naturalness and little serenity, of which I would like to report some: - “in the end if you are here it is because you are a criminal” (S.); - “risk is the meaning of everything”. (H.). This last sentence in particular was the one that struck me the most, since actually the mistake, the very action they performed, and for which they are experiencing this period of detention, represented running a risk, of which personal damage, in the event failure to do so would have been a penalty to be served. Risk is one of the components that certainly accompanies human existence, but in particular during adolescence the boy/girl finds himself/herself engaged in constant activities of organizing and modifying the environment around him/her. We know from psychological studies on the development of adolescents that risky behaviors represent a way to search for and build one's identity. This thesis aims to analyze through an investigation the meaning of the concept and the perception of risk at a social level in history and, in more detail, it aims to investigate the same "risk" in the adolescent period by examining the context of institutions Juvenile penitentiarie
Questa dissertazione nasce da un percorso che ho avuto l’opportunità di affrontare durante il mio terzo anno universitario. Dal mese di dicembre 2021 a quello di luglio 2022, ho svolto l’attività prevista del tirocinio per l’associazione Essere Umani Onlus. Nello specifico sono stata inserita nel loro servizio attivo presso la Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino nel padiglione femminile, il Laboratorio Arione. Il laboratorio è una parte di un macro-progetto, il Progetto L.E.I. (lavoro, emancipazione, inclusione) gestito dalla Fondazione Casa di Carità Arti e Mestieri. Nell’arco di questo tempo ho avuto l’occasione di poter entrare in relazione con tante donne che in quel momento stavano affrontando un periodo di detenzione, chi più lungo, chi meno e di ascoltare le loro storie, le loro esperienze, i loro dubbi e le loro emozioni quotidiane. Successivamente la mia collaborazione con l’associazione è proseguita all’interno dell’Istituto Penitenziario Minorile (I.P.M.) “Ferrante Aporti” di Torino presso il servizio di lavanderia “Vie di (Centri)fuga” che si occupa della gestione del lavaggio di tutta la biancheria dell’I.P.M. e del C.P.A. (Centro Prima Accoglienza), in presenza e collaborazione di un ragazzo detenuto in borsa lavoro. Qui ho avuto modo di entrare in relazione con tanti ragazzi di età compresa fra i 14 e i 25 anni, di cui molti stranieri non accompagnati. Le due esperienze sono state molto diverse, per quanto si lavori sempre all’interno di istituti penitenziari e con persone che stanno vivendo un periodo di detenzione poiché commesso un reato. Ho iniziato a ragionare quindi proprio su quanto possa essere e sia differente per un ragazzo di diciassette anni circa diventare una persona detenuta, rispetto a cosa possa significare per una persona più adulta e più matura. Ci terrei a soffermarmi proprio sul concetto di cui si avvale e circonda il sostantivo “detenuto/detenuta”. Spesso questo termine si porta dietro luoghi comuni riguardo alle persone che sono in carcere, si tende a definirle e ridurle al reato, quando se ci si pensasse nessuno vorrebbe essere rappresentato da un proprio errore. Questo processo non avviene solo a livello esterno al mondo del carcere, ma anche all’interno, a volte sono gli stessi detenuti che iniziano a identificarsi nell’atto da loro compiuto in precedenza. Quando ho iniziato a lavorare presso l’I.P.M. di Torino mi colpirono subito alcune affermazioni dei ragazzi, date con tanta naturalezza e poca serenità, di cui ci tengo a riportarne qualcuna: - “alla fine se stai qui è perché sei un criminale” (S.); - “il rischio è il senso di tutto”. (H.). Quest’ultima frase in particolare fu quella che mi colpì di più, poiché effettivamente lo sbaglio, la stessa azione che hanno compiuto, e per cui stanno vivendo questo periodo di detenzione, rappresentava il correre un rischio, di cui il danno personale, in caso di mancata riuscita sarebbe stata una pena da scontare. Il rischio è una delle componenti che sicuramente accompagna l’esistenza umana, ma in particolare nel periodo dell’adolescenza il ragazzo/a si ritrova impegnato in costanti attività di organizzazione e modificazione dell’ambiente a lui circostante. Sappiamo dagli studi psicologici sullo sviluppo degli adolescenti che i comportamenti a rischio rappresentano una modalità per ricercare e costruire la propria identità. Questa tesi si propone di analizzare attraverso un’indagine del significato del concetto e della percezione del rischio a livello sociale nella storia e , più nel dettaglio, si propone di indagare lo stesso “rischio” nel periodo adolescenziale prendendo in esame l’ambito degli Istituti Penitenziari Minorili
Analisi della percezione del concetto di rischio e dei possibili danni e benefici in adolescenza
BRUNO VENTRE, ELISABETTA
2022/2023
Abstract
Questa dissertazione nasce da un percorso che ho avuto l’opportunità di affrontare durante il mio terzo anno universitario. Dal mese di dicembre 2021 a quello di luglio 2022, ho svolto l’attività prevista del tirocinio per l’associazione Essere Umani Onlus. Nello specifico sono stata inserita nel loro servizio attivo presso la Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino nel padiglione femminile, il Laboratorio Arione. Il laboratorio è una parte di un macro-progetto, il Progetto L.E.I. (lavoro, emancipazione, inclusione) gestito dalla Fondazione Casa di Carità Arti e Mestieri. Nell’arco di questo tempo ho avuto l’occasione di poter entrare in relazione con tante donne che in quel momento stavano affrontando un periodo di detenzione, chi più lungo, chi meno e di ascoltare le loro storie, le loro esperienze, i loro dubbi e le loro emozioni quotidiane. Successivamente la mia collaborazione con l’associazione è proseguita all’interno dell’Istituto Penitenziario Minorile (I.P.M.) “Ferrante Aporti” di Torino presso il servizio di lavanderia “Vie di (Centri)fuga” che si occupa della gestione del lavaggio di tutta la biancheria dell’I.P.M. e del C.P.A. (Centro Prima Accoglienza), in presenza e collaborazione di un ragazzo detenuto in borsa lavoro. Qui ho avuto modo di entrare in relazione con tanti ragazzi di età compresa fra i 14 e i 25 anni, di cui molti stranieri non accompagnati. Le due esperienze sono state molto diverse, per quanto si lavori sempre all’interno di istituti penitenziari e con persone che stanno vivendo un periodo di detenzione poiché commesso un reato. Ho iniziato a ragionare quindi proprio su quanto possa essere e sia differente per un ragazzo di diciassette anni circa diventare una persona detenuta, rispetto a cosa possa significare per una persona più adulta e più matura. Ci terrei a soffermarmi proprio sul concetto di cui si avvale e circonda il sostantivo “detenuto/detenuta”. Spesso questo termine si porta dietro luoghi comuni riguardo alle persone che sono in carcere, si tende a definirle e ridurle al reato, quando se ci si pensasse nessuno vorrebbe essere rappresentato da un proprio errore. Questo processo non avviene solo a livello esterno al mondo del carcere, ma anche all’interno, a volte sono gli stessi detenuti che iniziano a identificarsi nell’atto da loro compiuto in precedenza. Quando ho iniziato a lavorare presso l’I.P.M. di Torino mi colpirono subito alcune affermazioni dei ragazzi, date con tanta naturalezza e poca serenità, di cui ci tengo a riportarne qualcuna: - “alla fine se stai qui è perché sei un criminale” (S.); - “il rischio è il senso di tutto”. (H.). Quest’ultima frase in particolare fu quella che mi colpì di più, poiché effettivamente lo sbaglio, la stessa azione che hanno compiuto, e per cui stanno vivendo questo periodo di detenzione, rappresentava il correre un rischio, di cui il danno personale, in caso di mancata riuscita sarebbe stata una pena da scontare. Il rischio è una delle componenti che sicuramente accompagna l’esistenza umana, ma in particolare nel periodo dell’adolescenza il ragazzo/a si ritrova impegnato in costanti attività di organizzazione e modificazione dell’ambiente a lui circostante. Sappiamo dagli studi psicologici sullo sviluppo degli adolescenti che i comportamenti a rischio rappresentano una modalità per ricercare e costruire la propria identità. Questa tesi si propone di analizzare attraverso un’indagine del significato del concetto e della percezione del rischio a livello sociale nella storia e , più nel dettaglio, si propone di indagare lo stesso “rischio” nel periodo adolescenziale prendendo in esame l’ambito degli Istituti Penitenziari MinoriliFile | Dimensione | Formato | |
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