Argomento di tesi è il pensiero come dialogo fra sé e sé, definito in questo modo in tre dialoghi di Platone: il Teeteto, il Sofista ed il Filebo. Secondo questa connotazione, il pensiero è simile ad un discorso che avviene fra interlocutori esterni, con la differenza che il pensiero accade internamente e senza che nessun suono venga proferito. Pertanto assume le sembianze di una discussione interiore tramite cui, per giunta, è possibile formarsi un'idea del giusto e dell'ingiusto, del vizio e della virtù. I tre dialoghi citati poc'anzi appartengono all'ultima fase della produzione platonica, successiva dunque ai due dialoghi principali che introducono, all'interno del corpus, una psicologia dell'anima pluripartita (Repubblica, Fedro). Un pensiero siffatto, che l'anima esercita entro e con se stessa, implica evidentemente che quest'ultima possa mettere in atto un dialogo fra interlocutori interni: il sé e l'altro sé. Una definizione simile appare di primo acchito congeniale e non problematica all'interno di una psicologia pluripartita, ove le parti o le funzioni dell'anima possono a quanto pare dirsi disposte ad un dialogo reciproco ¿ non che questo eviti del tutto eventuali incoerenze teoriche. Ma che dire, invece, di quei dialoghi antecedenti la Repubblica e il Fedro, che sembrano presentare una psicologia del tutto diversa, cioè semplice ed unitaria? L'indagine di questa tesi si propone, quindi, di ritrovare in due dialoghi manifesto della psicologia semplice, l'Alcibiade I e il Fedone, cenni o conformazioni circa il pensiero così inteso, che possano a) istituire una similitudine con il modo in cui i tre dialoghi della vecchiaia intendono l'attività dianoetica e b) che superino la complicanza tale per cui, in un'anima uniforme, non pare possibile un dialogo fra sé e sé. Inoltre, tale lavoro si prefigge, una volta ammesso che tali somiglianze ci siano, di capire se anche per l'Alcibiade I e il Fedone il pensiero possa avere implicazioni e valenza etiche, e in tal caso, quali. L'Alcibiade I parla di un pensiero strutturato riflessivamente volto alla conoscenza di sé, dove l'anima si fa al contempo soggetto e oggetto della medesima indagine. Il Fedone, invece, ammette per l'anima la possibilità di starsene da sola eppure in compagnia di se stessa, rivolgendosi domande e risposte. Le implicazioni etiche del pensiero sono mediate, in entrambi i dialoghi, dal concetto di cura di sé.
Il pensiero come dialogo con se stessi: conoscenza e cura di sé nell'Alcibiade I e nel Fedone di Platone.
FAMIANO, NOEMI
2018/2019
Abstract
Argomento di tesi è il pensiero come dialogo fra sé e sé, definito in questo modo in tre dialoghi di Platone: il Teeteto, il Sofista ed il Filebo. Secondo questa connotazione, il pensiero è simile ad un discorso che avviene fra interlocutori esterni, con la differenza che il pensiero accade internamente e senza che nessun suono venga proferito. Pertanto assume le sembianze di una discussione interiore tramite cui, per giunta, è possibile formarsi un'idea del giusto e dell'ingiusto, del vizio e della virtù. I tre dialoghi citati poc'anzi appartengono all'ultima fase della produzione platonica, successiva dunque ai due dialoghi principali che introducono, all'interno del corpus, una psicologia dell'anima pluripartita (Repubblica, Fedro). Un pensiero siffatto, che l'anima esercita entro e con se stessa, implica evidentemente che quest'ultima possa mettere in atto un dialogo fra interlocutori interni: il sé e l'altro sé. Una definizione simile appare di primo acchito congeniale e non problematica all'interno di una psicologia pluripartita, ove le parti o le funzioni dell'anima possono a quanto pare dirsi disposte ad un dialogo reciproco ¿ non che questo eviti del tutto eventuali incoerenze teoriche. Ma che dire, invece, di quei dialoghi antecedenti la Repubblica e il Fedro, che sembrano presentare una psicologia del tutto diversa, cioè semplice ed unitaria? L'indagine di questa tesi si propone, quindi, di ritrovare in due dialoghi manifesto della psicologia semplice, l'Alcibiade I e il Fedone, cenni o conformazioni circa il pensiero così inteso, che possano a) istituire una similitudine con il modo in cui i tre dialoghi della vecchiaia intendono l'attività dianoetica e b) che superino la complicanza tale per cui, in un'anima uniforme, non pare possibile un dialogo fra sé e sé. Inoltre, tale lavoro si prefigge, una volta ammesso che tali somiglianze ci siano, di capire se anche per l'Alcibiade I e il Fedone il pensiero possa avere implicazioni e valenza etiche, e in tal caso, quali. L'Alcibiade I parla di un pensiero strutturato riflessivamente volto alla conoscenza di sé, dove l'anima si fa al contempo soggetto e oggetto della medesima indagine. Il Fedone, invece, ammette per l'anima la possibilità di starsene da sola eppure in compagnia di se stessa, rivolgendosi domande e risposte. Le implicazioni etiche del pensiero sono mediate, in entrambi i dialoghi, dal concetto di cura di sé.File | Dimensione | Formato | |
---|---|---|---|
801047_tesitriennalefamiano.pdf
non disponibili
Tipologia:
Altro materiale allegato
Dimensione
743.85 kB
Formato
Adobe PDF
|
743.85 kB | Adobe PDF |
I documenti in UNITESI sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.
https://hdl.handle.net/20.500.14240/42523