La questione antropologica è stata sempre al centro della riflessione di Rousseau: si potrebbe dire che tutta la sua filosofia, che tratta diverse tematiche quali la politica, l'etica e la pedagogia, è sempre in riferimento a una concezione dell'essere umano, quale essere senziente e razionale. Da questo presupposto antropologico deriva il suo pensiero, che si forma attraverso il confronto con la società e la filosofia del tempo. Legato all'illuminismo francese, Rousseau è comunque un pensatore sui generis, il quale riprende tematiche della Francia del XVIII sec., ma secondo una sua visione particolare, e, il più delle volte, in controtendenza rispetto al pensiero dell'epoca. Sin dal primo scritto filosofico rilevante per la sua filosofia, il Dialogo sulle scienze e le arti, emerge la sua forte critica verso la società. Esaminando lo sviluppo delle scienze e delle arti nelle comunità moderne, e denigrando l'uso ipocrita e vanitoso con qui queste vengono utilizzate, è qui già presente quello che a mio parere risulta essere il vero obiettivo polemico di Rousseau, che sarà una sua costante anche nel pensiero maturo: l'apparenza. La società civile per Rousseau corrompe l'uomo, rendendolo egoista, vanitoso, e soprattutto ipocrita, scisso cioè tra una maschera da indossare di fronte agli altri per gloriarsi, e una vera natura, recondita ma presente, di essere naturale. Nel Discorso sull'origine della disuguaglianza fra gli uomini Rousseau analizza in maniera approfondita il passaggio dalla perdita della propria naturalità all'assunzione di questa apparenza sociale. Ed è proprio a causa di questo cambiamento che col passare del tempo l'uomo perde anche la pietà, sentimento di benevolenza e compassione nei confronti dei propri simili, a favore invece di una volontà di sopraffare, aggredire, e, nella comunità, superare socialmente il proprio simile. Il sentimento della pietà è analizzato a fondo da Rousseau, ma sempre comunque in un reciproco rapporto con l'amor di sé, sentimento genuino dell'uomo nello stato di natura, che si interessa dei propri bisogni, delle proprie necessità, ma mai per danneggiare gli altri. Nel passaggio verso la società questa passione diventa amor proprio, che consiste invece nel prevaricare l'altro per affermare se stesso. Da qui ha origine dunque l'apparenza, per cui, naturalmente, non conta più che cosa uno è, quanto, socialmente, come appare agli altri: la maschera diventa realtà. Rousseau, nel contesto del suo tempo, denuncia questa ipocrisia, evidenziando invece l'importanza della naturalità dell'uomo, del suo essere solitario, e della sua innata innocenza. La pietà risulta, in questa visione filosofica, un elemento fondamentale, in quanto uno delle due passioni principali dell'uomo, e che, in particolare, possiamo dire rivolgersi più verso l'esterno, cioè nel contatto con gli altri esseri (umani e animali), a differenza dell'amor di sé, interessato più all'interno della coscienza. Essa consiste in quell'impulso naturale dell'essere umano ad avere compassione dei propri simili, poiché riconosce in essi le stesse debolezze che ha provato lui, la sua stessa finitudine, la sua stessa mortalità. Da questo ne consegue la principale differenza tra la passione che si esprime verso l'esterno teorizzata da Rousseau, la pietà, che si manifesta in riferimento alla sofferenza altrui, e la passione scozzese, la simpatia, che si manifesta nel generale processo di immedesimazione nell'altro, sia nel piacere che nel dolore.

Il ruolo della pietà nell'antropologia di Rousseau

SAIACI, OMAR SALVATORE
2018/2019

Abstract

La questione antropologica è stata sempre al centro della riflessione di Rousseau: si potrebbe dire che tutta la sua filosofia, che tratta diverse tematiche quali la politica, l'etica e la pedagogia, è sempre in riferimento a una concezione dell'essere umano, quale essere senziente e razionale. Da questo presupposto antropologico deriva il suo pensiero, che si forma attraverso il confronto con la società e la filosofia del tempo. Legato all'illuminismo francese, Rousseau è comunque un pensatore sui generis, il quale riprende tematiche della Francia del XVIII sec., ma secondo una sua visione particolare, e, il più delle volte, in controtendenza rispetto al pensiero dell'epoca. Sin dal primo scritto filosofico rilevante per la sua filosofia, il Dialogo sulle scienze e le arti, emerge la sua forte critica verso la società. Esaminando lo sviluppo delle scienze e delle arti nelle comunità moderne, e denigrando l'uso ipocrita e vanitoso con qui queste vengono utilizzate, è qui già presente quello che a mio parere risulta essere il vero obiettivo polemico di Rousseau, che sarà una sua costante anche nel pensiero maturo: l'apparenza. La società civile per Rousseau corrompe l'uomo, rendendolo egoista, vanitoso, e soprattutto ipocrita, scisso cioè tra una maschera da indossare di fronte agli altri per gloriarsi, e una vera natura, recondita ma presente, di essere naturale. Nel Discorso sull'origine della disuguaglianza fra gli uomini Rousseau analizza in maniera approfondita il passaggio dalla perdita della propria naturalità all'assunzione di questa apparenza sociale. Ed è proprio a causa di questo cambiamento che col passare del tempo l'uomo perde anche la pietà, sentimento di benevolenza e compassione nei confronti dei propri simili, a favore invece di una volontà di sopraffare, aggredire, e, nella comunità, superare socialmente il proprio simile. Il sentimento della pietà è analizzato a fondo da Rousseau, ma sempre comunque in un reciproco rapporto con l'amor di sé, sentimento genuino dell'uomo nello stato di natura, che si interessa dei propri bisogni, delle proprie necessità, ma mai per danneggiare gli altri. Nel passaggio verso la società questa passione diventa amor proprio, che consiste invece nel prevaricare l'altro per affermare se stesso. Da qui ha origine dunque l'apparenza, per cui, naturalmente, non conta più che cosa uno è, quanto, socialmente, come appare agli altri: la maschera diventa realtà. Rousseau, nel contesto del suo tempo, denuncia questa ipocrisia, evidenziando invece l'importanza della naturalità dell'uomo, del suo essere solitario, e della sua innata innocenza. La pietà risulta, in questa visione filosofica, un elemento fondamentale, in quanto uno delle due passioni principali dell'uomo, e che, in particolare, possiamo dire rivolgersi più verso l'esterno, cioè nel contatto con gli altri esseri (umani e animali), a differenza dell'amor di sé, interessato più all'interno della coscienza. Essa consiste in quell'impulso naturale dell'essere umano ad avere compassione dei propri simili, poiché riconosce in essi le stesse debolezze che ha provato lui, la sua stessa finitudine, la sua stessa mortalità. Da questo ne consegue la principale differenza tra la passione che si esprime verso l'esterno teorizzata da Rousseau, la pietà, che si manifesta in riferimento alla sofferenza altrui, e la passione scozzese, la simpatia, che si manifesta nel generale processo di immedesimazione nell'altro, sia nel piacere che nel dolore.
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