This paper aims to explore the phenomenon of juvenile delinquency, defined as a set of behaviors adopted by young individuals that deviate from prevailing social norms and standards. It explores into the causes and sociological factors behind this phenomenon through a comprehensive review of the main sociological theories of deviance. These theories, ranging from the Classical theory to labeling theory, have been examined both collectively and in their interconnections to provide a comprehensive explanation of the factors contributing to deviance and youth discontent. Each theory, with its specific insights, has offered significant contributions to understanding the phenomenon, continuing to shape intervention strategies aimed at managing and preventing such behaviors. A notable instance of this influence is the positivist approach, which has reemerged with renewed prominence in modern society, despite its origin between the 19th and 20th centuries. This approach continues to perpetuate the unfounded and erroneous genetic-racial prejudice that foreigners are more prone to criminal behavior than Italians. Consequently, there is an increased emphasis on strengthening social control, which is reflected in policies and social perceptions concerning juvenile crime. Juvenile justice has thus undergone various paradigmatic shifts, initially evolving through two distinct models: the retributive model and the rehabilitative model. Recently, starting in 2023, there has been a return to a security-oriented approach, driven by growing social alarmism. This alarmism is fed by emerging phenomena such as baby gangs, cyberbullying, and traditional bullying, leading institutions to adopt more stringent and preventive measures in response. Baby gangs evoke the phenomenon of youth gangs that emerged in the United States in the 19th century. Conversely, cyberbullying is a more recent phenomenon, associated with the concept of "emotional deviance", which is understood as a deficit in socialization that manifests as a social pathology in the physical world. This alarmism has led to the adoption of the "Decreto-Caivano," one of whose primary effects has been the exponential increase in entries into juvenile detention centers (IPM). This surge significantly contributes to the processes of stigmatization and labeling: once labeled by society as criminals and delinquents, young individuals tend to internalize this perception. This process leads to self-attribution of the label imposed by the dominant culture and a concomitant inclination toward deviant careers. The effect of labeling goes beyond mere influence on individual perception, also generating specific socialization dynamics and facilitating the diffusion and normalization of such behaviors within confined social environments. In light of these reflections, it is essential to adopt a rehabilitative approach that promotes the recovery and social reintegration of minors, considering their specific needs and issues. It is preferable to implement targeted educational interventions, such as assigning minors to social services and placing them in community settings, rather than adopting a security-oriented model that, by deindividualizing minors, erroneously relies on the principle of "punishing to educate."
L’elaborato si propone di esplorare il fenomeno della devianza minorile, intesa come quell’insieme di condotte assunte dai giovani che si discostano dalle norme e dagli standard sociali prevalenti, analizzandone le cause e i fattori sociologici attraverso un’attenta revisione delle principali teorie sociologiche della devianza. Quest’ultime, dalla scuola Classica fino alla teoria dell’etichettamento, sono state analizzate nel loro insieme e nelle loro interconnessioni per fornire una spiegazione esaustiva dei fattori che determinano la devianza e il disagio giovanile. Ciascuna di esse, con le sue specificità, ha offerto contributi significativi sulla comprensione del fenomeno, continuando a plasmare le strategie di intervento volte a gestire e prevenire tali comportamenti. Un esempio emblematico di tale influenza è rappresentato dall’approccio positivista, il quale, sebbene sia emerso tra il XIX e il XX secolo, sembra riaffiorare con rinnovato vigore nella contemporaneità. Questo approccio continua a perpetuare nella percezione collettiva il pregiudizio genetico-razziale, infondato ed erroneo, che gli stranieri siano maggiormente predisposti e più inclini a delinquere rispetto agli italiani. Di conseguenza, si osserva un’accentuata tendenza verso il rafforzamento del controllo sociale, che si riflette nelle politiche e nelle percezioni sociali riguardanti la criminalità minorile. La giustizia minorile, dunque, ha attraversato diverse fasi paradigmatiche, evolvendosi prima attraverso due modelli distinti: quello retributivo e quello rieducativo. Recentemente, a partire dal 2023, si è assistito a un ritorno verso un approccio securitario, incentivato da un crescente allarmismo sociale. Questo allarmismo è alimentato da fenomeni emergenti delle baby gang e del cyberbullismo, oltre al bullismo tradizionale, che hanno sollecitato una risposta più severa e preventiva da parte delle Istituzioni. Le baby gang rimandano al fenomeno delle bande giovanili sorto negli Stati Uniti nel XIX secolo. Invece, il cyberbullismo, fenomeno più recente, è associato alla nozione di “devianza emozionale”, intesa come un deficit nella socializzazione che si manifesta come una patologia sociale nel mondo tangibile. Questo allarmismo ha portato, dunque, all’adozione del Decreto-Caivano, tra i cui effetti principali c’è stato l’incremento esponenziale degli ingressi negli IPM. Tale aumento contribuisce in modo significativo ai processi di stigmatizzazione e di etichettamento: i giovani, una volta etichettati dalla società come criminali e delinquenti, finiscono per interiorizzare tale percezione. Questo processo porta ad una auto-attribuzione dell’etichetta imposta dalla cultura dominante e alla concomitante inclinazione verso carriere devianti. L’effetto dell’etichettamento trascende la mera influenza sulla percezione individuale, generando anche specifiche dinamiche di socializzazione e facilitando la diffusione e la normalizzazione di tali comportamenti all’interno di ambienti sociali circoscritti. Alla luce delle riflessioni emerse, è imprescindibile adottare un approccio rieducativo che favorisca il recupero e il reinserimento sociale del minore, tenendo conto delle sue specificità e problematiche. È preferibile implementare interventi educativi mirati, come l’affidamento ai servizi sociali e il collocamento in comunità, piuttosto che un modello securitario che, deindividualizzando il minore, si fonda erroneamente sul principio di "punire per educare".
La giustizia penale minorile tra securitarismo e reinserimento sociale
ANTONUCCI, GIULIA
2023/2024
Abstract
L’elaborato si propone di esplorare il fenomeno della devianza minorile, intesa come quell’insieme di condotte assunte dai giovani che si discostano dalle norme e dagli standard sociali prevalenti, analizzandone le cause e i fattori sociologici attraverso un’attenta revisione delle principali teorie sociologiche della devianza. Quest’ultime, dalla scuola Classica fino alla teoria dell’etichettamento, sono state analizzate nel loro insieme e nelle loro interconnessioni per fornire una spiegazione esaustiva dei fattori che determinano la devianza e il disagio giovanile. Ciascuna di esse, con le sue specificità, ha offerto contributi significativi sulla comprensione del fenomeno, continuando a plasmare le strategie di intervento volte a gestire e prevenire tali comportamenti. Un esempio emblematico di tale influenza è rappresentato dall’approccio positivista, il quale, sebbene sia emerso tra il XIX e il XX secolo, sembra riaffiorare con rinnovato vigore nella contemporaneità. Questo approccio continua a perpetuare nella percezione collettiva il pregiudizio genetico-razziale, infondato ed erroneo, che gli stranieri siano maggiormente predisposti e più inclini a delinquere rispetto agli italiani. Di conseguenza, si osserva un’accentuata tendenza verso il rafforzamento del controllo sociale, che si riflette nelle politiche e nelle percezioni sociali riguardanti la criminalità minorile. La giustizia minorile, dunque, ha attraversato diverse fasi paradigmatiche, evolvendosi prima attraverso due modelli distinti: quello retributivo e quello rieducativo. Recentemente, a partire dal 2023, si è assistito a un ritorno verso un approccio securitario, incentivato da un crescente allarmismo sociale. Questo allarmismo è alimentato da fenomeni emergenti delle baby gang e del cyberbullismo, oltre al bullismo tradizionale, che hanno sollecitato una risposta più severa e preventiva da parte delle Istituzioni. Le baby gang rimandano al fenomeno delle bande giovanili sorto negli Stati Uniti nel XIX secolo. Invece, il cyberbullismo, fenomeno più recente, è associato alla nozione di “devianza emozionale”, intesa come un deficit nella socializzazione che si manifesta come una patologia sociale nel mondo tangibile. Questo allarmismo ha portato, dunque, all’adozione del Decreto-Caivano, tra i cui effetti principali c’è stato l’incremento esponenziale degli ingressi negli IPM. Tale aumento contribuisce in modo significativo ai processi di stigmatizzazione e di etichettamento: i giovani, una volta etichettati dalla società come criminali e delinquenti, finiscono per interiorizzare tale percezione. Questo processo porta ad una auto-attribuzione dell’etichetta imposta dalla cultura dominante e alla concomitante inclinazione verso carriere devianti. L’effetto dell’etichettamento trascende la mera influenza sulla percezione individuale, generando anche specifiche dinamiche di socializzazione e facilitando la diffusione e la normalizzazione di tali comportamenti all’interno di ambienti sociali circoscritti. Alla luce delle riflessioni emerse, è imprescindibile adottare un approccio rieducativo che favorisca il recupero e il reinserimento sociale del minore, tenendo conto delle sue specificità e problematiche. È preferibile implementare interventi educativi mirati, come l’affidamento ai servizi sociali e il collocamento in comunità, piuttosto che un modello securitario che, deindividualizzando il minore, si fonda erroneamente sul principio di "punire per educare".File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/37532