La tesi si pone l’obiettivo di trattare i criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale, da sempre tema molto dibattuto nel nostro sistema di giustizia penale. Il lavoro consta di una disamina degli eventi che, storicamente, hanno colpito l’assetto della magistratura requirente ed hanno portato ad una configurazione di pubblici ministeri totalmente indipendenti e protetti da qualsivoglia ingerenza esterna. Si procede con l’analisi effettuata dall’Assemblea costituente che, al fine di rendere i pubblici ministeri totalmente distaccati da orientamenti politici o di altro genere, impose loro un obbligo di esercitare l’azione penale ex art. 112 Cost. Il principio, sulla base di una visione astrattamente configurabile, risulta, infatti, assolutamente conforme ai principi fondamentali del nostro ordinamento dato che, un esercizio obbligatorio dell’azione penale, garantirebbe un pieno rispetto della parità di trattamento dei cittadini dinnanzi alla legge (ex art. 3 Cost.) ed una totale compatibilità al principio di legalità (ex art. 25 Cost.). Si esamina come gli intenti dell’Assemblea costituente, tuttavia, avessero escluso l’ipotesi per la quale, conseguentemente ad una serie di episodi, tra i quali una forte opera di penalizzazione, un problema di vacanza dei posti negli uffici requirenti ed una scarsità di risorse a disposizione, il principio si sarebbe tramutato in una chimera. L’impossibilità di trattare tutte le notizie di reato, tutt’oggi problema irrisolto, ha ingenerato una prassi di arbitrario esercizio delle funzioni requirenti. Il presente lavoro mira a ricercare le zone grigie entro le quali rendere il principio maggiormente concretizzabile e, al contempo, limitare la discrezionalità che si propaga negli uffici requirenti. Tra le varie soluzioni prospettabili si pone in primo piano, proprio quella dell’elaborazione dei criteri di priorità, volta a garantire una trattazione delle notizie di reato pervenute presso gli uffici del pubblico ministero sulla base di un ordine prefissato, chiaro e logico. Si sottolineano, altresì, tutte le conseguenze che deriverebbero da una eventuale introduzione dei criteri di priorità, esaminando le soluzioni maggiormente compatibili con il dettato costituzionale. Si procederà ad un’analisi dei tentativi di introduzione dei criteri di priorità che, infruttuosamente, si sono susseguiti nel corso degli anni, dalle Circolari emanate dai Procuratori della Repubblica sino al d.d.l. Bonafede. Infine, un esame specifico sarà rivolto all’ultimo tentativo di riforma sui criteri di priorità, che prende il nome di Riforma Cartabia, ovverosia l’art. 9 lettera i della L. 27 settembre 2021, n. 134.
I CRITERI DI PRIORITÀ NELL'ESERCIZIO DELL'AZIONE PENALE: ASPETTATIVE DI UN CAMBIAMENTO
FORNASERO, VIVIANA
2021/2022
Abstract
La tesi si pone l’obiettivo di trattare i criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale, da sempre tema molto dibattuto nel nostro sistema di giustizia penale. Il lavoro consta di una disamina degli eventi che, storicamente, hanno colpito l’assetto della magistratura requirente ed hanno portato ad una configurazione di pubblici ministeri totalmente indipendenti e protetti da qualsivoglia ingerenza esterna. Si procede con l’analisi effettuata dall’Assemblea costituente che, al fine di rendere i pubblici ministeri totalmente distaccati da orientamenti politici o di altro genere, impose loro un obbligo di esercitare l’azione penale ex art. 112 Cost. Il principio, sulla base di una visione astrattamente configurabile, risulta, infatti, assolutamente conforme ai principi fondamentali del nostro ordinamento dato che, un esercizio obbligatorio dell’azione penale, garantirebbe un pieno rispetto della parità di trattamento dei cittadini dinnanzi alla legge (ex art. 3 Cost.) ed una totale compatibilità al principio di legalità (ex art. 25 Cost.). Si esamina come gli intenti dell’Assemblea costituente, tuttavia, avessero escluso l’ipotesi per la quale, conseguentemente ad una serie di episodi, tra i quali una forte opera di penalizzazione, un problema di vacanza dei posti negli uffici requirenti ed una scarsità di risorse a disposizione, il principio si sarebbe tramutato in una chimera. L’impossibilità di trattare tutte le notizie di reato, tutt’oggi problema irrisolto, ha ingenerato una prassi di arbitrario esercizio delle funzioni requirenti. Il presente lavoro mira a ricercare le zone grigie entro le quali rendere il principio maggiormente concretizzabile e, al contempo, limitare la discrezionalità che si propaga negli uffici requirenti. Tra le varie soluzioni prospettabili si pone in primo piano, proprio quella dell’elaborazione dei criteri di priorità, volta a garantire una trattazione delle notizie di reato pervenute presso gli uffici del pubblico ministero sulla base di un ordine prefissato, chiaro e logico. Si sottolineano, altresì, tutte le conseguenze che deriverebbero da una eventuale introduzione dei criteri di priorità, esaminando le soluzioni maggiormente compatibili con il dettato costituzionale. Si procederà ad un’analisi dei tentativi di introduzione dei criteri di priorità che, infruttuosamente, si sono susseguiti nel corso degli anni, dalle Circolari emanate dai Procuratori della Repubblica sino al d.d.l. Bonafede. Infine, un esame specifico sarà rivolto all’ultimo tentativo di riforma sui criteri di priorità, che prende il nome di Riforma Cartabia, ovverosia l’art. 9 lettera i della L. 27 settembre 2021, n. 134.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/36360