La disabilità in scena. Dal teatro sociale al professionismo artistico.

When using the term "disability", the collective imagination of which we are all, more or less, impregnated, tends to project a fragile person, a person sitting perhaps in a wheelchair, disabled, or a person who has some cognitive deficit. If we suspend the perception of what these people have less and understand that they also have a critical thinking just like the normogifted, if we could see them in their full potential abilities, We could also attribute to them the image of intellectuals, mothers, fathers, professional workers, we could give them the dignity that they have been asking for years and to which they are entitled. Since the last decades of the twentieth century, the social system is being improved considerably, expanding more and more through organizations and projects directed to people with disabilities, with two well-defined purposes: on the one hand to increase the autonomy of the individual and on the other to broaden the social network in which the subject must be integrated. Already from the 1960s, social professionals began to turn to art professionals, involving them in projects and institutional contexts. We are in a historical period where both the social and theatrical systems are witnessing the crisis of pedagogical and theatrical traditions. The Social Theatre aims to work in a transversal way with individuals, groups and communities. We can say that the Social Theatre offers itself as an undefined space between theatrical art and pedagogical sciences, a space of non-belonging, giving freedom to the actor to "play", also through improvisation, in order to express his being, the reality of the sector, without feeling influenced by the specific aims of the two sectors. In this climate, the emergence of an authentic but at the same time destabilizing action characterized by the desire for change is e Inevitably the Social Theatre, the theatrical action, the actor’s body conjure up a proportion of the politician. Political is anything that requires a confrontation, an interaction and has to do with the collective and the community. We chose to look at the case of the artist Chiara Bersani to give a concrete and practical example of disability in the stage as an opportunity for redemption. Chiara Bersani is a performer, author of research theatre and contemporary dance, director/choreographer affected by imperfect osteogenesis. In you can see how the competence and professionalism that flows into your work make go who assists you beyond his pathology, highlighting a determined and strong personality, which has allowed you to be today an exception, but which she herself hopes will become ordinary. We found her presence, the way in which she manages, both in her scenic creations and during interviews, to make sure that those who watch her do not see an obvious disability in her, but drag the viewer or interlocutor who is, beyond the physicality of the body, Entering into empathy, or as she would say, creating a crack that opens up new unexplored worlds

Quando si utilizza il termine “disabilità”, l’immaginario collettivo, del quale siamo tutti, chi più e chi meno, impregnati, tende a proiettare una persona fragile, una persona magari seduta sulla sedia a rotelle, menomata, oppure una persona che ha qualche deficit cognitivo. Se sospendessimo la percezione rispetto a quanto queste persone hanno in meno e comprendessimo che anche costoro hanno un pensiero critico esattamente come i normodotati, se potessimo vederli nel pieno delle loro possibili abilità, potremmo attribuire loro anche l’immagine di intellettuali, mamme, papà, lavoratori professionisti, potremmo dare loro la dignità che da anni chiedono e di cui hanno diritto. Dagli ultimi decenni del Novecento, il sistema sociale si sta perfezionando notevolmente, allargandosi sempre di più attraverso enti e progetti diretti a persone con disabilità, con due fini ben precisi: da un lato aumentare le autonomie dell’individuo e dall’altro ampliare la rete sociale nel quale il soggetto dev’essere integrato. Già a partire dagli anni Sessanta, i professionisti del sociale hanno iniziato a rivolgersi ai professionisti dell’arte, coinvolgendoli in progetti e contesti istituzionali. Ci troviamo in un periodo storico in cui sia il sistema sociale che quello teatrale assistono alla messa in crisi delle tradizioni pedagogiche e teatrali. Il Teatro Sociale si propone di lavorare in modo trasversale con singoli individui, gruppi e collettività. Possiamo dire che il Teatro Sociale si offre come uno spazio indefinito tra arte teatrale e scienze pedagogiche, uno spazio di non-appartenenza, dando libertà all’ attore di “giocare”, anche attraverso l’improvvisazione, al fine di esternare il suo essere, la sua realtà, senza sentirsi influenzato dalle specifiche finalità dei due settori. In questo clima si favorisce la nascita di un’azione autentica, ma al tempo stesso destabilizzante, caratterizzata dal desiderio di cambiamento. Inevitabilmente il Teatro Sociale, l’azione teatrale, il corpo dell’attore convocano una proporzione del politico. Politico è qualunque cosa che richiede un confronto, un’interazione e ha a che fare con la collettività e la comunità. Si è scelto di approfondire il caso dell’artista Chiara Bersani per dare un esempio concreto e pratico di disabilità in scena come occasione di riscatto. Chiara Bersani è una performer, autrice di teatro di ricerca e di danza contemporanea, regista/coreografa affetta da osteogenesi imperfetta. In lei si può osservare come la competenza e la professionalità che riversa nei suoi lavori facciano andare chi vi assiste oltre la sua patologia, facendo risaltare una personalità determinata e forte, che le ha permesso di esser ad oggi un’eccezione, ma che spera ella stessa si tramuti in ordinarietà. Abbiamo trovato ammaliante la sua presenza, il modo in cui riesce, sia nelle sue creazioni sceniche, sia durante le interviste, a far sì che chi la guarda, non vede in lei una disabilità evidente, ma trascina lo spettatore, o interlocutore che sia, oltre la fisicità del corpo, entrando in empatia, o come direbbe lei, creando una crepa che apre verso nuovi mondi inesplorati dell’essere.