Il Disturbo da Deficit di Attenzione - Iperattività è una condizione patologica che si stima colpisca circa il 5% dei bambini di tutto il mondo e che spesso perduri sino all’età adulta, creando numerosi disagi nella vita dell’individuo. Se si analizzano i dati epidemiologici che lo riguardano si può osservare una profonda discrepanza nella prevalenza di genere: su dieci bambini diagnosticati, nove sarebbero maschi e solo una sarebbe invece femmina. Questi valori cambiano in relazione al tipo di campione preso in considerazione: in quelli clinici il rapporto è di circa 9:1, mentre in quelli di popolazione si aggira in genere intorno a 3:1. Una possibile spiegazione è che vi siano degli errori e delle distorsioni del processo diagnostico, che portano le bambine a essere riconosciute meno frequentemente come portatrici del disturbo. L’obiettivo di questa tesi era quello di andare ad analizzare le motivazioni di tale gap, in particolare se esso fosse imputabile a effettive differenze nella manifestazione dei sintomi oppure a bias mentali presenti nell’osservatore, in particolar modo legati agli stereotipi di genere. Dalla rassegna di articoli effettuata pare che, all’interno della comunità scientifica, non vi sia un accordo univoco relativamente alla questione, ma una cosa appare evidente: la mancata diagnosi e la seguente assenza di trattamento hanno effetti decisamene negativi sulla vita degli individui colpiti.
Una visione di genere del Disturbo da Deficit di Attenzione – Iperattività: questione genetica o culturale?
AIME, GIULIA
2020/2021
Abstract
Il Disturbo da Deficit di Attenzione - Iperattività è una condizione patologica che si stima colpisca circa il 5% dei bambini di tutto il mondo e che spesso perduri sino all’età adulta, creando numerosi disagi nella vita dell’individuo. Se si analizzano i dati epidemiologici che lo riguardano si può osservare una profonda discrepanza nella prevalenza di genere: su dieci bambini diagnosticati, nove sarebbero maschi e solo una sarebbe invece femmina. Questi valori cambiano in relazione al tipo di campione preso in considerazione: in quelli clinici il rapporto è di circa 9:1, mentre in quelli di popolazione si aggira in genere intorno a 3:1. Una possibile spiegazione è che vi siano degli errori e delle distorsioni del processo diagnostico, che portano le bambine a essere riconosciute meno frequentemente come portatrici del disturbo. L’obiettivo di questa tesi era quello di andare ad analizzare le motivazioni di tale gap, in particolare se esso fosse imputabile a effettive differenze nella manifestazione dei sintomi oppure a bias mentali presenti nell’osservatore, in particolar modo legati agli stereotipi di genere. Dalla rassegna di articoli effettuata pare che, all’interno della comunità scientifica, non vi sia un accordo univoco relativamente alla questione, ma una cosa appare evidente: la mancata diagnosi e la seguente assenza di trattamento hanno effetti decisamene negativi sulla vita degli individui colpiti.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/34755