Il 15 marzo del 1950 Leo Longanesi fondò il Borghese, un periodico di attualità politica e di costume rivolto alla borghesia conservatrice. Il quindicinale, che dal ‘54 sarebbe diventato un settimanale, riunì firme prestigiose come Giovanni Ansaldo, Giuseppe Prezzolini, Indro Montanelli, Mario Tedeschi, Henry Furst e Guglielmo Peirce. All’inizio degli anni ‘50 Longanesi non era certo un volto nuovo: durante il Ventennio aveva dato vita a due periodici come l’Italiano (1926-1942) e Omnibus (1937-1939), considerato il primo rotocalco italiano, diventando uno degli esponenti di spicco dell’élite culturale del regime. Nel dopoguerra, a causa dei suoi trascorsi fascisti, venne progressivamente relegato ai margini del panorama giornalistico. La sua contestazione nei confronti dell’Italia democratica e antifascista contribuì senz’altro a esasperare questo isolamento. Se fino alla chiusura di Omnibus, Longanesi aveva saputo cogliere le trasformazioni in atto nel paese, da direttore del Borghese si contrappose a ogni novità: dalla Repubblica alla democrazia, dal consumismo all’industrializzazione, dal cinema neorealista ai primi programmi televisivi. Insomma, il foglio longanesiano promuoveva una vera e propria crociata contro la modernità. Inoltre, a pochi anni dalla Liberazione, la maggior parte delle firme del Borghese si rifiutò di aderire ai valori della Resistenza, dichiarandosi «anti-antifascista» e impegnandosi in una rivalutazione del fascismo. Ciò non fece che isolare ulteriormente la rivista. Infine, il periodico promosse un acceso anticomunismo e si oppose a ogni eventuale apertura a sinistra della Democrazia Cristiana. Per scongiurare la prospettiva del centrosinistra e sollecitare la formazione di una destra alternativa alla Dc, nel ‘55 i longanesiani lanciarono i «Circoli del Borghese» e la «Lega Fratelli d’Italia», ma l’avventura politica fallì clamorosamente. Il Borghese finì quindi per trincerarsi nel rimpianto del passato e nel disprezzo del presente, non riuscendo così a conquistare un’influenza sull’opinione pubblica degli anni ‘50. Il 27 settembre 1957 Longanesi morì. Tedeschi, collaboratore neofascista e futuro senatore missino, rilevò la testata e la diresse fino alla morte nel ‘93. Nel corso degli anni convertì la rivista in un punto di riferimento della destra neofascista, stravolgendone lo spirito originario. A differenza di Omnibus, che fu una vera e propria fucina di talenti, il Borghese non riuscì a diventare una «scuola» giornalistica. Il Giornale di Montanelli fu l’unica testata a raccogliere il testimone longanesiano, adottando la stessa linea conservatrice e qualunquista del maestro. A vent’anni dalla morte di Montanelli, non sembrano esserci altri eredi del Borghese.

"Il Borghese" di Leo Longanesi. Un giornale controcorrente (1950-1957)

GUSELLA, FABIO
2020/2021

Abstract

Il 15 marzo del 1950 Leo Longanesi fondò il Borghese, un periodico di attualità politica e di costume rivolto alla borghesia conservatrice. Il quindicinale, che dal ‘54 sarebbe diventato un settimanale, riunì firme prestigiose come Giovanni Ansaldo, Giuseppe Prezzolini, Indro Montanelli, Mario Tedeschi, Henry Furst e Guglielmo Peirce. All’inizio degli anni ‘50 Longanesi non era certo un volto nuovo: durante il Ventennio aveva dato vita a due periodici come l’Italiano (1926-1942) e Omnibus (1937-1939), considerato il primo rotocalco italiano, diventando uno degli esponenti di spicco dell’élite culturale del regime. Nel dopoguerra, a causa dei suoi trascorsi fascisti, venne progressivamente relegato ai margini del panorama giornalistico. La sua contestazione nei confronti dell’Italia democratica e antifascista contribuì senz’altro a esasperare questo isolamento. Se fino alla chiusura di Omnibus, Longanesi aveva saputo cogliere le trasformazioni in atto nel paese, da direttore del Borghese si contrappose a ogni novità: dalla Repubblica alla democrazia, dal consumismo all’industrializzazione, dal cinema neorealista ai primi programmi televisivi. Insomma, il foglio longanesiano promuoveva una vera e propria crociata contro la modernità. Inoltre, a pochi anni dalla Liberazione, la maggior parte delle firme del Borghese si rifiutò di aderire ai valori della Resistenza, dichiarandosi «anti-antifascista» e impegnandosi in una rivalutazione del fascismo. Ciò non fece che isolare ulteriormente la rivista. Infine, il periodico promosse un acceso anticomunismo e si oppose a ogni eventuale apertura a sinistra della Democrazia Cristiana. Per scongiurare la prospettiva del centrosinistra e sollecitare la formazione di una destra alternativa alla Dc, nel ‘55 i longanesiani lanciarono i «Circoli del Borghese» e la «Lega Fratelli d’Italia», ma l’avventura politica fallì clamorosamente. Il Borghese finì quindi per trincerarsi nel rimpianto del passato e nel disprezzo del presente, non riuscendo così a conquistare un’influenza sull’opinione pubblica degli anni ‘50. Il 27 settembre 1957 Longanesi morì. Tedeschi, collaboratore neofascista e futuro senatore missino, rilevò la testata e la diresse fino alla morte nel ‘93. Nel corso degli anni convertì la rivista in un punto di riferimento della destra neofascista, stravolgendone lo spirito originario. A differenza di Omnibus, che fu una vera e propria fucina di talenti, il Borghese non riuscì a diventare una «scuola» giornalistica. Il Giornale di Montanelli fu l’unica testata a raccogliere il testimone longanesiano, adottando la stessa linea conservatrice e qualunquista del maestro. A vent’anni dalla morte di Montanelli, non sembrano esserci altri eredi del Borghese.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/34720