Il presente lavoro si propone di analizzare la tematica del consenso dell'avente diritto, cercando anzitutto di dare una risposta alle seguenti domande: fino a che punto può estendersi la libertà di consentire? Quanto può essere ampia la libertà di autodeterminazione del consenziente in ordine alla tutela del suo bene giuridico? La risposta a questi interrogativi deve prendere le mosse dal concetto di bene giuridico e dalle diverse interpretazioni che dottrina e giurisprudenza hanno accolto in relazione allo stesso. In primo luogo, ai fini della collocazione sistematica, si è tentato di chiarire il rapporto tra la funzione del diritto penale e la tutela del bene giuridico individuale, per comprendere fino a che punto il consenso del titolare del diritto può “paralizzare” l'intervento punitivo statale. Si è quindi dato atto della posizioni assunte dalla dottrina sul tema, che tradizionalmente distingue tra teorie monistiche (tendenti a non operare alcuna distinzione tra beni individuali e superindividuali) e dualistiche (che riconoscono tale distinzione). Nel fare ciò, si è posta l'attenzione sulle diverse conclusioni cui si giunge a seconda che si accolga una concezione oggettiva di bene giuridico (tendente ad attribuire un valore autonomo al bene giuridico a prescindere dal suo rapporto con il titolare e, soprattutto, a ritenerlo meritevole di tutela anche contro la volontà di quest'ultimo) o una concezione soggettiva (che invece pone l'accento sulla natura dinamica del bene, sul suo rapporto con il titolare, negando che esso possa essere tutelato in maniera autonoma). Aderire alla prima o alla seconda impostazione comporta, in via di principio, concepire il consenso rispettivamente quale causa di esclusione dell'antigiuridicità o quale causa di esclusione della stessa tipicità del fatto. Poichè nell'ordinamento italiano è stato lo stesso legislatore ad inserire il consenso dell'avente diritto nel sistema delle scriminanti, deve ritenersi che sia impossibile parlare di un consenso rivolto unicamente ad escludere la tipicità del fatto (quello che la dottrina tedesca definisce Einverstandnis), ma deve potersi accettare l'idea che nel sistema penale italiano possa operare il consenso giustificante, che esclude l'antigiuridicità del fatto (Einwilligung). A questo punto il lavoro si è focalizzato sulla ricerca di un fondamento in grado di spiegare la previsione dell'istituto del consenso dell'avente diritto nel codice penale. La dottrina è tradizionalmente divisa sull'argomento, potendosi individuare posizioni pluralistiche - che distinguono il fondamento del consenso da quello delle altre scriminanti, e lo ravvisano principalmente nella "rinuncia alla tutela del diritto"- e posizioni unitarie - che invece assimilano il fondamento del consenso a quello delle altre cause di giustificazione, ovvero il "bilanciamento tra interessi contrapposti"-. Chiariti questi punti, il discorso si è rivolto a spiegare i concetti di "disponibilità del bene giuridico" e di "validità del consenso", requisiti espressamente richiesti dall'art.50 c.p., cercando di superare l'impostazione che tradizionalmente costruiva dei "cataloghi astratti" di beni disponibili ed indisponibili a favore di una visione "dinamica" del concetto stesso di disponibilità; si è poi dato atto dei punti fermi cui dottrina e giurisprudenza sono giunte in relazione ai requisiti di validità del consenso. Dopo una spiegazione dei due principali "profili problematici" del consenso - il consenso presunto e il consenso ai reati colposi -, l'ultimo capitolo della presente tesi è interamente dedicato all'analisi dell'ipotesi applicativa più rilevante: il consenso in ambito medico-chirurgico. ​

Il consenso dell'avente diritto: fondamento e ambito di operatività della scriminante.

RANIERI, DAVIDE
2019/2020

Abstract

Il presente lavoro si propone di analizzare la tematica del consenso dell'avente diritto, cercando anzitutto di dare una risposta alle seguenti domande: fino a che punto può estendersi la libertà di consentire? Quanto può essere ampia la libertà di autodeterminazione del consenziente in ordine alla tutela del suo bene giuridico? La risposta a questi interrogativi deve prendere le mosse dal concetto di bene giuridico e dalle diverse interpretazioni che dottrina e giurisprudenza hanno accolto in relazione allo stesso. In primo luogo, ai fini della collocazione sistematica, si è tentato di chiarire il rapporto tra la funzione del diritto penale e la tutela del bene giuridico individuale, per comprendere fino a che punto il consenso del titolare del diritto può “paralizzare” l'intervento punitivo statale. Si è quindi dato atto della posizioni assunte dalla dottrina sul tema, che tradizionalmente distingue tra teorie monistiche (tendenti a non operare alcuna distinzione tra beni individuali e superindividuali) e dualistiche (che riconoscono tale distinzione). Nel fare ciò, si è posta l'attenzione sulle diverse conclusioni cui si giunge a seconda che si accolga una concezione oggettiva di bene giuridico (tendente ad attribuire un valore autonomo al bene giuridico a prescindere dal suo rapporto con il titolare e, soprattutto, a ritenerlo meritevole di tutela anche contro la volontà di quest'ultimo) o una concezione soggettiva (che invece pone l'accento sulla natura dinamica del bene, sul suo rapporto con il titolare, negando che esso possa essere tutelato in maniera autonoma). Aderire alla prima o alla seconda impostazione comporta, in via di principio, concepire il consenso rispettivamente quale causa di esclusione dell'antigiuridicità o quale causa di esclusione della stessa tipicità del fatto. Poichè nell'ordinamento italiano è stato lo stesso legislatore ad inserire il consenso dell'avente diritto nel sistema delle scriminanti, deve ritenersi che sia impossibile parlare di un consenso rivolto unicamente ad escludere la tipicità del fatto (quello che la dottrina tedesca definisce Einverstandnis), ma deve potersi accettare l'idea che nel sistema penale italiano possa operare il consenso giustificante, che esclude l'antigiuridicità del fatto (Einwilligung). A questo punto il lavoro si è focalizzato sulla ricerca di un fondamento in grado di spiegare la previsione dell'istituto del consenso dell'avente diritto nel codice penale. La dottrina è tradizionalmente divisa sull'argomento, potendosi individuare posizioni pluralistiche - che distinguono il fondamento del consenso da quello delle altre scriminanti, e lo ravvisano principalmente nella "rinuncia alla tutela del diritto"- e posizioni unitarie - che invece assimilano il fondamento del consenso a quello delle altre cause di giustificazione, ovvero il "bilanciamento tra interessi contrapposti"-. Chiariti questi punti, il discorso si è rivolto a spiegare i concetti di "disponibilità del bene giuridico" e di "validità del consenso", requisiti espressamente richiesti dall'art.50 c.p., cercando di superare l'impostazione che tradizionalmente costruiva dei "cataloghi astratti" di beni disponibili ed indisponibili a favore di una visione "dinamica" del concetto stesso di disponibilità; si è poi dato atto dei punti fermi cui dottrina e giurisprudenza sono giunte in relazione ai requisiti di validità del consenso. Dopo una spiegazione dei due principali "profili problematici" del consenso - il consenso presunto e il consenso ai reati colposi -, l'ultimo capitolo della presente tesi è interamente dedicato all'analisi dell'ipotesi applicativa più rilevante: il consenso in ambito medico-chirurgico. ​
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/32651