La “luce blu” è una componente dello spettro del visibile di lunghezza d'onda compresa tra 400 nm e 525 nm, nota per essere responsabile di danni all'apparato visivo. Questa radiazione è in grado di raggiungere la retina ed essere trasformata in impulsi elettrici da parte delle cellule visive (coni e bastoncelli), questi impulsi saranno poi trasmessi al cervello; essa viene emessa sia da sorgenti naturali che artificiali. La recente e massiccia diffusione tra adulti e bambini dei dispositivi elettronici, sommata alla quantità di tempo spesa nel loro utilizzo a distanze anche ravvicinate, ha portato alla denominazione del cosiddetto “rischio da luce blu”. Studi e sperimentazioni su modelli animali hanno dimostrato che l'eccessiva produzione di ROS che avviene in seguito all'esposizione a luce blu, in particolare tra i 400 nm ed i 450 nm, sia in grado di provocare un danno fotochimico alle cellule retiniche, causandone la morte. Sono segnalati in letteratura anche altri effetti, tra cui l'alterazione del ritmo circadiano dovuto al frequente utilizzo dei dispositivi elettronici soprattutto nelle ore notturne, corrispondenti al picco di secrezione della melatonina, ed anche la comparsa di sintomi quali difficoltà nel mettere a fuoco, secchezza, bruciore e irritazione oculare, riportabili ad una sindrome nota come “affaticamento visivo digitale”. La frequenza sempre maggiore di questi effetti ha posto pertanto l'attenzione sulla fototossicità della luce blu, portando alla pubblicazione di linee guida (EN 62471:2008) che forniscono dei limiti di esposizione per sorgenti estese e sorgenti puntiformi, da cui sono stati definiti quattro gruppi di rischio, sulla base del tempo massimo di esposizione consentito, al fine di evitare il superamento della soglia di rischio. In questo lavoro di Tesi, utilizzando un luxmetro, si è voluto confrontare il livello di luce emessa da tre cellulari, tre computer, due tablet e sette lampadine. Il luxmetro è stato utilizzato per misurare l'illuminamento (la quantità di luce che riceve una determinata superficie da una sorgente) proveniente dai dispositivi elettronici a due diverse distanze in modo da verificare che l'allontanamento del dispositivo dal luxmetro corrisponde ad una diminuzione dei valori di illuminamento. Sono state valutate quattro diverse condizioni: al buio, con il solo neon da soffitto o la sola lampada da scrivania accesi ed infine con neon e lampada accesi contemporaneamente. Inoltre, si è voluta confrontare la differenza tra l'illuminamento corrispondente al caso con la protezione occhi attiva e quello corrispondente alla modalità inattiva: in tutti i casi in cui fosse disponibile tale modalità si è osservata una diminuzione del valore, confermandone quindi l'utilità nel proteggere l'apparato visivo dalla luce blu. È stato utilizzato infine anche uno spettrometro per ottenere, per ciascun dispositivo, lo spettro elettromagnetico ed osservare le differenze di intensità nel picco corrispondente alla radiazione del blu in tutti i casi analizzati. La sovraesposizione a luce blu quindi causa diversi effetti sull'organismo umano da cui attualmente, in attesa di ulteriori studi, ci si può proteggere aumentando la distanza del dispositivo utilizzato dagli occhi, limitarne l'uso soprattutto in orari serali ed attivare la protezione occhi in modo da schermare la luce blu proveniente dalla tecnologia a LED degli schermi.
Misure di emissione di "luce blu" da dispositivi elettronici di uso quotidiano
CIURLO, MARTINA
2020/2021
Abstract
La “luce blu” è una componente dello spettro del visibile di lunghezza d'onda compresa tra 400 nm e 525 nm, nota per essere responsabile di danni all'apparato visivo. Questa radiazione è in grado di raggiungere la retina ed essere trasformata in impulsi elettrici da parte delle cellule visive (coni e bastoncelli), questi impulsi saranno poi trasmessi al cervello; essa viene emessa sia da sorgenti naturali che artificiali. La recente e massiccia diffusione tra adulti e bambini dei dispositivi elettronici, sommata alla quantità di tempo spesa nel loro utilizzo a distanze anche ravvicinate, ha portato alla denominazione del cosiddetto “rischio da luce blu”. Studi e sperimentazioni su modelli animali hanno dimostrato che l'eccessiva produzione di ROS che avviene in seguito all'esposizione a luce blu, in particolare tra i 400 nm ed i 450 nm, sia in grado di provocare un danno fotochimico alle cellule retiniche, causandone la morte. Sono segnalati in letteratura anche altri effetti, tra cui l'alterazione del ritmo circadiano dovuto al frequente utilizzo dei dispositivi elettronici soprattutto nelle ore notturne, corrispondenti al picco di secrezione della melatonina, ed anche la comparsa di sintomi quali difficoltà nel mettere a fuoco, secchezza, bruciore e irritazione oculare, riportabili ad una sindrome nota come “affaticamento visivo digitale”. La frequenza sempre maggiore di questi effetti ha posto pertanto l'attenzione sulla fototossicità della luce blu, portando alla pubblicazione di linee guida (EN 62471:2008) che forniscono dei limiti di esposizione per sorgenti estese e sorgenti puntiformi, da cui sono stati definiti quattro gruppi di rischio, sulla base del tempo massimo di esposizione consentito, al fine di evitare il superamento della soglia di rischio. In questo lavoro di Tesi, utilizzando un luxmetro, si è voluto confrontare il livello di luce emessa da tre cellulari, tre computer, due tablet e sette lampadine. Il luxmetro è stato utilizzato per misurare l'illuminamento (la quantità di luce che riceve una determinata superficie da una sorgente) proveniente dai dispositivi elettronici a due diverse distanze in modo da verificare che l'allontanamento del dispositivo dal luxmetro corrisponde ad una diminuzione dei valori di illuminamento. Sono state valutate quattro diverse condizioni: al buio, con il solo neon da soffitto o la sola lampada da scrivania accesi ed infine con neon e lampada accesi contemporaneamente. Inoltre, si è voluta confrontare la differenza tra l'illuminamento corrispondente al caso con la protezione occhi attiva e quello corrispondente alla modalità inattiva: in tutti i casi in cui fosse disponibile tale modalità si è osservata una diminuzione del valore, confermandone quindi l'utilità nel proteggere l'apparato visivo dalla luce blu. È stato utilizzato infine anche uno spettrometro per ottenere, per ciascun dispositivo, lo spettro elettromagnetico ed osservare le differenze di intensità nel picco corrispondente alla radiazione del blu in tutti i casi analizzati. La sovraesposizione a luce blu quindi causa diversi effetti sull'organismo umano da cui attualmente, in attesa di ulteriori studi, ci si può proteggere aumentando la distanza del dispositivo utilizzato dagli occhi, limitarne l'uso soprattutto in orari serali ed attivare la protezione occhi in modo da schermare la luce blu proveniente dalla tecnologia a LED degli schermi.File | Dimensione | Formato | |
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