Cos’è la verità? Il segreto è ammissibile in ambito politico? È possibile accedere ad una piena conoscenza della realtà che ci circonda? Il governo della scienza è migliore di quello della politica? Da secoli simili interrogativi animano la discussione politico-filosofica, che ancora oggi dimostra di non aver superato la necessità, se non l’urgenza, di definire il ruolo che verità e segreto devono rivestire nell’amministrazione della res publica. Partendo dall’esplorazione delle riflessioni più note nella storia del pensiero politico sul tema del potere invisibile, attraverso un percorso che inizia nell’agorà di Atene, tocca i teorici della ragion di stato così come i principali detrattori della dissimulazione, per concludersi infine nel secondo dopoguerra con il complesso contributo arendtiano, l’obiettivo è quello di edificare una base che sia solida abbastanza da permettere l’elaborazione di un ragionamento più consapevole e informato sul contesto odierno. Mai come oggi, infatti, a fronte della radicale trasformazione che i mezzi di comunicazione stanno subendo, il confine tra verità e opinione è stato così labile: termini come post-verità, fake-news e alternative facts, per esempio, sono entrati a far parte del vocabolario comune solo negli ultimi anni. La sempre crescente difficoltà a distinguere i fatti dalle convinzioni, che non travolge solo più il singolo individuo, ma (inquietantemente) anche molte di quelle istituzioni che dovrebbero garantire il diritto a un’informazione imparziale e non manipolata, rende ancora più tangibile l’urgenza di una tale analisi: l’attacco al Campidoglio dello scorso gennaio, in questo senso, può essere interpretato come l’emblema della fragilità della democrazia di fronte alla potenza polarizzante che un uso strategico e nocivo dei social media, potenzialmente, permette. Ci troviamo forse già all’interno di una distopica democrazia virtuale, in cui l’esercizio dei diritti democratici è ridotto a mera apparenza e non esiste più un’effettiva libertà di espressione, essendo la verità costantemente ridotta alla stregua di un’opinione? La complessità della questione emerge con prepotenza nell’ambito della pandemia di COVID-19 che, tra negazionismi, antivaccinismo e titoli giornalistici fuorvianti, si presenta come un laboratorio sociale privilegiato per osservare l’intricato rapporto che intercorre tra segreto, verità e politica.

Segreto, verità e politica. Il potere invisibile ieri e oggi, con uno sguardo sulla pandemia

SARTOR, ELISA
2020/2021

Abstract

Cos’è la verità? Il segreto è ammissibile in ambito politico? È possibile accedere ad una piena conoscenza della realtà che ci circonda? Il governo della scienza è migliore di quello della politica? Da secoli simili interrogativi animano la discussione politico-filosofica, che ancora oggi dimostra di non aver superato la necessità, se non l’urgenza, di definire il ruolo che verità e segreto devono rivestire nell’amministrazione della res publica. Partendo dall’esplorazione delle riflessioni più note nella storia del pensiero politico sul tema del potere invisibile, attraverso un percorso che inizia nell’agorà di Atene, tocca i teorici della ragion di stato così come i principali detrattori della dissimulazione, per concludersi infine nel secondo dopoguerra con il complesso contributo arendtiano, l’obiettivo è quello di edificare una base che sia solida abbastanza da permettere l’elaborazione di un ragionamento più consapevole e informato sul contesto odierno. Mai come oggi, infatti, a fronte della radicale trasformazione che i mezzi di comunicazione stanno subendo, il confine tra verità e opinione è stato così labile: termini come post-verità, fake-news e alternative facts, per esempio, sono entrati a far parte del vocabolario comune solo negli ultimi anni. La sempre crescente difficoltà a distinguere i fatti dalle convinzioni, che non travolge solo più il singolo individuo, ma (inquietantemente) anche molte di quelle istituzioni che dovrebbero garantire il diritto a un’informazione imparziale e non manipolata, rende ancora più tangibile l’urgenza di una tale analisi: l’attacco al Campidoglio dello scorso gennaio, in questo senso, può essere interpretato come l’emblema della fragilità della democrazia di fronte alla potenza polarizzante che un uso strategico e nocivo dei social media, potenzialmente, permette. Ci troviamo forse già all’interno di una distopica democrazia virtuale, in cui l’esercizio dei diritti democratici è ridotto a mera apparenza e non esiste più un’effettiva libertà di espressione, essendo la verità costantemente ridotta alla stregua di un’opinione? La complessità della questione emerge con prepotenza nell’ambito della pandemia di COVID-19 che, tra negazionismi, antivaccinismo e titoli giornalistici fuorvianti, si presenta come un laboratorio sociale privilegiato per osservare l’intricato rapporto che intercorre tra segreto, verità e politica.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/31711