Sin dalla “nascita”, le fondazioni di origine bancaria si sono distinte per la loro poca chiarezza e per la conseguente difficoltà di inserimento in un contesto più ampio, già altrettanto complesso, presente sulla scena nazionale nella prima metà degli anni Novanta. È opinione diffusa e condivisa che il cambiamento radicale del settore non profit, in atto negli ultimi decenni, sia strettamente legato al consolidamento di questo nuovo istituto. Frutto di un ventennale processo di riforma, volto alla privatizzazione del settore bancario, prese avvio con la c.d. Legge Amato (n. 218 del 30 luglio 1990) e si concluse con la separazione dell'attività creditizia da quella filantropica. In questo modo, le attività finalizzate allo sviluppo sociale, culturale, civile ed economico rimasero di competenza esclusiva delle fondazioni. La comparsa delle fondazioni bancarie non è tuttavia da considerarsi quale l'esito di una decisione altruista di un singolo individuo, bensì come il risultato, quasi inatteso, di una politica indirizzata a sanare quel gap presente nel nostro sistema bancario di matrice prettamente pubblica, che impediva la libera manifestazione delle dinamiche concorrenziali strettamente legate alla creazione del Mercato unico. Fu proprio da questa esigenza di privatizzazione e di sussidiarietà orizzontale che nacquero le fondazioni di origine bancaria: enti non profit privati, dotati di autonomia statutaria e gestionale, perseguenti scopi di pubblica utilità attraverso il reinvestimento degli utili in attività solidaristiche. Sorte per caso, in un ambiente culturale e legislativo poco favorevole, hanno faticato molto a far emergere la propria identità; colpevole anche una modestissima tradizione nazionale volta all'erogazione dei fondi per finalità collettive, spesso considerata come una semplice attività di beneficienza o di marketing. Solo recentemente, chiarita definitivamente la loro natura giuridica privata, le fondazioni di origine bancaria hanno potuto iniziare ad interrogarsi con maggiore profondità sulla propria funzione e, più in particolare, sul ruolo di promozione dello sviluppo dei territori su cui si esse si collocano entro il contesto italiano. Proprio al fine di razionalizzare questo sistema di norme che le regolano e di valorizzare la trasparenza delle erogazioni, nell'aprile del 2012 le FOB hanno deciso di sottomettersi ad una sorta di codice di riferimento nato volontariamente, ma non per questo non vincolante, la Carta delle Fondazioni. Essa “ha posto le basi per un processo di autoriforma il cui passaggio fondamentale è stato la firma, il 22 aprile 2015, di un Protocollo d'intesa fra l'ACRI e il Ministero dell'Economia e delle Finanze (autorità di vigilanza sulle fondazioni di origine bancaria).” L'obiettivo ultimo di questo lavoro è quello di fare chiarezza su una realtà che ad oggi non è più così marginale sulla scena economica italiana presentando, a tale scopo, l'analisi di due casi torinesi riconosciuti in tutto il Paese per la loro volontà attuativa di pratiche ed erogazioni volte allo sviluppo del territorio locale.
Le Fondazioni di Origine Bancaria: evoluzione normativa ed impegno sociale. I casi Fondazione CRT e Compagnia di San Paolo.
GILLI, ALICE
2019/2020
Abstract
Sin dalla “nascita”, le fondazioni di origine bancaria si sono distinte per la loro poca chiarezza e per la conseguente difficoltà di inserimento in un contesto più ampio, già altrettanto complesso, presente sulla scena nazionale nella prima metà degli anni Novanta. È opinione diffusa e condivisa che il cambiamento radicale del settore non profit, in atto negli ultimi decenni, sia strettamente legato al consolidamento di questo nuovo istituto. Frutto di un ventennale processo di riforma, volto alla privatizzazione del settore bancario, prese avvio con la c.d. Legge Amato (n. 218 del 30 luglio 1990) e si concluse con la separazione dell'attività creditizia da quella filantropica. In questo modo, le attività finalizzate allo sviluppo sociale, culturale, civile ed economico rimasero di competenza esclusiva delle fondazioni. La comparsa delle fondazioni bancarie non è tuttavia da considerarsi quale l'esito di una decisione altruista di un singolo individuo, bensì come il risultato, quasi inatteso, di una politica indirizzata a sanare quel gap presente nel nostro sistema bancario di matrice prettamente pubblica, che impediva la libera manifestazione delle dinamiche concorrenziali strettamente legate alla creazione del Mercato unico. Fu proprio da questa esigenza di privatizzazione e di sussidiarietà orizzontale che nacquero le fondazioni di origine bancaria: enti non profit privati, dotati di autonomia statutaria e gestionale, perseguenti scopi di pubblica utilità attraverso il reinvestimento degli utili in attività solidaristiche. Sorte per caso, in un ambiente culturale e legislativo poco favorevole, hanno faticato molto a far emergere la propria identità; colpevole anche una modestissima tradizione nazionale volta all'erogazione dei fondi per finalità collettive, spesso considerata come una semplice attività di beneficienza o di marketing. Solo recentemente, chiarita definitivamente la loro natura giuridica privata, le fondazioni di origine bancaria hanno potuto iniziare ad interrogarsi con maggiore profondità sulla propria funzione e, più in particolare, sul ruolo di promozione dello sviluppo dei territori su cui si esse si collocano entro il contesto italiano. Proprio al fine di razionalizzare questo sistema di norme che le regolano e di valorizzare la trasparenza delle erogazioni, nell'aprile del 2012 le FOB hanno deciso di sottomettersi ad una sorta di codice di riferimento nato volontariamente, ma non per questo non vincolante, la Carta delle Fondazioni. Essa “ha posto le basi per un processo di autoriforma il cui passaggio fondamentale è stato la firma, il 22 aprile 2015, di un Protocollo d'intesa fra l'ACRI e il Ministero dell'Economia e delle Finanze (autorità di vigilanza sulle fondazioni di origine bancaria).” L'obiettivo ultimo di questo lavoro è quello di fare chiarezza su una realtà che ad oggi non è più così marginale sulla scena economica italiana presentando, a tale scopo, l'analisi di due casi torinesi riconosciuti in tutto il Paese per la loro volontà attuativa di pratiche ed erogazioni volte allo sviluppo del territorio locale.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/30317