La Costituzione italiana tra i suoi primi articoli statuisce il divieto di infliggere ai condannati pene contrarie al senso di umanità e rileva altresì l'obbligo che esse abbiano una finalità rieducativa. In quale misura tali norme siano state applicate nel sistema penitenziario italiano è tuttavia emerso nella sentenza emessa in data 8 gennaio 2013 dalla Corte Europea per i Diritti dell'Uomo. In quest'ultima è stata infatti evidenziata l'esistenza di un fenomeno contravvenente i principi della Convenzione cui la Corte faceva riferimento e, parimenti, quelli enunciati nella nostra Costituzione: il sovraffollamento carcerario. L'eccessiva densità abitativa della popolazione penitenziaria italiana costituiva una violazione dell'articolo 3 della CEDU, ove si afferma che “nessuno può essere sottoposto a torture, né a pene o trattamenti inumani e degradanti”. La ristrettezza degli spazi detentivi veniva letta dalla Corte come un trattamento degradante, aggravato dall'uso improprio di alcune misure di detenzione e dalle tempistiche eccessivamente lunghe dell'iter giudiziario. Tali vicende giuridiche pertinenti l'Italia si collocavano in un quadro europeo oggi orientato ad un ridimensionamento del sovraffollamento carcerario, favorito anche dal carattere “pilota” assunto dalle sentenze della Corte di Strasburgo e dalle decisioni quadro del Consiglio Europeo che, contenenti proposte di riforma, hanno guidato i paesi condannati nella correzione delle fattispecie all'origine del giudizio, che in tali sentenze si contraddistinguono per il loro carattere pervasivo e continuativo. Considerata la portata internazionale del fenomeno e il carattere urgente che ha assunto nel corso dell'emergenza sanitaria che ha coinvolto in prima linea il nostro paese, ho voluto analizzarne l'evoluzione a seguito della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. Per farlo ho colto il problema da due prospettive: la prima internazionale, volta a comprendere in che misura la pronuncia abbia inciso sull'efficacia del progetto europeo di cooperazione giudiziaria; la seconda nazionale, diretta a valutare l'efficacia delle contromisure adottate dal Legislatore italiano alla luce dei dati sulla popolazione carceraria e sugli istituti penitenziari italiani. L'ultima parte è poi dedicata alla trattazione delle strategie ad oggi adottate per gestire l'epidemia da COVID-19 nel contesto penitenziario, una messa alla prova del sistema e della sua resilienza post-riformista.
Il sovraffollamento delle carceri italiane - L'evoluzione del fenomeno dopo la condanna della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU).
LOSITO, CHIARA
2019/2020
Abstract
La Costituzione italiana tra i suoi primi articoli statuisce il divieto di infliggere ai condannati pene contrarie al senso di umanità e rileva altresì l'obbligo che esse abbiano una finalità rieducativa. In quale misura tali norme siano state applicate nel sistema penitenziario italiano è tuttavia emerso nella sentenza emessa in data 8 gennaio 2013 dalla Corte Europea per i Diritti dell'Uomo. In quest'ultima è stata infatti evidenziata l'esistenza di un fenomeno contravvenente i principi della Convenzione cui la Corte faceva riferimento e, parimenti, quelli enunciati nella nostra Costituzione: il sovraffollamento carcerario. L'eccessiva densità abitativa della popolazione penitenziaria italiana costituiva una violazione dell'articolo 3 della CEDU, ove si afferma che “nessuno può essere sottoposto a torture, né a pene o trattamenti inumani e degradanti”. La ristrettezza degli spazi detentivi veniva letta dalla Corte come un trattamento degradante, aggravato dall'uso improprio di alcune misure di detenzione e dalle tempistiche eccessivamente lunghe dell'iter giudiziario. Tali vicende giuridiche pertinenti l'Italia si collocavano in un quadro europeo oggi orientato ad un ridimensionamento del sovraffollamento carcerario, favorito anche dal carattere “pilota” assunto dalle sentenze della Corte di Strasburgo e dalle decisioni quadro del Consiglio Europeo che, contenenti proposte di riforma, hanno guidato i paesi condannati nella correzione delle fattispecie all'origine del giudizio, che in tali sentenze si contraddistinguono per il loro carattere pervasivo e continuativo. Considerata la portata internazionale del fenomeno e il carattere urgente che ha assunto nel corso dell'emergenza sanitaria che ha coinvolto in prima linea il nostro paese, ho voluto analizzarne l'evoluzione a seguito della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. Per farlo ho colto il problema da due prospettive: la prima internazionale, volta a comprendere in che misura la pronuncia abbia inciso sull'efficacia del progetto europeo di cooperazione giudiziaria; la seconda nazionale, diretta a valutare l'efficacia delle contromisure adottate dal Legislatore italiano alla luce dei dati sulla popolazione carceraria e sugli istituti penitenziari italiani. L'ultima parte è poi dedicata alla trattazione delle strategie ad oggi adottate per gestire l'epidemia da COVID-19 nel contesto penitenziario, una messa alla prova del sistema e della sua resilienza post-riformista.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/27971