Pendant longtemps le multilinguisme a été considéré comme un phénomène nuisible : on pensait que les langues fussent en concurrence les unes avec les autres et que l’apprentissage d’une L2 générât des difficultés comportementales et de la confusion mentale. Le multilinguisme s’est vu attribuer une culpabilité qu’il ne possède pas réellement et cette dernière a été démentie par la recherche, qui a mis en lumière les nombreux avantages offerts par l’apprentissage de plusieurs langues au point que, dans la deuxième moitié du siècle dernier, il y a eu un changement de direction vers le multilinguisme. En effet, une fois découverte la flexibilité mentale, la capacité d’inhiber les stimuli non pertinents, la capacité de problem solving, la créativité, la probabilité plus faible de contracter le déclin cognitif et la prédisposition à apprendre des personnes multilingues, l’enseignement multilingue a commencé à se propager de plus en plus. On a également découvert que la langue maternelle joue un rôle central : l’enfant entend les sons de la langue utilisée par ses parents avant même sa naissance. La langue maternelle n’est pas seulement cognitive, mais aussi affective et identitaire et l’expérience d’apprentissage de la L1 est colorée avec des affections, des souvenirs et des sentiments. Bien qu’il n’y ait plus aucun doute sur l’existence de l’avantage multilingue et qu’il existe aujourd’hui une connaissance répandue de l’importance de la L1, il y a encore des enseignants qui invitent les parents, ayant une langue maternelle différente de celle utilisée à l’école, à parler italien à leurs enfants, abandonnant la L1. Cela se produit malgré que les enfants passent déjà beaucoup de temps à l’école où l’italien est utilisé et, parfois, les compétences des parents dans cette langue ne sont pas très élevées et ne permettent pas la transmission d’une langue correcte causant des lacunes ou des possibles distorsions linguistiques. Dès l’instant où moi-même j’ai une langue maternelle différente de l’italien, j’ai décidé de dédier cette dissertation à ce sujet. L’objectif de la recherche est d’étudier ce phénomène dans la Vallée d’Aoste : une région bilingue où, en plus de la coexistence de l’italien et du français, il y a une minorité linguistique, le Franco-Provençal. L’objectif de l’enquête est, d’une part, de rechercher et d’analysér matériel pédagogique en patois et, d’autre part, de vérifier s’il y a encore des enfants ayant le patois comme L1 et, à travers des entretiens approfondis avec les familles et le personnel scolaire de l’école maternelle, d’étudier les motivations qui ont conduit les parents à ce choix éducatif mettant en évidence tous les moments de difficulté ou les cas de soutien de la part de l’école. Pourquoi l’école maternelle ? Parce que c’est la première fenêtre sur le monde extérieur pour les enfants et l’un des premiers endroits où ils sont confrontés à des nouvelles langues. En outre, dans le but d’écouter aussi le point de vue des protagonistes de cette étude, mais avec les difficultés d’interviewer des enfants petits, j’ai interviewé des garçons et des filles qui ont le patois come langue maternelle afin de connaître leurs expériences liées à leur langue maternelle. À la fin de mon travail, je me demande à quel avenir s’attendre pour le patois ? Combien de temps y aura-t-il des parents qui résisteront à l’italianisation ? Comment pourrions-nous aider les nouvelles générations à défendre et à répandre cette langue ?

Per molto tempo il plurilinguismo è stato considerato un fenomeno dannoso: si pensava che le lingue fossero in competizione tra loro e che l’apprendimento di una L2 generasse difficoltà comportamentali e confusione mentale. L’attribuzione al plurilinguismo di colpe che in realtà non possiede fu smentita dalla ricerca, la quale portò alla luce i numerosi benefici offerti dall’apprendimento di più lingue al punto che, nella seconda metà del secolo scorso, ci fu una vera e propria svolta plurilingue. Infatti una volta scoperta la flessibilità mentale, l’abilità di inibire gli stimoli irrilevanti, la capacità di problem solving, la creatività, la minor probabilità di contrarre un declino cognitivo e la predisposizione all’apprendimento dei soggetti plurilingue, l’insegnamento delle lingue iniziò sempre più a diffondersi. Si scoprì inoltre che la lingua madre godesse di un ruolo centrale: il primo contatto con essa si ha quando si è nel ventre materno, il bambino sente i suoni della lingua utilizzata dai suoi genitori prima ancora di nascere. La lingua madre non è solo conoscitiva, ma è anche affettiva e identitaria, nessun’altra lingua riesce a trasmettere allo stesso modo le emozioni e l’esperienza di apprendimento della L1 è colorata di affetti, memorie e sentimenti. Nonostante ora non ci sia alcun dubbio sull’esistenza del vantaggio plurilingue e ci siano conoscenze ormai diffuse relative all’importanza della L1, ci sono ancora insegnanti che invitano i genitori aventi una lingua madre diversa da quella di scolarizzazione a parlare italiano ai propri figli, abbandonando la lingua di famiglia. Questo accade malgrado i bambini trascorrano già molto tempo a scuola dove viene utilizzato l’italiano e, alle volte, le competenze dei genitori in questa lingua non siano molto elevate e non permettano la trasmissione di una lingua corretta provocando possibili mancanze o distorsioni linguistiche. Dal momento che anche io ho una lingua madre differente dall’italiano, ho deciso di dedicare il mio lavoro di tesi proprio a questo argomento. Lo scopo della ricerca è indagare questo fenomeno in Valle d’Aosta, regione bilingue dove oltre ad esserci la compresenza dell’italiano e del francese, emerge una minoranza linguistica: il franco-provenzale. L’obiettivo dell’indagine è, da un lato, ricercare e analizzare materiale didattico in patois, e dall’altro, verificare se ci sono ancora bambini aventi il patois come L1 e, attraverso interviste in profondità a famiglie e a personale scolastico della scuola dell’infanzia, indagare le motivazioni che hanno portato i genitori a questa scelta educativa evidenziando eventuali momenti di difficoltà e occasioni di supporto da parte della scuola e della società. Perché proprio la scuola dell’infanzia? Perché è la prima finestra sul mondo esterno per i bambini e uno dei primi luoghi dove essi si confrontano con nuove lingue. Inoltre, con lo scopo di dare luce anche al punto di vista dei veri protagonisti di questo studio, ma con le difficoltà di intervistare i bambini stessi, ho coinvolto nella mia ricerca anche ragazzi madrelingua patois, con i quali ho indagato le esperienze legate alla propria lingua madre. Al termine di questo mio lavoro mi domando quale futuro aspettarsi per il patois? Per quanto tempo ci saranno genitori che andranno controcorrente resistendo all’italianizzazione? Come si potrebbero supportare queste famiglie? E ancora, come motivare le nuove generazioni a difendere e diffondere questa lingua?

Il vantaggio plurilingue in età prescolare: quando la lingua madre è il patois

PHILIPPOT, MONIQUE
2019/2020

Abstract

Per molto tempo il plurilinguismo è stato considerato un fenomeno dannoso: si pensava che le lingue fossero in competizione tra loro e che l’apprendimento di una L2 generasse difficoltà comportamentali e confusione mentale. L’attribuzione al plurilinguismo di colpe che in realtà non possiede fu smentita dalla ricerca, la quale portò alla luce i numerosi benefici offerti dall’apprendimento di più lingue al punto che, nella seconda metà del secolo scorso, ci fu una vera e propria svolta plurilingue. Infatti una volta scoperta la flessibilità mentale, l’abilità di inibire gli stimoli irrilevanti, la capacità di problem solving, la creatività, la minor probabilità di contrarre un declino cognitivo e la predisposizione all’apprendimento dei soggetti plurilingue, l’insegnamento delle lingue iniziò sempre più a diffondersi. Si scoprì inoltre che la lingua madre godesse di un ruolo centrale: il primo contatto con essa si ha quando si è nel ventre materno, il bambino sente i suoni della lingua utilizzata dai suoi genitori prima ancora di nascere. La lingua madre non è solo conoscitiva, ma è anche affettiva e identitaria, nessun’altra lingua riesce a trasmettere allo stesso modo le emozioni e l’esperienza di apprendimento della L1 è colorata di affetti, memorie e sentimenti. Nonostante ora non ci sia alcun dubbio sull’esistenza del vantaggio plurilingue e ci siano conoscenze ormai diffuse relative all’importanza della L1, ci sono ancora insegnanti che invitano i genitori aventi una lingua madre diversa da quella di scolarizzazione a parlare italiano ai propri figli, abbandonando la lingua di famiglia. Questo accade malgrado i bambini trascorrano già molto tempo a scuola dove viene utilizzato l’italiano e, alle volte, le competenze dei genitori in questa lingua non siano molto elevate e non permettano la trasmissione di una lingua corretta provocando possibili mancanze o distorsioni linguistiche. Dal momento che anche io ho una lingua madre differente dall’italiano, ho deciso di dedicare il mio lavoro di tesi proprio a questo argomento. Lo scopo della ricerca è indagare questo fenomeno in Valle d’Aosta, regione bilingue dove oltre ad esserci la compresenza dell’italiano e del francese, emerge una minoranza linguistica: il franco-provenzale. L’obiettivo dell’indagine è, da un lato, ricercare e analizzare materiale didattico in patois, e dall’altro, verificare se ci sono ancora bambini aventi il patois come L1 e, attraverso interviste in profondità a famiglie e a personale scolastico della scuola dell’infanzia, indagare le motivazioni che hanno portato i genitori a questa scelta educativa evidenziando eventuali momenti di difficoltà e occasioni di supporto da parte della scuola e della società. Perché proprio la scuola dell’infanzia? Perché è la prima finestra sul mondo esterno per i bambini e uno dei primi luoghi dove essi si confrontano con nuove lingue. Inoltre, con lo scopo di dare luce anche al punto di vista dei veri protagonisti di questo studio, ma con le difficoltà di intervistare i bambini stessi, ho coinvolto nella mia ricerca anche ragazzi madrelingua patois, con i quali ho indagato le esperienze legate alla propria lingua madre. Al termine di questo mio lavoro mi domando quale futuro aspettarsi per il patois? Per quanto tempo ci saranno genitori che andranno controcorrente resistendo all’italianizzazione? Come si potrebbero supportare queste famiglie? E ancora, come motivare le nuove generazioni a difendere e diffondere questa lingua?
ITA
Pendant longtemps le multilinguisme a été considéré comme un phénomène nuisible : on pensait que les langues fussent en concurrence les unes avec les autres et que l’apprentissage d’une L2 générât des difficultés comportementales et de la confusion mentale. Le multilinguisme s’est vu attribuer une culpabilité qu’il ne possède pas réellement et cette dernière a été démentie par la recherche, qui a mis en lumière les nombreux avantages offerts par l’apprentissage de plusieurs langues au point que, dans la deuxième moitié du siècle dernier, il y a eu un changement de direction vers le multilinguisme. En effet, une fois découverte la flexibilité mentale, la capacité d’inhiber les stimuli non pertinents, la capacité de problem solving, la créativité, la probabilité plus faible de contracter le déclin cognitif et la prédisposition à apprendre des personnes multilingues, l’enseignement multilingue a commencé à se propager de plus en plus. On a également découvert que la langue maternelle joue un rôle central : l’enfant entend les sons de la langue utilisée par ses parents avant même sa naissance. La langue maternelle n’est pas seulement cognitive, mais aussi affective et identitaire et l’expérience d’apprentissage de la L1 est colorée avec des affections, des souvenirs et des sentiments. Bien qu’il n’y ait plus aucun doute sur l’existence de l’avantage multilingue et qu’il existe aujourd’hui une connaissance répandue de l’importance de la L1, il y a encore des enseignants qui invitent les parents, ayant une langue maternelle différente de celle utilisée à l’école, à parler italien à leurs enfants, abandonnant la L1. Cela se produit malgré que les enfants passent déjà beaucoup de temps à l’école où l’italien est utilisé et, parfois, les compétences des parents dans cette langue ne sont pas très élevées et ne permettent pas la transmission d’une langue correcte causant des lacunes ou des possibles distorsions linguistiques. Dès l’instant où moi-même j’ai une langue maternelle différente de l’italien, j’ai décidé de dédier cette dissertation à ce sujet. L’objectif de la recherche est d’étudier ce phénomène dans la Vallée d’Aoste : une région bilingue où, en plus de la coexistence de l’italien et du français, il y a une minorité linguistique, le Franco-Provençal. L’objectif de l’enquête est, d’une part, de rechercher et d’analysér matériel pédagogique en patois et, d’autre part, de vérifier s’il y a encore des enfants ayant le patois comme L1 et, à travers des entretiens approfondis avec les familles et le personnel scolaire de l’école maternelle, d’étudier les motivations qui ont conduit les parents à ce choix éducatif mettant en évidence tous les moments de difficulté ou les cas de soutien de la part de l’école. Pourquoi l’école maternelle ? Parce que c’est la première fenêtre sur le monde extérieur pour les enfants et l’un des premiers endroits où ils sont confrontés à des nouvelles langues. En outre, dans le but d’écouter aussi le point de vue des protagonistes de cette étude, mais avec les difficultés d’interviewer des enfants petits, j’ai interviewé des garçons et des filles qui ont le patois come langue maternelle afin de connaître leurs expériences liées à leur langue maternelle. À la fin de mon travail, je me demande à quel avenir s’attendre pour le patois ? Combien de temps y aura-t-il des parents qui résisteront à l’italianisation ? Comment pourrions-nous aider les nouvelles générations à défendre et à répandre cette langue ?
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/26429