L’anno 2016 è stato salutato come annus horribilis nella tortuosa biografia delle democrazie occidentali per due ordini di motivi: la vittoria delle elezioni presidenziali da parte di Donald Trump, il tycoon ultraconservatore e la Brexit, la fuoriuscita del Regno Unito dal novero degli Stati membri dell’Unione europea con la maggioranza dei voti espressi in favore dell’interruzione della partecipazione al processo di integrazione europea in seguito al verdetto del referendum popolare indetto per l’occasione. Nel 2018, le violente rivolte del movimento francese dei “gilet gialli” e i perduranti scontri con le forze dell’ordine culminati nella demolizione dell’ingresso di un edificio ministeriale, mentre il 2021 viene inaugurato con l’assalto di Capitol Hill e la “profanazione” del Campidoglio, tempio della democrazia statunitense, sullo sfondo della tragedia pandemica da SARS-CoV-2 che numerose vittime continua a mietere da più di un anno a questa parte. Il breve elenco proposto riguarda alcuni eventi di punta appartenenti a quella che è stata definita come una nuova stagione “populista” e “antipolitica” dalle venature più o meno autoritarie che ha investito l’intero Occidente e scosso profondamente democrazie rappresentative dal tessuto sociale sempre più lacerato, segnate da disaffezione politica, sfiducia istituzionale, impoverimento e disoccupazione fino alla preoccupante recrudescenza di fenomeni di razzismo. Tuttavia la riflessione da cui muove questo elaborato non riguarda l’ascesa del caleidoscopio di partiti e leader ascrivibili all’inflazionata etichetta “populista” bensì dalla percezione di un sentimento di diffusa insofferenza che nutre una cospicua parte dell’opinione pubblica verso “l’uguaglianza”, pietra angolare dei regimi democratici e in particolare in aperta polemica con quella “politica”, ovvero l’eguale titolarità del diritto di voto e di eleggibilità, tanto rimessa in discussione negli ultimi tempi come soluzione per arginare l’incipienza di leader demagogici e rimediare ai potenziali danni collettivi che provocano elettori disinformati, e incompetenti, a titolo esemplificativo con la cosiddetta “patente di voto”. Controversa tendenza di cui si trova ampio riscontro nei più ristretti ambiti accademici di una fiorente letteratura scientifica. Provocatorie o intenzionali, queste proposte, un tempo tabù, anche se impraticabili ma non più, secondo alcuni, così insostenibili, sono soltanto la punta dell’icerberg di una cultura qui ribattezza come “disegualitaria” che è andata esponenzialmente affermandosi sul finire dei concitati anni ’70 su due versanti paralleli: il primo, socio-economico e il secondo, politico-istituzionale. Scopo del seguente elaborato è la presentazione della suddetta cultura e la descrizione delle due dimensioni sopracitate che trovano il loro punto d’incontro nell’uguaglianza politica.
Cultura disegualitaria e suffragio universale
LOMANNO, EMANUELE
2020/2021
Abstract
L’anno 2016 è stato salutato come annus horribilis nella tortuosa biografia delle democrazie occidentali per due ordini di motivi: la vittoria delle elezioni presidenziali da parte di Donald Trump, il tycoon ultraconservatore e la Brexit, la fuoriuscita del Regno Unito dal novero degli Stati membri dell’Unione europea con la maggioranza dei voti espressi in favore dell’interruzione della partecipazione al processo di integrazione europea in seguito al verdetto del referendum popolare indetto per l’occasione. Nel 2018, le violente rivolte del movimento francese dei “gilet gialli” e i perduranti scontri con le forze dell’ordine culminati nella demolizione dell’ingresso di un edificio ministeriale, mentre il 2021 viene inaugurato con l’assalto di Capitol Hill e la “profanazione” del Campidoglio, tempio della democrazia statunitense, sullo sfondo della tragedia pandemica da SARS-CoV-2 che numerose vittime continua a mietere da più di un anno a questa parte. Il breve elenco proposto riguarda alcuni eventi di punta appartenenti a quella che è stata definita come una nuova stagione “populista” e “antipolitica” dalle venature più o meno autoritarie che ha investito l’intero Occidente e scosso profondamente democrazie rappresentative dal tessuto sociale sempre più lacerato, segnate da disaffezione politica, sfiducia istituzionale, impoverimento e disoccupazione fino alla preoccupante recrudescenza di fenomeni di razzismo. Tuttavia la riflessione da cui muove questo elaborato non riguarda l’ascesa del caleidoscopio di partiti e leader ascrivibili all’inflazionata etichetta “populista” bensì dalla percezione di un sentimento di diffusa insofferenza che nutre una cospicua parte dell’opinione pubblica verso “l’uguaglianza”, pietra angolare dei regimi democratici e in particolare in aperta polemica con quella “politica”, ovvero l’eguale titolarità del diritto di voto e di eleggibilità, tanto rimessa in discussione negli ultimi tempi come soluzione per arginare l’incipienza di leader demagogici e rimediare ai potenziali danni collettivi che provocano elettori disinformati, e incompetenti, a titolo esemplificativo con la cosiddetta “patente di voto”. Controversa tendenza di cui si trova ampio riscontro nei più ristretti ambiti accademici di una fiorente letteratura scientifica. Provocatorie o intenzionali, queste proposte, un tempo tabù, anche se impraticabili ma non più, secondo alcuni, così insostenibili, sono soltanto la punta dell’icerberg di una cultura qui ribattezza come “disegualitaria” che è andata esponenzialmente affermandosi sul finire dei concitati anni ’70 su due versanti paralleli: il primo, socio-economico e il secondo, politico-istituzionale. Scopo del seguente elaborato è la presentazione della suddetta cultura e la descrizione delle due dimensioni sopracitate che trovano il loro punto d’incontro nell’uguaglianza politica.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/26390