The following paper aims to prove the existence of a reference to Virgil behind the famous Gigantomachy told by the Pierides in Ovid's “Metamorphoses” (Ov. Met. 5.318-331). By representing the terrified Olimpian gods flying away from Typhoeus and transforming into animals once they reach the Nile, Ovid must come to terms with the notorious description (Aen. 8.691-713) of Cleopatra's flight along with her «omnigenum deum mostra». Introducing the comparison between the two episodes, the first chapter analyzes the Gigantomachy (on one hand, between Typhoeus and the Olimpians, on the other hand between the Egyptian and the Graeco-Roman pantheon) in light of the poetic questions and the politic implications related to the theme of «bella superum», often used to praise the prince. The topic of the second chapter is the poetic tradition on the battle of Actium: through «latrator Anubis», Apollo's arrows, «meretrix regina» and «mundi servator», the Augustan poets (Horace, Virgil, Propertius) shaped the myth of Actium as an ecumenic clash between West and East, between order and caos, between civilization and barbarity. The third chapter analyzes the spread of Egyptian cults in Rome from contempt for theriomorphism to the popularity of Isis between women, to show the significant innovations in Ovid's work, that doesn't show any disdain for «latrator Anubis». In the end, the fourth chapter highlights the similarities between the two passages: by rewriting the flight of the Egyptian pantheon which was on Aeneas' shield, the song of the Pierides challenges the official version of facts given by the Muse (who sings Jupiter's victories in Hesiod) and opposes Virgil and the myth of Actium as a monumental clash between cultures. Recounting the aition of Egyptian theriomorphism, once again Ovid analyzes the tendentiousness of every narrative and the impositions that a poet should accept not to be struck by the lightning of Jupiter.
Il seguente lavoro si propone di dimostrare la presenza di un ipotesto virgiliano dietro alla celebre Gigantomachia narrata dalla Pieride ribelle nelle “Metamorfosi” di Ovidio (Ov. Met. 5.318-331). Nel raffigurare gli dèi Olimpi che, terrorizzati da Tifeo, si danno a una precipitosa fuga e, raggiunte le foci del Nilo, si celano sotto sembianze animali, Ovidio non può non fare i conti con la nota descrizione virgiliana (Aen. 8.691-713) della fuga di Cleopatra e dei suoi «omnigenum deum monstra». Introducendo il confronto tra i due passi, il primo capitolo analizza la Gigantomachia (scontro tra Tifeo e gli Olimpi da un lato, scontro tra pantheon egizio e greco-romano dall'altro) alla luce delle questioni poetiche e delle implicazioni politiche connesse al tema dei «bella superum», spesso pretesto per l'encomio del principe. Oggetto del secondo capitolo è la tradizione poetica sulla battaglia di Azio: dal «latrator Anubis» alle frecce di Apollo, dalla «meretrix regina» al «mundi servator», i poeti Augustei (Orazio, Virgilio, Properzio) diedero forma a un vero e proprio mito di Azio come scontro ecumenico tra Occidente e Oriente, tra ordine e caos, tra civiltà e barbarie. Il capitolo terzo, d'altra parte, prende in esame la diffusione dei culti egizi a Roma tra il disprezzo per il teriomorfismo e la crescente popolarità di Iside tra le donne, allo scopo di sottolineare le significative novità riscontrabili nell'opera ovidiana e il venir meno del disprezzo per il «latrator Anubis». Al capitolo quarto, infine, è riservato il compito di tirare le fila del discorso e di evidenziare i numerosi punti di contatto tra i due passi presi in esame: riscrittura a parti invertite della fuga del pantheon egizio sullo scudo di Enea, il canto della Pieride non solo mette in discussione la versione ufficiale della Musa (che sin da Esiodo rallegra Giove celebrandone le vittorie), ma fa da controcanto anche a Virgilio e al mito di Azio come monumentale scontro tra civiltà. Nel raccontare l'aition del teriomorfismo egizio, Ovidio si interroga ancora una volta sulla tendenziosità di ogni narrazione e sulle logiche di potere a cui un poeta deve sottostare se non vuol essere abbattuto dal fulmine di Giove.
Bella superum, proelia Caesaris: gigantomachie e memoria di Azio in Ovidio, Metamorfosi V
FIDUCIA, MARIA IRENE
2019/2020
Abstract
Il seguente lavoro si propone di dimostrare la presenza di un ipotesto virgiliano dietro alla celebre Gigantomachia narrata dalla Pieride ribelle nelle “Metamorfosi” di Ovidio (Ov. Met. 5.318-331). Nel raffigurare gli dèi Olimpi che, terrorizzati da Tifeo, si danno a una precipitosa fuga e, raggiunte le foci del Nilo, si celano sotto sembianze animali, Ovidio non può non fare i conti con la nota descrizione virgiliana (Aen. 8.691-713) della fuga di Cleopatra e dei suoi «omnigenum deum monstra». Introducendo il confronto tra i due passi, il primo capitolo analizza la Gigantomachia (scontro tra Tifeo e gli Olimpi da un lato, scontro tra pantheon egizio e greco-romano dall'altro) alla luce delle questioni poetiche e delle implicazioni politiche connesse al tema dei «bella superum», spesso pretesto per l'encomio del principe. Oggetto del secondo capitolo è la tradizione poetica sulla battaglia di Azio: dal «latrator Anubis» alle frecce di Apollo, dalla «meretrix regina» al «mundi servator», i poeti Augustei (Orazio, Virgilio, Properzio) diedero forma a un vero e proprio mito di Azio come scontro ecumenico tra Occidente e Oriente, tra ordine e caos, tra civiltà e barbarie. Il capitolo terzo, d'altra parte, prende in esame la diffusione dei culti egizi a Roma tra il disprezzo per il teriomorfismo e la crescente popolarità di Iside tra le donne, allo scopo di sottolineare le significative novità riscontrabili nell'opera ovidiana e il venir meno del disprezzo per il «latrator Anubis». Al capitolo quarto, infine, è riservato il compito di tirare le fila del discorso e di evidenziare i numerosi punti di contatto tra i due passi presi in esame: riscrittura a parti invertite della fuga del pantheon egizio sullo scudo di Enea, il canto della Pieride non solo mette in discussione la versione ufficiale della Musa (che sin da Esiodo rallegra Giove celebrandone le vittorie), ma fa da controcanto anche a Virgilio e al mito di Azio come monumentale scontro tra civiltà. Nel raccontare l'aition del teriomorfismo egizio, Ovidio si interroga ancora una volta sulla tendenziosità di ogni narrazione e sulle logiche di potere a cui un poeta deve sottostare se non vuol essere abbattuto dal fulmine di Giove.File | Dimensione | Formato | |
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