Nei versi di Purgatorio XXVI che danno il titolo a questo mio lavoro (140-147) Dante si misura con la letteratura d'amore occitana, la quale in precedenza aveva più volte rappresentato per il sommo poeta una fonte d'ispirazione, in particolare per le sue rime dedicate a Petra. Il pellegrino infatti, avanzando sull'orlo della settima e ultima cornice purgatoriale, tra i lussuriosi trova l'anima penitente del grande trovatore Arnaut Daniel a espiare con contrizione il suo peccato letterario. E proprio in questo punto dell'opera ¿ peraltro di estrema importanza per la riflessione metaletteraria (come vedremo nel cap. I.) ¿ l'auctor fa parlare Arnaut nel suo volgare materno includendo un lungo inserto alloglotto, unico in tutto il poema, in una lingua romanza. Questi otto versi in lingua d'oc destano e hanno destato interesse anche per il loro stile nient'affatto oscuro, come invece ci si aspetterebbe dal «miglior fabbro» Arnaut (di questo si parlerà nel cap. II). E però la ragione principale che ha «fatto scorrere fiumi di inchiostro» ¿ così come scrive Maurizio Perugi ¿ e che mi ha spinta a ritornare sull'argomento è la travagliata tradizione testuale nonché l'ancor più tormentata restitutio textus (a tale questione è dedicato il cap. III). Ma perché allora un lavoro di ricerca dovrebbe avere come oggetto di studio proprio questa cobla in provenzale se un annoso dibattito, tra l'altro ormai prossimo a raggiungere i duecento anni, si è consumato sull'argomento? Innanzi tutto perché, nonostante i numerosi interventi, ancora non è stato raggiunto un consenso unanime sul testo. Del resto la mescidanza linguistica ¿ tra provenzale, francese, italiano ¿ con cui ci sono giunti questi otto versi complica ulteriormente la situazione ecdotica, tanto da far sorgere ulteriori questioni: quanto approfondita era la conoscenza dantesca della lingua occitana? il poeta sapeva padroneggiare perfettamente quella parlata d'Oltralpe rispettandone le regole? oppure occorre pensare a un autografo non perfetto? E ancora: queste norme sono vere o soltanto presunte? Come si può constatare, vanno affrontati diversi interrogativi prima di poter entrare nel vivo della questione testuale. E la situazione si complica ulteriormente se, oltre alle varianti formali, si considerano anche le varianti sostanziali in concorrenza trasmesse dalla tradizione antica. Perciò, a partire da questa situazione testuale incerta tramandata dai copisti, sono state proposte nel corso dei secoli diverse ricostruzioni del monologo danielino fino a giungere all'affermazione della moderna vulgata dell'Edizione nazionale di Giorgio Petrocchi, la quale, tuttavia, non è comunque riuscita a fissare in maniera concorde il testo di questa cobla provenzale. E va riconosciuto che, sebbene il testo tràdito appaia già di per sé di difficile ricostruzione, i molteplici contributi critici in tal senso complicano ulteriormente il quadro.
La selva oscura di Purgatorio XXVI, 140-147: problemi ecdotici e interpretativi.
OLIVERO, ALESSANDRA
2015/2016
Abstract
Nei versi di Purgatorio XXVI che danno il titolo a questo mio lavoro (140-147) Dante si misura con la letteratura d'amore occitana, la quale in precedenza aveva più volte rappresentato per il sommo poeta una fonte d'ispirazione, in particolare per le sue rime dedicate a Petra. Il pellegrino infatti, avanzando sull'orlo della settima e ultima cornice purgatoriale, tra i lussuriosi trova l'anima penitente del grande trovatore Arnaut Daniel a espiare con contrizione il suo peccato letterario. E proprio in questo punto dell'opera ¿ peraltro di estrema importanza per la riflessione metaletteraria (come vedremo nel cap. I.) ¿ l'auctor fa parlare Arnaut nel suo volgare materno includendo un lungo inserto alloglotto, unico in tutto il poema, in una lingua romanza. Questi otto versi in lingua d'oc destano e hanno destato interesse anche per il loro stile nient'affatto oscuro, come invece ci si aspetterebbe dal «miglior fabbro» Arnaut (di questo si parlerà nel cap. II). E però la ragione principale che ha «fatto scorrere fiumi di inchiostro» ¿ così come scrive Maurizio Perugi ¿ e che mi ha spinta a ritornare sull'argomento è la travagliata tradizione testuale nonché l'ancor più tormentata restitutio textus (a tale questione è dedicato il cap. III). Ma perché allora un lavoro di ricerca dovrebbe avere come oggetto di studio proprio questa cobla in provenzale se un annoso dibattito, tra l'altro ormai prossimo a raggiungere i duecento anni, si è consumato sull'argomento? Innanzi tutto perché, nonostante i numerosi interventi, ancora non è stato raggiunto un consenso unanime sul testo. Del resto la mescidanza linguistica ¿ tra provenzale, francese, italiano ¿ con cui ci sono giunti questi otto versi complica ulteriormente la situazione ecdotica, tanto da far sorgere ulteriori questioni: quanto approfondita era la conoscenza dantesca della lingua occitana? il poeta sapeva padroneggiare perfettamente quella parlata d'Oltralpe rispettandone le regole? oppure occorre pensare a un autografo non perfetto? E ancora: queste norme sono vere o soltanto presunte? Come si può constatare, vanno affrontati diversi interrogativi prima di poter entrare nel vivo della questione testuale. E la situazione si complica ulteriormente se, oltre alle varianti formali, si considerano anche le varianti sostanziali in concorrenza trasmesse dalla tradizione antica. Perciò, a partire da questa situazione testuale incerta tramandata dai copisti, sono state proposte nel corso dei secoli diverse ricostruzioni del monologo danielino fino a giungere all'affermazione della moderna vulgata dell'Edizione nazionale di Giorgio Petrocchi, la quale, tuttavia, non è comunque riuscita a fissare in maniera concorde il testo di questa cobla provenzale. E va riconosciuto che, sebbene il testo tràdito appaia già di per sé di difficile ricostruzione, i molteplici contributi critici in tal senso complicano ulteriormente il quadro.File | Dimensione | Formato | |
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