La relazione mamma-bambino nel contesto carcerario italiano: aspetti legislativi, prospettive psicologiche e opportunità di intervento educativo

The following essay arises from the attempt to explore the theme of the attachment relationship between the imprisoned mother and her offspring in such a particular structure as the prison one. In order to outline a path that leads to a better understanding of the subject dealt with, first of all the point was made on the international, European and Italian regulatory situation, which seems to have as its inspiring criterion that of decarcerization, through the extension of the applicability of the measures alternatives. However, actually the legislation doesn’t pay sufficient attention to the situation and has produced very few concrete provisions. Secondly, the main studies conducted on the maternal-infantile attachment relationship were taken into consideration, referring above all to the contributions of psychoanalysis and dynamic psychology, such as those of John Bowlby, Mary Ainsworth and Mary Main. An in-depth study of attachment theory allows us to clarify the way in which the emotional relationship between the mother and the child affects the emotional, cognitive and physical development of the latter and helps to rethink the meaning that the inevitable early separation, due to prison rules, acquires for the maternal-infant dyad. Thirdly, reference was made to some studies conducted on the national territory, which highlight the particular relationship of attachment that can be created between the detained mother and her offspring within the prison context, which due to the structural characteristics that are proper to him is not adequate to respond to the relational needs of the dyad. The bars on the windows, the confined spaces, the armored gates and the strict rules that mark the times of the day can have serious consequences on the mental health of the mother and cause deficits on the general development of the child. Finally, fourthly, the educational community is urged to rethink its own intervention with the aim of protecting the maintenance of an emotional relationship between mother and child, guaranteeing them moments of sharing in adequate spaces. Furthermore, since this is an area still little explored by the educational community, it could be hoped for greater training and motivation of social workers who work every day in penitentiary structures, in order to provide them with the most suitable tools and to intervene in such a delicate situation.

Il seguente elaborato nasce dal tentativo di esplorare il tema della relazione di attaccamento tra la madre detenuta e la sua prole in una struttura così particolare come quella detentiva. Per delineare un percorso che porti ad una migliore comprensione del tema trattato, in primo luogo si è fatto il punto sulla situazione normativa internazionale, europea e italiana, che sembra avere come criterio ispiratore quello della decarcerizzazione, attraverso l’estensione dell’applicabilità delle misure alternative. Ciononostante, nella realtà dei fatti, la normativa non ha prestato sufficiente attenzione alla situazione e ha prodotto pochissime disposizioni concrete. In secondo luogo si sono presi in considerazione i principali studi condotti sulla relazione di attaccamento materno-infantile, facendo soprattutto riferimento ai contributi della psicoanalisi e della psicologia dinamica, come quelli di John Bowlby, Mary Ainsworth e Mary Main. Un approfondimento sulla teoria dell’attaccamento permette di chiarire il modo in cui la relazione affettiva tra la madre e il bambino influenza lo sviluppo emotivo, cognitivo e fisico di quest’ultimo e aiuta a ripensare al significato che l’inevitabile precoce separazione, dovuta alle regole carcerarie, acquisisce per la diade materno-infantile. In terzo luogo, si è fatto riferimento ad alcuni studi condotti sul territorio nazionale, che mettono in luce la particolare relazione di attaccamento che si può creare tra la madre detenuta e la sua prole all’interno del contesto carcerario, che per le caratteristiche strutturali che gli sono proprie non è adeguato a rispondere alle esigenze relazionali della diade. Le sbarre alle finestre, gli spazi ristretti, i cancelli blindati e le regole ferree che scandiscono gli orari della giornata possono avere pesanti conseguenze sulla salute mentale della madre e provocare deficit sullo sviluppo generale del bambino. Infine, in quarto luogo, si sollecita la comunità educativa a ripensare al proprio intervento con il fine di tutelare il mantenimento di una relazione affettiva tra madre e figlio, garantendo loro momenti di condivisione in spazi adeguati. Trattandosi, inoltre, di un ambito ancora poco esplorato dalla comunità educativa, si potrebbe auspicare a una maggiore formazione e motivazione degli operatori, tra cui gli educatori professionali, che lavorano ogni giorno nelle strutture penitenziarie, in modo tale da fornire loro gli strumenti più adatti per coordinarsi professionalmente in rete e per intervenire in una situazione così delicata, nel pieno rispetto dell’utenza destinataria.