Il lavoro si presenta come una riflessione intorno alla categoria di origine dottrinale dei c.d. risarcimenti aggravati dalla condotta i quali, confrontandosi con l'impostazione classica, tradizionale, riparatoria attribuita alla disciplina del fatto illecito, intendono porre in evidenza come essa non rispecchi, se non in minima parte, il ritratto della responsabilità civile in azione.Ad essere fermamente criticata è non solo l'idea, considerata appartenente all'età arcaica del pensiero giuridico moderno, che ritiene ancora attuale e netta la summa divisio esistente tra diritto civile e penale, così conducendo gli interpreti a rifuggire da qualsiasi richiamo alla commistione tra elementi riconducibili alle due branche ordinamentali in seno allo strumento risarcitorio, ma anche la costante e, verosimilmente, artata disattenzione, mostrata, soprattutto a livello giurisprudenziale, nei confronti del sempre più esteso arcipelago di indici normativi che paiono volti, più che alla mera compensazione del danno, al perseguimento di fini punitivo-deterrenti. Da questo punto di vista, si rileva come eterogenee e molteplici siano le fattispecie che, accordando rilievo alla condotta del responsabile, prevedono un risarcimento commisurato non tanto (o almeno non solo) al pregiudizio effettivamente patito dalla vittima dell'illecito, dal quale spesso anzi prescindono, quanto piuttosto all'elemento soggettivo (dolo, colpa grave) dell'agente ed al profitto conseguito attraverso la deliberata lesione dell'altrui sfera giuridica. Tuttavia, come tali, essi non rivelano la consapevolezza della necessità di integrare lo strumento rimediale con l'aggravio del fardello risarcitorio, in omaggio al perseguimento di una presunta finalità punitiva, ma configurano piuttosto tassative eccezioni legislative, che consentono di adattare il diritto della responsabilità civile, sempre governato dalla logica compensativa, alle specifiche esigenze del settore in cui esso si trova ad operare. Ed invero, la possibilità di accordare rilievo alla gravità della colpa del danneggiante ai fini della determinazione del quantum risarcitorio, non risulta ineludibilmente connessa ad una impostazione in chiave afflittivo-deterrente del sistema di responsabilità; essendo essa già larvatamente sottesa al dato testuale dell'art. 2056 c.c., nel suo riferimento alle ¿circostanze del caso¿, il quale consente di ricomprendere tra gli indici che dovranno orientare la valutazione equitativa del magistrato civile, proprio la peculiare caratterizzazione psicologica che ha assistito l'atto illecito. Si tratterà allora di chiarire se, e fino a che punto, la teoria dei danni aggravati dalla condotta possa essere considerata coerente con le funzioni tradizionalmente attribuite al nostro sistema di responsabilità civile, anche alla luce dei recenti interventi della Corte di legittimità, del 2007 e del 2012, che, nell'opporre un netto rifiuto alle richieste di delibazione di sentenze statunitensi di condanna a punitive damages, hanno costantemente ribadito l'estraneità al nostro strumento risarcitorio di una funzione, quantomeno anche, punitiva e deterrente.

I DANNI AGGRAVATI DALLA CONDOTTA

LASTELLA, VALERIA
2014/2015

Abstract

Il lavoro si presenta come una riflessione intorno alla categoria di origine dottrinale dei c.d. risarcimenti aggravati dalla condotta i quali, confrontandosi con l'impostazione classica, tradizionale, riparatoria attribuita alla disciplina del fatto illecito, intendono porre in evidenza come essa non rispecchi, se non in minima parte, il ritratto della responsabilità civile in azione.Ad essere fermamente criticata è non solo l'idea, considerata appartenente all'età arcaica del pensiero giuridico moderno, che ritiene ancora attuale e netta la summa divisio esistente tra diritto civile e penale, così conducendo gli interpreti a rifuggire da qualsiasi richiamo alla commistione tra elementi riconducibili alle due branche ordinamentali in seno allo strumento risarcitorio, ma anche la costante e, verosimilmente, artata disattenzione, mostrata, soprattutto a livello giurisprudenziale, nei confronti del sempre più esteso arcipelago di indici normativi che paiono volti, più che alla mera compensazione del danno, al perseguimento di fini punitivo-deterrenti. Da questo punto di vista, si rileva come eterogenee e molteplici siano le fattispecie che, accordando rilievo alla condotta del responsabile, prevedono un risarcimento commisurato non tanto (o almeno non solo) al pregiudizio effettivamente patito dalla vittima dell'illecito, dal quale spesso anzi prescindono, quanto piuttosto all'elemento soggettivo (dolo, colpa grave) dell'agente ed al profitto conseguito attraverso la deliberata lesione dell'altrui sfera giuridica. Tuttavia, come tali, essi non rivelano la consapevolezza della necessità di integrare lo strumento rimediale con l'aggravio del fardello risarcitorio, in omaggio al perseguimento di una presunta finalità punitiva, ma configurano piuttosto tassative eccezioni legislative, che consentono di adattare il diritto della responsabilità civile, sempre governato dalla logica compensativa, alle specifiche esigenze del settore in cui esso si trova ad operare. Ed invero, la possibilità di accordare rilievo alla gravità della colpa del danneggiante ai fini della determinazione del quantum risarcitorio, non risulta ineludibilmente connessa ad una impostazione in chiave afflittivo-deterrente del sistema di responsabilità; essendo essa già larvatamente sottesa al dato testuale dell'art. 2056 c.c., nel suo riferimento alle ¿circostanze del caso¿, il quale consente di ricomprendere tra gli indici che dovranno orientare la valutazione equitativa del magistrato civile, proprio la peculiare caratterizzazione psicologica che ha assistito l'atto illecito. Si tratterà allora di chiarire se, e fino a che punto, la teoria dei danni aggravati dalla condotta possa essere considerata coerente con le funzioni tradizionalmente attribuite al nostro sistema di responsabilità civile, anche alla luce dei recenti interventi della Corte di legittimità, del 2007 e del 2012, che, nell'opporre un netto rifiuto alle richieste di delibazione di sentenze statunitensi di condanna a punitive damages, hanno costantemente ribadito l'estraneità al nostro strumento risarcitorio di una funzione, quantomeno anche, punitiva e deterrente.
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