Basta guardare un telegiornale o aprire un quotidiano a caso per avere ben chiaro il peso della cronaca nera nel nostro sistema dell'informazione: le prime pagine o i servizi di apertura sono sempre più spesso occupati da casi di omicidio o stragi di qualsiasi genere. La ricerca del morboso è arrivata a trasformare casi di cronaca giudiziaria in fiction televisive dove non mancano ricostruzioni con grafici, modellini e quant'altro. Dov'è quindi il limite che deve esserci tra una ricerca smodata di telespettatori/lettori tramite lo sfruttamento dei peggiori casi di cronaca e i doveri deontologici di un giornalista? E in particolare fino a che livelli ci si spinge in uno dei crimini che maggiormente la nostra società ripudia e stigmatizza: il figlicidio? L'analisi svolta vuole proprio occuparsi di uno dei casi di cronaca nera più ricordati e citati su cui si è parlato per ben 6 anni e forse ancora oggi si parla: il, così ribattezzato, ¿delitto della villetta di Cogne¿. L'omicidio avvenuto il 30 gennaio 2002 che vede protagonista una mamma e il suo bambino ha fatto scalpore sin dall'inizio per l'efferatezza e, forse, per l'incapacità di accettare che una mamma possa uccidere il proprio figlio. La devianza femminile è infatti secondo le fonti statistiche nettamente inferiore a quella maschile ma quando questa colpisce crea uno shock tale che ogni mezzo di comunicazione, ogni risorsa informativa si concentra solo ed esclusivamente su quella: l'omicidio del piccolo Samuele Lorenzi ne è la prova vista l'attenzione mediatica altissima. L'arena mediale italiana nel suo complesso viene investita da questo fatto di cronaca e tutti parleranno e scriveranno di Anna Maria Franzoni per un tempo lunghissimo. Questa analisi vuole quindi quantificare quanto ma soprattutto come si è parlato di questo omicidio che ha segnato quasi un decennio della cronaca italiana.
Il volto rosa della cronaca nera. La rappresentazione mediatica del colpevole nel delitto di Cogne
ESPOSITO, ELISABETTA
2011/2012
Abstract
Basta guardare un telegiornale o aprire un quotidiano a caso per avere ben chiaro il peso della cronaca nera nel nostro sistema dell'informazione: le prime pagine o i servizi di apertura sono sempre più spesso occupati da casi di omicidio o stragi di qualsiasi genere. La ricerca del morboso è arrivata a trasformare casi di cronaca giudiziaria in fiction televisive dove non mancano ricostruzioni con grafici, modellini e quant'altro. Dov'è quindi il limite che deve esserci tra una ricerca smodata di telespettatori/lettori tramite lo sfruttamento dei peggiori casi di cronaca e i doveri deontologici di un giornalista? E in particolare fino a che livelli ci si spinge in uno dei crimini che maggiormente la nostra società ripudia e stigmatizza: il figlicidio? L'analisi svolta vuole proprio occuparsi di uno dei casi di cronaca nera più ricordati e citati su cui si è parlato per ben 6 anni e forse ancora oggi si parla: il, così ribattezzato, ¿delitto della villetta di Cogne¿. L'omicidio avvenuto il 30 gennaio 2002 che vede protagonista una mamma e il suo bambino ha fatto scalpore sin dall'inizio per l'efferatezza e, forse, per l'incapacità di accettare che una mamma possa uccidere il proprio figlio. La devianza femminile è infatti secondo le fonti statistiche nettamente inferiore a quella maschile ma quando questa colpisce crea uno shock tale che ogni mezzo di comunicazione, ogni risorsa informativa si concentra solo ed esclusivamente su quella: l'omicidio del piccolo Samuele Lorenzi ne è la prova vista l'attenzione mediatica altissima. L'arena mediale italiana nel suo complesso viene investita da questo fatto di cronaca e tutti parleranno e scriveranno di Anna Maria Franzoni per un tempo lunghissimo. Questa analisi vuole quindi quantificare quanto ma soprattutto come si è parlato di questo omicidio che ha segnato quasi un decennio della cronaca italiana.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/23392