Il commissario ad acta che il giudice amministrativo può nominare in sede di ottemperanza alle proprie decisioni è, da svariati decenni, ragione di riflessione e discussione volta a chiarire quale debba essere la sua corretta qualificazione giuridica. Per le sue stesse caratteristiche, infatti, la figura appare segnata da un incancellabile tratto di ambiguità, che la rende sfuggente ad ogni tentativo di sistemazione definitiva. E' un soggetto inserito nell'apparato organizzativo di una pubblica amministrazione, che per ordine di un giudice amministrativo si deve introdurre, eccezionalmente ad una tantum, nell'organizzazione di una diversa amministrazione o comunque deve esercitare una competenza che ordinariamente non gli spetta, al fine di dare attuazione, in sostituzione dell'organo amministrativo inadempiente, ad una pronuncia del giudice. Il meccanismo traspone in sede processuale l'istituto sostanziale della sostituzione amministrativa e in particolare dei controlli sostitutivi; ma una trasposizione operata par libera iniziativa dei giudici, nella totale assenza di un fondamento di diritto positivo, ha condotto alla creazione di uno strumento tanto efficace e duttile quanto indeterminato ed incerto nella disciplina. D'altra parte non ci si può dimenticare che la figura del commissario ad acta è stata coniata all'interno di quell'opera di "bruta normazione giurisprudenziale" che fu, secondo un'autorevole opinione, l'invenzione del giudizio di ottemperanza al giudicato amministrativo. Ancor più che alle origini pretorie, la problematicità della figura è imputabile al suo porsi nel delicato punto di intersezione tra giurisdizione e amministrazione. Il commissario appartiene a un'amministrazione e agisce in sostituzione di un'amministrazione; ma è scelto, nominato ed investito della sua funzione da un giudice, all'interno di un processo, al fine di dare attuazione ad una pronuncia giurisdizionale; ed è il giudice che, entro certi limiti, ne indirizza e ne governa l'azione. In altri termini, ecco che la figura del commissario ad acta compare sulla scena del giudizio di ottemperanza come alternativa, escogitata e messa in atto dal giudice senza il conforto di alcuna previsione normativa, alla sostituzione giudiziale diretta. Non sorprende, pertanto, che giurisprudenza e dottrina si siano sin dall'inizio interrogate, e nonostante il passare dei decenni e l'avvicendarsi delle riforme continuino a farlo, sulla natura giurisdizionale ovvero amministrativa del commissario e della sua attività, elaborando teorie che potessero gettare luce, a partire dalla qualificazione dell'organo, sugli aspetti della disciplina rimasti in ombra nel lavoro di creazione giurisprudenziale. Il dibattito relativo alla qualificazione si è subito focalizzato sull'alternativa tra ausiliario del giudice e organo amministrativo straordinario; da tale opzione fondamentale si sono fatte discendere, a mò di corollari, le soluzioni ai molteplici problemi che la figura poneva all'interprete. Le questioni da sciogliere attenevano principalmente ai rapporti del commissario da un lato con il giudice che lo nomina e dall'altro con l'amministrazione che ne subisce l'intervento sostitutivo, nonché al regime sostanziale e processuale degli atti che adotta, dei quali andavano chiarite sede e modalità di impugnazione.

Il commissario ad acta nel giudizio di ottemperanza

PETROLIO, ANGELA
2014/2015

Abstract

Il commissario ad acta che il giudice amministrativo può nominare in sede di ottemperanza alle proprie decisioni è, da svariati decenni, ragione di riflessione e discussione volta a chiarire quale debba essere la sua corretta qualificazione giuridica. Per le sue stesse caratteristiche, infatti, la figura appare segnata da un incancellabile tratto di ambiguità, che la rende sfuggente ad ogni tentativo di sistemazione definitiva. E' un soggetto inserito nell'apparato organizzativo di una pubblica amministrazione, che per ordine di un giudice amministrativo si deve introdurre, eccezionalmente ad una tantum, nell'organizzazione di una diversa amministrazione o comunque deve esercitare una competenza che ordinariamente non gli spetta, al fine di dare attuazione, in sostituzione dell'organo amministrativo inadempiente, ad una pronuncia del giudice. Il meccanismo traspone in sede processuale l'istituto sostanziale della sostituzione amministrativa e in particolare dei controlli sostitutivi; ma una trasposizione operata par libera iniziativa dei giudici, nella totale assenza di un fondamento di diritto positivo, ha condotto alla creazione di uno strumento tanto efficace e duttile quanto indeterminato ed incerto nella disciplina. D'altra parte non ci si può dimenticare che la figura del commissario ad acta è stata coniata all'interno di quell'opera di "bruta normazione giurisprudenziale" che fu, secondo un'autorevole opinione, l'invenzione del giudizio di ottemperanza al giudicato amministrativo. Ancor più che alle origini pretorie, la problematicità della figura è imputabile al suo porsi nel delicato punto di intersezione tra giurisdizione e amministrazione. Il commissario appartiene a un'amministrazione e agisce in sostituzione di un'amministrazione; ma è scelto, nominato ed investito della sua funzione da un giudice, all'interno di un processo, al fine di dare attuazione ad una pronuncia giurisdizionale; ed è il giudice che, entro certi limiti, ne indirizza e ne governa l'azione. In altri termini, ecco che la figura del commissario ad acta compare sulla scena del giudizio di ottemperanza come alternativa, escogitata e messa in atto dal giudice senza il conforto di alcuna previsione normativa, alla sostituzione giudiziale diretta. Non sorprende, pertanto, che giurisprudenza e dottrina si siano sin dall'inizio interrogate, e nonostante il passare dei decenni e l'avvicendarsi delle riforme continuino a farlo, sulla natura giurisdizionale ovvero amministrativa del commissario e della sua attività, elaborando teorie che potessero gettare luce, a partire dalla qualificazione dell'organo, sugli aspetti della disciplina rimasti in ombra nel lavoro di creazione giurisprudenziale. Il dibattito relativo alla qualificazione si è subito focalizzato sull'alternativa tra ausiliario del giudice e organo amministrativo straordinario; da tale opzione fondamentale si sono fatte discendere, a mò di corollari, le soluzioni ai molteplici problemi che la figura poneva all'interprete. Le questioni da sciogliere attenevano principalmente ai rapporti del commissario da un lato con il giudice che lo nomina e dall'altro con l'amministrazione che ne subisce l'intervento sostitutivo, nonché al regime sostanziale e processuale degli atti che adotta, dei quali andavano chiarite sede e modalità di impugnazione.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/22897