The idea for this dissertation came to me upon returning from a volunteer experience in what used to be the makeshift camp in Idomeni, a small town on the Greek-Macedonian border, in March 2016. It was a very impacting experience, one that drove me to want find out more about refugees and migrants, particularly those who embark on a journey towards Europe. Realizing that from a legal standpoint refugees and migrants aren't entitled to the same rights and that politicians and the media often reinforce this dichotomy, I decided to dig deeper into the issue through the linguistic analysis of the terms being employed for their portrayal. Labeling them migrant and refugee may affect how we perceive them. More importantly, though, it determines the outcome of their asylum claims. Migrants are often categorized as ¿economic migrants¿ and depicted as motivated only by self-interest, whereas refugees, being protected by international law, technically deserve our empathy and to be granted the asylum they are seeking. We've also grown accustomed to rendering refugees and migrants as swarms, armies and floods of indistinguishable, unidentified and uncontrollable insects, soldiers and water from which we need to protect ourselves. The use of this metaphorical language gives birth to the homogenized and aggregate representations that are decisive in erasing the individuality and political subjectivity of people on the move and plays a crucial role in framing and generating public debate. The world is currently witnessing the biggest wave of mass migration since the Second World War. All prospective migrants face a mix of opportunities and constraints, and make decisions that reflect multifaceted considerations and terrifying choices. We should pay attention to the words we choose, especially when we speak of others, whose situations may either be unknown to us or partially obscured and tangled. We need to carefully select our vocabulary because in the midst of a migrant and refugee crisis one wrong term is all it takes to get one person discriminated and thrown out of a country. Word choice matters. It is a question of how it reinforces an image of people and impacts their lives.

Sono pervenuta all'idea per questa dissertazione una volta tornata da un'esperienza di volontariato in quello che era il campo profughi di Idomeni, una cittadina al confine fra Grecia e Macedonia, a marzo 2016. È stata per me un'esperienza di notevole impatto, che mi ha spinta a voler scoprire di più sul conto di rifugiati e migranti, in particolare quelli che fanno rotta verso l'Europa. Avendo constatato che dal punto di vista giuridico rifugiati e migranti non sono titolari degli stessi diritti e che politici e media spesso rinsaldano questa dicotomia, ho deciso di approfondire l'argomento attraverso un'analisi linguistica dei termini utilizzati per descriverli. Etichettarli migranti o rifugiati può influenzare la nostra percezione di loro e, cosa ancora più importante, determina l'esito delle loro richieste di asilo. I migranti sono spesso categorizzati come ¿migranti economici¿ e ritratti come se fossero solo motivati da interessi personali, mentre i rifugiati, essendo protetti dal diritto internazionale, tecnicamente meritano la nostra empatia e l'asilo politico. Siamo anche abituati ad assimilare rifugiati e migranti a sciami, armate e inondazioni di indistinguibili, anonimi e incontrollabili insetti, soldati e acqua dai quali dobbiamo proteggerci. L'uso di questo linguaggio metaforico dà vita a rappresentazioni omogeneizzate e aggregate che sono decisive nell'annullamento dell'individualità e soggettività politica delle persone in movimento e che gioca un ruolo cruciale nell'inquadrare ed condizionare il dibattito pubblico. Attualmente, il mondo è teatro della più grande ondata migratoria dalla Seconda Guerra Mondiale. Tutti i potenziali migranti affrontano un mix di opportunità e limiti e prendono decisioni che riflettono considerazioni sfaccettate e scelte spaventose. Dovremmo prestare attenzione alle parole che impieghiamo, specialmente quando parliamo di altri, la cui situazione potrebbe esserci sconosciuta o parzialmente ignota e intricata. Dobbiamo selezionare con cura i vocaboli, in quanto nel mezzo di una crisi di profughi e migranti basta un solo termine sbagliato per discriminare e far deportare una persona. Pertanto la scelta delle parole è importante: convalida l'immagine di una persona e condiziona la sua vita.

L'importanza della scelta delle parole: la crisi dei profughi nei discorsi mediatici

PIVA, ZAZIE ALBERTA
2015/2016

Abstract

Sono pervenuta all'idea per questa dissertazione una volta tornata da un'esperienza di volontariato in quello che era il campo profughi di Idomeni, una cittadina al confine fra Grecia e Macedonia, a marzo 2016. È stata per me un'esperienza di notevole impatto, che mi ha spinta a voler scoprire di più sul conto di rifugiati e migranti, in particolare quelli che fanno rotta verso l'Europa. Avendo constatato che dal punto di vista giuridico rifugiati e migranti non sono titolari degli stessi diritti e che politici e media spesso rinsaldano questa dicotomia, ho deciso di approfondire l'argomento attraverso un'analisi linguistica dei termini utilizzati per descriverli. Etichettarli migranti o rifugiati può influenzare la nostra percezione di loro e, cosa ancora più importante, determina l'esito delle loro richieste di asilo. I migranti sono spesso categorizzati come ¿migranti economici¿ e ritratti come se fossero solo motivati da interessi personali, mentre i rifugiati, essendo protetti dal diritto internazionale, tecnicamente meritano la nostra empatia e l'asilo politico. Siamo anche abituati ad assimilare rifugiati e migranti a sciami, armate e inondazioni di indistinguibili, anonimi e incontrollabili insetti, soldati e acqua dai quali dobbiamo proteggerci. L'uso di questo linguaggio metaforico dà vita a rappresentazioni omogeneizzate e aggregate che sono decisive nell'annullamento dell'individualità e soggettività politica delle persone in movimento e che gioca un ruolo cruciale nell'inquadrare ed condizionare il dibattito pubblico. Attualmente, il mondo è teatro della più grande ondata migratoria dalla Seconda Guerra Mondiale. Tutti i potenziali migranti affrontano un mix di opportunità e limiti e prendono decisioni che riflettono considerazioni sfaccettate e scelte spaventose. Dovremmo prestare attenzione alle parole che impieghiamo, specialmente quando parliamo di altri, la cui situazione potrebbe esserci sconosciuta o parzialmente ignota e intricata. Dobbiamo selezionare con cura i vocaboli, in quanto nel mezzo di una crisi di profughi e migranti basta un solo termine sbagliato per discriminare e far deportare una persona. Pertanto la scelta delle parole è importante: convalida l'immagine di una persona e condiziona la sua vita.
ENG
The idea for this dissertation came to me upon returning from a volunteer experience in what used to be the makeshift camp in Idomeni, a small town on the Greek-Macedonian border, in March 2016. It was a very impacting experience, one that drove me to want find out more about refugees and migrants, particularly those who embark on a journey towards Europe. Realizing that from a legal standpoint refugees and migrants aren't entitled to the same rights and that politicians and the media often reinforce this dichotomy, I decided to dig deeper into the issue through the linguistic analysis of the terms being employed for their portrayal. Labeling them migrant and refugee may affect how we perceive them. More importantly, though, it determines the outcome of their asylum claims. Migrants are often categorized as ¿economic migrants¿ and depicted as motivated only by self-interest, whereas refugees, being protected by international law, technically deserve our empathy and to be granted the asylum they are seeking. We've also grown accustomed to rendering refugees and migrants as swarms, armies and floods of indistinguishable, unidentified and uncontrollable insects, soldiers and water from which we need to protect ourselves. The use of this metaphorical language gives birth to the homogenized and aggregate representations that are decisive in erasing the individuality and political subjectivity of people on the move and plays a crucial role in framing and generating public debate. The world is currently witnessing the biggest wave of mass migration since the Second World War. All prospective migrants face a mix of opportunities and constraints, and make decisions that reflect multifaceted considerations and terrifying choices. We should pay attention to the words we choose, especially when we speak of others, whose situations may either be unknown to us or partially obscured and tangled. We need to carefully select our vocabulary because in the midst of a migrant and refugee crisis one wrong term is all it takes to get one person discriminated and thrown out of a country. Word choice matters. It is a question of how it reinforces an image of people and impacts their lives.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/22476