Il mio lavoro si è articolato attorno al concetto di philìa nell'ambito dell'etica stoica. Il suo significato è da ricondursi non tanto a quello di amore, quanto a quello di amicizia, nel senso più stretto ed aulico del termine, cioè come relazione tra uomini dotati di ragione e perfetta solo tra sapienti. La ricostruzione che ho tentato ha dovuto procedere sulla base dei ¿frammenti¿ ossia sulla scorta di citazioni delle dottrine degli Stoici fatte da altri autori a causa della quasi totale scomparsa delle loro opere. Ho quindi tentato di interpretare e mettere in relazione tra di loro le testimonianze che ci sono pervenute. Il tema della philìa si è rivelato tuttavia meritevole d'indagine perché tocca aspetti portanti dell'etica stoica: il bene e la virtù, il dovere, il ruolo del sapiente e la sua collocazione nella cosmopoli. Ho articolato il lavoro in tre parti. La prima definisce e distingue tre tipologie di amicizia assegnando il primato a quella che si basa sulla ragione, duratura e conforme a virtù. La seconda prende in esame l'amicizia verso se stessi, ossia la teoria propriamente stoica dell'oikèiosis. La prima fase dell'oikèiosis, istintuale, determinerà l'amore/amicizia del soggetto verso di sé, ma lo sviluppo naturale della ragione porterà alla philìa verso gli altri. Quando l'oikèiosis si perfeziona e la ragione diviene retta, anche l'amicizia si realizza pienamente come espressione tipica dell'essere umano razionale. Ho poi riflettuto sul fatto che anche se la virtù è considerata l'unico vero bene che costituisce il tèlos della vita felice, è anche vero che gli Stoici ammettono l'esistenza di ¿azioni medie¿ e ¿doveri medi¿, così definiti in quanto intermedi tra la virtù, bene assoluto e il vizio, male assoluto suo opposto contraddittorio. L'amicizia, pur non trattandosi del bene assoluto perseguibile di per sé è comunque un bene utile e desiderabile per i vantaggi moralmente qualificanti che può produrre. L'amicizia sembra infatti fare parte di quelle azioni che possono guidare l'individuo non perfettamente sapiente verso tale condizione beata. Nella terza parte mi sono occupata della figura del sapiente: egli rappresenta l'essere umano esemplarmente razionale, depositario di ogni virtù e conoscenza. Nonostante le sue doti di perfezione gli Stoici non considerano impossibile la sua esistenza, anche se ne ammettono la rarità. Indipendentemente dal fatto che esista o sia mai esistito storicamente, il sapiente incarna la norma morale, ne sottolinea l'universalità e serve a determinare, per contrasto, la condizione degli stolti, soggiogati alle loro passioni o beni esteriori. Anche l'amicizia praticata tra i saggi assume un valore esemplare, sul quale poter modellare l'amicizia tra uomini che non sono saggi, ma che agiscono secondo ragione e stringono rapporti amichevoli in modo disinteressato. Affrancata dai rapporti tra singoli individui storicamente determinati, l'amicizia si trasferisce al mondo intero, la città comune a uomini e dèi, dove risiedono ed hanno le loro relazioni amichevoli gli esseri umani saggi e virtuosi. La città per eccellenza è il cosmo e la legge che la regge altro non è se non il principio razionale comune a uomini e dèi.

la philìa stoica

VAUDAGNA, GIUSEPPINA
2011/2012

Abstract

Il mio lavoro si è articolato attorno al concetto di philìa nell'ambito dell'etica stoica. Il suo significato è da ricondursi non tanto a quello di amore, quanto a quello di amicizia, nel senso più stretto ed aulico del termine, cioè come relazione tra uomini dotati di ragione e perfetta solo tra sapienti. La ricostruzione che ho tentato ha dovuto procedere sulla base dei ¿frammenti¿ ossia sulla scorta di citazioni delle dottrine degli Stoici fatte da altri autori a causa della quasi totale scomparsa delle loro opere. Ho quindi tentato di interpretare e mettere in relazione tra di loro le testimonianze che ci sono pervenute. Il tema della philìa si è rivelato tuttavia meritevole d'indagine perché tocca aspetti portanti dell'etica stoica: il bene e la virtù, il dovere, il ruolo del sapiente e la sua collocazione nella cosmopoli. Ho articolato il lavoro in tre parti. La prima definisce e distingue tre tipologie di amicizia assegnando il primato a quella che si basa sulla ragione, duratura e conforme a virtù. La seconda prende in esame l'amicizia verso se stessi, ossia la teoria propriamente stoica dell'oikèiosis. La prima fase dell'oikèiosis, istintuale, determinerà l'amore/amicizia del soggetto verso di sé, ma lo sviluppo naturale della ragione porterà alla philìa verso gli altri. Quando l'oikèiosis si perfeziona e la ragione diviene retta, anche l'amicizia si realizza pienamente come espressione tipica dell'essere umano razionale. Ho poi riflettuto sul fatto che anche se la virtù è considerata l'unico vero bene che costituisce il tèlos della vita felice, è anche vero che gli Stoici ammettono l'esistenza di ¿azioni medie¿ e ¿doveri medi¿, così definiti in quanto intermedi tra la virtù, bene assoluto e il vizio, male assoluto suo opposto contraddittorio. L'amicizia, pur non trattandosi del bene assoluto perseguibile di per sé è comunque un bene utile e desiderabile per i vantaggi moralmente qualificanti che può produrre. L'amicizia sembra infatti fare parte di quelle azioni che possono guidare l'individuo non perfettamente sapiente verso tale condizione beata. Nella terza parte mi sono occupata della figura del sapiente: egli rappresenta l'essere umano esemplarmente razionale, depositario di ogni virtù e conoscenza. Nonostante le sue doti di perfezione gli Stoici non considerano impossibile la sua esistenza, anche se ne ammettono la rarità. Indipendentemente dal fatto che esista o sia mai esistito storicamente, il sapiente incarna la norma morale, ne sottolinea l'universalità e serve a determinare, per contrasto, la condizione degli stolti, soggiogati alle loro passioni o beni esteriori. Anche l'amicizia praticata tra i saggi assume un valore esemplare, sul quale poter modellare l'amicizia tra uomini che non sono saggi, ma che agiscono secondo ragione e stringono rapporti amichevoli in modo disinteressato. Affrancata dai rapporti tra singoli individui storicamente determinati, l'amicizia si trasferisce al mondo intero, la città comune a uomini e dèi, dove risiedono ed hanno le loro relazioni amichevoli gli esseri umani saggi e virtuosi. La città per eccellenza è il cosmo e la legge che la regge altro non è se non il principio razionale comune a uomini e dèi.
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