È giusto che l'arte debba sottostare a qualsivoglia limite? È giusto imporre al genio artistico delle regole entro cui contenere la propria libertà d'espressione? Ma soprattutto, è pensabile una definizione univoca di arte, attorno alla quale costruire un impianto normativo? Il nocciolo è proprio questo. La nostra Costituzione è rimasta vaga a tal proposito e non si può affermare che la giurisprudenza abbia mostrato nel corso degli anni un orientamento univoco e costante. Il sesto comma dell'art. 21 della Carta esplicita come limite alla libera manifestazione del pensiero il ¿buon costume¿, mentre all'art. 33 si legge che ¿l'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento¿. Primo problema: il limite del buon costume si applica all'arte? Una parte della dottrina risponde affermativamente essendo la creazione artistica una diretta conseguenza della manifestazione del pensiero del creatore; altri rispondono negativamente perché l'omissione del limite del buon costume nel testo dell'art. 33 porta l'arte ad essere considerata una materia privilegiata non soggetta a vincoli. Secondo problema: l'art. 529 c.p. afferma che si considerano ¿osceni¿ gli atti e gli oggetti che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore, ma precisa che l'opera d'arte non si può considerare oscena. Come si possono considerare i rapporti che legano arte-osceno-buon costume? Terzo problema: come si può definire il ¿comune sentimento¿ e il ¿pudore¿? Dal momento che sono questi i concetti che determinano l'ampiezza del buon costume, si è passati nel tempo da una nozione più allargata di stampo civilistico, che abbracciava il campo della moralità e dei boni mores, ad una nozione più ristretta di stampo penalistico, che fosse riferita esclusivamente al pudore sessuale: questo attraverso varie sentenze della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale. Per la tutela del buon costume, la Costituzione dispone altresì il compito per lo Stato di prevenire e reprimere eventuali offese. L'opera di prevenzione non fu intesa diversamente da un intervento di tipo censorio: il cinema, sin dalla sua nascita, si è dovuto difendere da leggi restrittive che hanno segnato una straordinaria continuità dall'epoca liberale a quella fascista fino all'esperienza repubblicana. Un sistema cumulativo di leggi e licenze rilasciate dall'autorità di pubblica sicurezza hanno stretto la maggior parte dei film in una terribile morsa. Qual è la normativa attuale? Ebbene, la legge 16 aprile 1962 n.161 che istituì le Commissioni di revisione (censura) cinematografica, tutt'oggi in vigore: detta legge e l'attività frenetica della magistratura penale (che sequestrava i film aventi caratteri di oscenità) hanno costretto alcuni capolavori del cinema a subire autentici calvari. E Totò che visse due volte? Il film dei due registi siciliani Ciprì e Maresco, datato 1998, dovette affrontare un impervio percorso prima di approdare nelle sale, scatenando tra l'altro un putiferio a livello politico: ultimo film ad essere bocciato dalla commissione di revisione, liberato in appello, giudicato dalla giustizia amministrativa, sequestrato dalla magistratura penale per vilipendio alla religione di Stato.

Cinema e censura: un binomio costituzionalmente possibile? Il caso "Totò che visse due volte".

NEGRO, CARLO
2010/2011

Abstract

È giusto che l'arte debba sottostare a qualsivoglia limite? È giusto imporre al genio artistico delle regole entro cui contenere la propria libertà d'espressione? Ma soprattutto, è pensabile una definizione univoca di arte, attorno alla quale costruire un impianto normativo? Il nocciolo è proprio questo. La nostra Costituzione è rimasta vaga a tal proposito e non si può affermare che la giurisprudenza abbia mostrato nel corso degli anni un orientamento univoco e costante. Il sesto comma dell'art. 21 della Carta esplicita come limite alla libera manifestazione del pensiero il ¿buon costume¿, mentre all'art. 33 si legge che ¿l'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento¿. Primo problema: il limite del buon costume si applica all'arte? Una parte della dottrina risponde affermativamente essendo la creazione artistica una diretta conseguenza della manifestazione del pensiero del creatore; altri rispondono negativamente perché l'omissione del limite del buon costume nel testo dell'art. 33 porta l'arte ad essere considerata una materia privilegiata non soggetta a vincoli. Secondo problema: l'art. 529 c.p. afferma che si considerano ¿osceni¿ gli atti e gli oggetti che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore, ma precisa che l'opera d'arte non si può considerare oscena. Come si possono considerare i rapporti che legano arte-osceno-buon costume? Terzo problema: come si può definire il ¿comune sentimento¿ e il ¿pudore¿? Dal momento che sono questi i concetti che determinano l'ampiezza del buon costume, si è passati nel tempo da una nozione più allargata di stampo civilistico, che abbracciava il campo della moralità e dei boni mores, ad una nozione più ristretta di stampo penalistico, che fosse riferita esclusivamente al pudore sessuale: questo attraverso varie sentenze della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale. Per la tutela del buon costume, la Costituzione dispone altresì il compito per lo Stato di prevenire e reprimere eventuali offese. L'opera di prevenzione non fu intesa diversamente da un intervento di tipo censorio: il cinema, sin dalla sua nascita, si è dovuto difendere da leggi restrittive che hanno segnato una straordinaria continuità dall'epoca liberale a quella fascista fino all'esperienza repubblicana. Un sistema cumulativo di leggi e licenze rilasciate dall'autorità di pubblica sicurezza hanno stretto la maggior parte dei film in una terribile morsa. Qual è la normativa attuale? Ebbene, la legge 16 aprile 1962 n.161 che istituì le Commissioni di revisione (censura) cinematografica, tutt'oggi in vigore: detta legge e l'attività frenetica della magistratura penale (che sequestrava i film aventi caratteri di oscenità) hanno costretto alcuni capolavori del cinema a subire autentici calvari. E Totò che visse due volte? Il film dei due registi siciliani Ciprì e Maresco, datato 1998, dovette affrontare un impervio percorso prima di approdare nelle sale, scatenando tra l'altro un putiferio a livello politico: ultimo film ad essere bocciato dalla commissione di revisione, liberato in appello, giudicato dalla giustizia amministrativa, sequestrato dalla magistratura penale per vilipendio alla religione di Stato.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/19609