La "tutela delle minoranze¿ è una materia abbastanza giovane all'interno dell'ordinamento italiano. Negli ultimi anni, a partire dall'entrata in vigore del Testo Unico sull'intermediazione finanziaria (D.lgs. n. 58 del 1998), si è assistito ad un ampliamento e ad una rivisitazione degli istituti previsti dal legislatore per permettere l'intervento nelle società da parte anche delle minoranze azionarie. Se nel nostro paese la materia oggetto di studio è relativamente giovane rispetto alla tradizione plurisecolare del diritto commerciale, in altri paesi del mondo non è affatto materia nuova. A capo degli ordinamenti di common law, gli Stati Uniti sono considerati come i padri fondatori della disciplina di questo ambito del diritto commerciale. Dai recenti interventi del legislatore italiano pare che l'Italia stia cercando di adeguare il proprio sistema normativo a quello di ordinamenti più evoluti, anche se sorge spontaneamente il dubbio che lo stia facendo non in funzione di un reale interesse a rendere il proprio sistema societario più competitivo ed appetibile a categorie minoritarie di azionisti, ma solo in ottemperanza alle ovvie ed obbligate richieste dell'Unione Europea e ad un costume diffuso in tutti i paesi avanzati. Va considerato che le minoranze esistono da sempre, essendo connaturate con il sistema delle società quotate italiane, però da un lato costituiscono un gruppo molto esiguo nel totale delle compagini societarie italiane se pur raggruppate e rappresentate nella forma degli investitori istituzionali, dall'altro hanno subito nel corso dell'ultimo secolo una profonda trasformazione. Infatti, dalla originaria figura del singolo risparmiatore individuale, il quale oggi come in passato, in Italia, è figura molto rara e poco tutelata, soprattutto all'aumentare delle dimensioni delle società, il socio di minoranza in virtù delle recenti normative e riforme è riconosciuto e tutelato quale investitore istituzionale, ossia come intermediario del mercato mobiliare che raggruppa e raccoglie il risparmio dei piccoli risparmiatori per reinvestirlo in partecipazioni azionarie. Gli strumenti predisposti dal legislatore a tutela delle minoranze sono raggruppabili in due macrocategorie: da una parte l'eterotutela, dall'altra l'autotutela. A titolo esemplificativo i dispositivi dell'eterotutela scattano automaticamente, a prescindere dall'istanza dei soci di minoranza, in quanto connaturati al sistema delle regole di corporate governance; all'interno dell'autotutela invece si distinguono dispositivi di autotutela diretta, cioè azionati su autonoma iniziativa di minoranze qualificate o da singoli soci in relazione ad ogni singolo istituto, e dispositivi di autotutela delegata, cioè posti in essere dai medesimi ma per il tramite di figure intermedie. In conclusione, possiamo notare che la disciplina introdotta dal legislatore a tutela delle minoranze, se pur certamente mossa da nobili intenzioni di maggior protezione di categorie in genere poco tutelate e di miglioramento della competitività del sistema economico nel suo insieme, appare più come una ¿formalità¿ dovuta dal legislatore in funzione di obblighi imposti o di adeguamento ad altri ordinamenti, più che un reale tentativo di cambiamento. Questo è dimostrato dalla scarsa applicazione pratica che ha avuto tale disciplina.
LA TUTELA DELLE MINORANZE NELLE SOCIETA' PER AZIONI QUOTATE
BOLLO, GIULIA
2010/2011
Abstract
La "tutela delle minoranze¿ è una materia abbastanza giovane all'interno dell'ordinamento italiano. Negli ultimi anni, a partire dall'entrata in vigore del Testo Unico sull'intermediazione finanziaria (D.lgs. n. 58 del 1998), si è assistito ad un ampliamento e ad una rivisitazione degli istituti previsti dal legislatore per permettere l'intervento nelle società da parte anche delle minoranze azionarie. Se nel nostro paese la materia oggetto di studio è relativamente giovane rispetto alla tradizione plurisecolare del diritto commerciale, in altri paesi del mondo non è affatto materia nuova. A capo degli ordinamenti di common law, gli Stati Uniti sono considerati come i padri fondatori della disciplina di questo ambito del diritto commerciale. Dai recenti interventi del legislatore italiano pare che l'Italia stia cercando di adeguare il proprio sistema normativo a quello di ordinamenti più evoluti, anche se sorge spontaneamente il dubbio che lo stia facendo non in funzione di un reale interesse a rendere il proprio sistema societario più competitivo ed appetibile a categorie minoritarie di azionisti, ma solo in ottemperanza alle ovvie ed obbligate richieste dell'Unione Europea e ad un costume diffuso in tutti i paesi avanzati. Va considerato che le minoranze esistono da sempre, essendo connaturate con il sistema delle società quotate italiane, però da un lato costituiscono un gruppo molto esiguo nel totale delle compagini societarie italiane se pur raggruppate e rappresentate nella forma degli investitori istituzionali, dall'altro hanno subito nel corso dell'ultimo secolo una profonda trasformazione. Infatti, dalla originaria figura del singolo risparmiatore individuale, il quale oggi come in passato, in Italia, è figura molto rara e poco tutelata, soprattutto all'aumentare delle dimensioni delle società, il socio di minoranza in virtù delle recenti normative e riforme è riconosciuto e tutelato quale investitore istituzionale, ossia come intermediario del mercato mobiliare che raggruppa e raccoglie il risparmio dei piccoli risparmiatori per reinvestirlo in partecipazioni azionarie. Gli strumenti predisposti dal legislatore a tutela delle minoranze sono raggruppabili in due macrocategorie: da una parte l'eterotutela, dall'altra l'autotutela. A titolo esemplificativo i dispositivi dell'eterotutela scattano automaticamente, a prescindere dall'istanza dei soci di minoranza, in quanto connaturati al sistema delle regole di corporate governance; all'interno dell'autotutela invece si distinguono dispositivi di autotutela diretta, cioè azionati su autonoma iniziativa di minoranze qualificate o da singoli soci in relazione ad ogni singolo istituto, e dispositivi di autotutela delegata, cioè posti in essere dai medesimi ma per il tramite di figure intermedie. In conclusione, possiamo notare che la disciplina introdotta dal legislatore a tutela delle minoranze, se pur certamente mossa da nobili intenzioni di maggior protezione di categorie in genere poco tutelate e di miglioramento della competitività del sistema economico nel suo insieme, appare più come una ¿formalità¿ dovuta dal legislatore in funzione di obblighi imposti o di adeguamento ad altri ordinamenti, più che un reale tentativo di cambiamento. Questo è dimostrato dalla scarsa applicazione pratica che ha avuto tale disciplina.File | Dimensione | Formato | |
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