Questo lavoro ricostruisce un problema di gnoseologia dell'età moderna: la distinzione tra qualità primarie e qualità secondarie in Galileo Galilei, René Descartes, Robert Boyle, John Locke e George Berkeley. Si immagini una rosa: emanerà una delicata fragranza, i suoi petali saranno di un rosso intenso, avrà un'estensione, una figura e così via. Quest'ultime, l'estensione e la figura, sono qualità primarie: sono proprietà assolutamente inseparabili dai corpi; gli odori, i colori, i suoni invece sono qualità secondarie: sono proprietà che non esistono realmente nei corpi, ma dipendono esclusivamente dalla percezione di un soggetto. Le prime sono ritenute essere proprietà oggettive dei corpi per due motivi: 1) esse sussistono indipendentemente dalla presenza di un soggetto percipiente; 2) non variano da soggetto a soggetto, in altri termini non sono relative. Le seconde, invece, per esistere necessitano di un soggetto che le percepisca, inoltre non producono le medesime sensazioni in ogni soggetto. Questa distinzione è di vitale importanza e per la gnoseologia e per la nuova scienza: dal punto di vista strettamente filosofico è necessario distinguere ciò che può essere conosciuto con certezza, da ciò che può essere conosciuto con un minor grado di certezza; dal punto di vista scientifico è indispensabile identificare quali possano essere gli oggetti di scienza misurabili, abbandonando così la fisica qualitativa di Aristotele, per ricercare il volto oggettivo, e traducibile con i numeri della matematica, della natura. Questa distinzione, presente in molti filosofi del Seicento, è stata introdotta nel dibattito gnoseologico-scientifico da Galilei con Il Saggiatore e canonizzata da John Locke (1632-1704) con il Saggio sull'intelletto umano. Berkeley invece ha criticato il fondamento di questa distinzione: muovendo da un presupposto radicalmente empirista (esse est percipi) - per giungere alla fondazione dell'immaterialismo - ha sostenuto che esistono solo qualità secondarie, poiché anche le qualità primarie esistono solo se percepite proprio come le secondarie. La natura non esiste indipendentemente dalla percezione del soggetto: la scrivania e le sue qualità esistono solo se percepite. Così facendo Berkeley, nei primi anni del Settecento, ha incrinato il pilastro teoretico più importante della nuova scienza quantitativa, costruito con fatica dalle migliori menti dell'Europa del Seicento. La letteratura secondaria in lingua italiana su questo problema è esigua e questo contribuisce all'orginalità del lavoro. La tesi analizza in dettaglio le opere degli autori che maggiormente hanno contribuito alla definzione della distinzione delle qualità in primarie e secondarie; essi sono affrontati nella loro successione cronologica ponendo in luce le analogie e le differenze, ma senza dimenticare il contesto generale nel quale erano immersi e dal quale sono stati influenzati.
QUALITA' PRIMARIE E SECONDARIE NELLA FILOSOFIA MODERNA
BONIFACIO, MATTEO
2010/2011
Abstract
Questo lavoro ricostruisce un problema di gnoseologia dell'età moderna: la distinzione tra qualità primarie e qualità secondarie in Galileo Galilei, René Descartes, Robert Boyle, John Locke e George Berkeley. Si immagini una rosa: emanerà una delicata fragranza, i suoi petali saranno di un rosso intenso, avrà un'estensione, una figura e così via. Quest'ultime, l'estensione e la figura, sono qualità primarie: sono proprietà assolutamente inseparabili dai corpi; gli odori, i colori, i suoni invece sono qualità secondarie: sono proprietà che non esistono realmente nei corpi, ma dipendono esclusivamente dalla percezione di un soggetto. Le prime sono ritenute essere proprietà oggettive dei corpi per due motivi: 1) esse sussistono indipendentemente dalla presenza di un soggetto percipiente; 2) non variano da soggetto a soggetto, in altri termini non sono relative. Le seconde, invece, per esistere necessitano di un soggetto che le percepisca, inoltre non producono le medesime sensazioni in ogni soggetto. Questa distinzione è di vitale importanza e per la gnoseologia e per la nuova scienza: dal punto di vista strettamente filosofico è necessario distinguere ciò che può essere conosciuto con certezza, da ciò che può essere conosciuto con un minor grado di certezza; dal punto di vista scientifico è indispensabile identificare quali possano essere gli oggetti di scienza misurabili, abbandonando così la fisica qualitativa di Aristotele, per ricercare il volto oggettivo, e traducibile con i numeri della matematica, della natura. Questa distinzione, presente in molti filosofi del Seicento, è stata introdotta nel dibattito gnoseologico-scientifico da Galilei con Il Saggiatore e canonizzata da John Locke (1632-1704) con il Saggio sull'intelletto umano. Berkeley invece ha criticato il fondamento di questa distinzione: muovendo da un presupposto radicalmente empirista (esse est percipi) - per giungere alla fondazione dell'immaterialismo - ha sostenuto che esistono solo qualità secondarie, poiché anche le qualità primarie esistono solo se percepite proprio come le secondarie. La natura non esiste indipendentemente dalla percezione del soggetto: la scrivania e le sue qualità esistono solo se percepite. Così facendo Berkeley, nei primi anni del Settecento, ha incrinato il pilastro teoretico più importante della nuova scienza quantitativa, costruito con fatica dalle migliori menti dell'Europa del Seicento. La letteratura secondaria in lingua italiana su questo problema è esigua e questo contribuisce all'orginalità del lavoro. La tesi analizza in dettaglio le opere degli autori che maggiormente hanno contribuito alla definzione della distinzione delle qualità in primarie e secondarie; essi sono affrontati nella loro successione cronologica ponendo in luce le analogie e le differenze, ma senza dimenticare il contesto generale nel quale erano immersi e dal quale sono stati influenzati.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/18383