L'uomo, come del resto noi tutti sappiamo, è immerso nella storia: vive il presente, ricorda il passato, immagina il futuro. Ben presto egli si accorse dello scorrere del tempo e si può ragionevolmente ipotizzare che la sua cultura, nel senso più ampio che il termine assume, e l'intera storia delle sue istituzioni siano da sempre state un tentativo di correre ai ripari dal tempo: per orientarsi, per comprendersi, per rassicurarsi, ecc., in una parola, per sentirsi a casa propria. Ma come stanno le cose riguardo agli animali? Percepiscono lo scorrere del tempo? E soprattutto, soffrono anch'essi a causa della transitorietà dell'esistenza, come l'uomo, afflitti dai ricordi del passato e preoccupati per le incognite del futuro? Essi crescono, invecchiano, si ammalano, soffrono, muoiono¿ esattamente come noi. Ma percepiscono questo crescere, questo invecchiare, questo soffrire e morire? Cosa sanno della caducità dell'esistenza? Ed entro quale misura si rapportano a quella che, in una parola, potremmo chiamare la finitezza? ¿ Una questione difficile e immensa: per portata e per le implicazioni che investe. La presente trattazione, mediante la quale, appunto, sulla scia di quanto detto da J. Derrida in L'animale che dunque sono, si cerca di affrontare un discorso sulla finitezza ¿animale¿, prenderà le mosse dalla seconda Inattuale di F. Nietzsche: Sull'utilità e il danno della storia per la vita (capitolo I); procederà attraverso un rapido esame dei passi che M. Heidegger ha scritto sugli animali e la loro essenza (capitolo II); per poi chiudersi con Derrida e L'animale che dunque sono (capitolo III), opera tramite cui a mio avviso ¿ attraverso una paziente decostruzione dei margini che delimitano l'ambito dell'uomo, l'Uomo con la «U» maiuscola, una vera e propria «limitrofia», ¿ egli ha saputo reimpostare la questione cosiddetta «animale», aprendo nuove vie per lo sviluppo del problema, dunque preparando il terreno per riflessioni ancora da venire.
Gli animali e il tempo. Sulle tracce della finitezza animale a partire da L'animal que donc je suis di J. Derrida.
DADONE, ELIA
2010/2011
Abstract
L'uomo, come del resto noi tutti sappiamo, è immerso nella storia: vive il presente, ricorda il passato, immagina il futuro. Ben presto egli si accorse dello scorrere del tempo e si può ragionevolmente ipotizzare che la sua cultura, nel senso più ampio che il termine assume, e l'intera storia delle sue istituzioni siano da sempre state un tentativo di correre ai ripari dal tempo: per orientarsi, per comprendersi, per rassicurarsi, ecc., in una parola, per sentirsi a casa propria. Ma come stanno le cose riguardo agli animali? Percepiscono lo scorrere del tempo? E soprattutto, soffrono anch'essi a causa della transitorietà dell'esistenza, come l'uomo, afflitti dai ricordi del passato e preoccupati per le incognite del futuro? Essi crescono, invecchiano, si ammalano, soffrono, muoiono¿ esattamente come noi. Ma percepiscono questo crescere, questo invecchiare, questo soffrire e morire? Cosa sanno della caducità dell'esistenza? Ed entro quale misura si rapportano a quella che, in una parola, potremmo chiamare la finitezza? ¿ Una questione difficile e immensa: per portata e per le implicazioni che investe. La presente trattazione, mediante la quale, appunto, sulla scia di quanto detto da J. Derrida in L'animale che dunque sono, si cerca di affrontare un discorso sulla finitezza ¿animale¿, prenderà le mosse dalla seconda Inattuale di F. Nietzsche: Sull'utilità e il danno della storia per la vita (capitolo I); procederà attraverso un rapido esame dei passi che M. Heidegger ha scritto sugli animali e la loro essenza (capitolo II); per poi chiudersi con Derrida e L'animale che dunque sono (capitolo III), opera tramite cui a mio avviso ¿ attraverso una paziente decostruzione dei margini che delimitano l'ambito dell'uomo, l'Uomo con la «U» maiuscola, una vera e propria «limitrofia», ¿ egli ha saputo reimpostare la questione cosiddetta «animale», aprendo nuove vie per lo sviluppo del problema, dunque preparando il terreno per riflessioni ancora da venire.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/18349