La scintilla da cui si sviluppa la mia dissertazione nasce dal fatto che, come educatrice, ho sentito l' esigenza di dare un senso a quello che è il mio lavoro, documentandomi sui significati dei termini e, contemporaneamente riferendomi alle realtà operative. Partendo dalla conclusione che ho tratto nella sperimentazione del progetto ¿PotenziaMente¿, ha preso corpo l' esigenza di approfondire le mie conoscenze, sia teoriche che pratiche, sul potenziamento cognitivo e motivazionale, sulla metacognizione e sulla resilienza. Quest'esperienza ha sottolineato una volta di più quella che è la potenzialità di tale sistema educativo, andando a stimolare e coinvolgere maggiormente i due utenti nell'apprendimento e nella capacità della risoluzione dei problemi che il software proponeva. La capacità di connettere la teoria con la realtà operativa, è una delle principali meta-competenze che dovrebbe possedere un educatore. L' idea di sperimentare in prima persona questa connessione, il sapere, (inteso come la capacità di analisi e riflessione), il sapere fare (agendo in modo strategico) ed il saper essere (avendo una buona conoscenza di sé, dei propri limiti e capacità), ha fatto da sfondo durante l' ideazione e la realizzazione della presente tesi. L' esperienza che ho cercato di descrivere in questo mio lavoro, non è stata per me un semplice percorso di studi, ne tanto meno la composizione di una tesi di laurea, ma l' inizio di un percorso nuovo, diverso, da intraprendere con i ragazzi a cui mi affiancherò. Sarò sicuramente attiva nel proporre questo progetto nelle scuole, nei doposcuola, ed a tutti coloro che preferiscono andare oltre e che cercano una via alternativa a quelle storicamente perseguite, anche perché ¿se un albero nasce con le radici storte, è difficile raddrizzarlo¿. L'educatore deve guardare all'altro con rispetto, cercando di comprendere i suoi vissuti, il suo modo di rappresentarsi, ciò che per lui costituisce ¿problema¿. Spesso fare ciò non è semplice e si rischia di non riuscire ad uscire dalle proprie conoscenze e dai propri pregiudizi. È difficile essere empatici cercando, però, di non varcare la soglia, ossia non facendosi propri i problemi degli altri. Se l'altro si vede rispecchiare nei nostri ¿occhi¿ i suoi problemi, non riuscirà mai ad affrontarli, e noi non saremo più un sostegno, ma diventeremo un ostacolo. Il soggetto deve essere consapevole che l'educatore, non può risolvere i suoi problemi, ma aiutarlo nella ricerca di possibili miglioramenti o soluzioni. ¿Vedo l'avviarsi di progettazioni sociali come un ricercare attorno a problemi che sono in qualche modo avvertiti, ritrovare attorno ad essi alcuni interlocutori e con loro fare un percorso di rilettura che possa far emergere degli orientamenti valoriali; credo che da lì possa nascere la fiducia in noi. E una cosa che ci costruiamo sul campo; non è data né da appartenenze precostituite né da leggi. Un ¿noi¿ che, partendo da una condivisione anche molto parziale e non troppo convinta intorno ad alcuni problemi, prima di tutto renda possibile un impegno e un investimento nel riconoscerli e nell'individuare gli orientamenti valoriali che ci guidano nel definire e nel prescrivere o proporre ipotesi di azione. Se si fa questo percorso insieme, aggregandosi con soggetti diversi, individui e gruppi, con diverse collocazioni e diverse competenze, ci si costruisce una sorta di piattaforma che diventa fiducia costruita sul campo. Si genera cosi una padronanza dei contenuti dei problemi e della loro complessità.¿ La creazione di una piattaforma comune, è un po' l'obiettivo della maggior parte degli educatori, in modo da potersi aggrappare ogni volta in cui ci si trova di fronte ad un ¿caso¿ complicato, ogni volta che siamo presi dallo sconforto, ogni volta in cui la sofferenza ci compare davanti agli occhi, ogni volta che ci si avverte anche solo, semplicemente, il bisogno di avere qualcuno pronto ad ascoltarci.
APPRENDIMENTO COGNITIVO ATTRAVERSO I VIDEOGIOCHI..."RENASCER DAS CINZAS PARA CONTINUAR A VOAR"
GIRAUDO, MARIA ELENA
2010/2011
Abstract
La scintilla da cui si sviluppa la mia dissertazione nasce dal fatto che, come educatrice, ho sentito l' esigenza di dare un senso a quello che è il mio lavoro, documentandomi sui significati dei termini e, contemporaneamente riferendomi alle realtà operative. Partendo dalla conclusione che ho tratto nella sperimentazione del progetto ¿PotenziaMente¿, ha preso corpo l' esigenza di approfondire le mie conoscenze, sia teoriche che pratiche, sul potenziamento cognitivo e motivazionale, sulla metacognizione e sulla resilienza. Quest'esperienza ha sottolineato una volta di più quella che è la potenzialità di tale sistema educativo, andando a stimolare e coinvolgere maggiormente i due utenti nell'apprendimento e nella capacità della risoluzione dei problemi che il software proponeva. La capacità di connettere la teoria con la realtà operativa, è una delle principali meta-competenze che dovrebbe possedere un educatore. L' idea di sperimentare in prima persona questa connessione, il sapere, (inteso come la capacità di analisi e riflessione), il sapere fare (agendo in modo strategico) ed il saper essere (avendo una buona conoscenza di sé, dei propri limiti e capacità), ha fatto da sfondo durante l' ideazione e la realizzazione della presente tesi. L' esperienza che ho cercato di descrivere in questo mio lavoro, non è stata per me un semplice percorso di studi, ne tanto meno la composizione di una tesi di laurea, ma l' inizio di un percorso nuovo, diverso, da intraprendere con i ragazzi a cui mi affiancherò. Sarò sicuramente attiva nel proporre questo progetto nelle scuole, nei doposcuola, ed a tutti coloro che preferiscono andare oltre e che cercano una via alternativa a quelle storicamente perseguite, anche perché ¿se un albero nasce con le radici storte, è difficile raddrizzarlo¿. L'educatore deve guardare all'altro con rispetto, cercando di comprendere i suoi vissuti, il suo modo di rappresentarsi, ciò che per lui costituisce ¿problema¿. Spesso fare ciò non è semplice e si rischia di non riuscire ad uscire dalle proprie conoscenze e dai propri pregiudizi. È difficile essere empatici cercando, però, di non varcare la soglia, ossia non facendosi propri i problemi degli altri. Se l'altro si vede rispecchiare nei nostri ¿occhi¿ i suoi problemi, non riuscirà mai ad affrontarli, e noi non saremo più un sostegno, ma diventeremo un ostacolo. Il soggetto deve essere consapevole che l'educatore, non può risolvere i suoi problemi, ma aiutarlo nella ricerca di possibili miglioramenti o soluzioni. ¿Vedo l'avviarsi di progettazioni sociali come un ricercare attorno a problemi che sono in qualche modo avvertiti, ritrovare attorno ad essi alcuni interlocutori e con loro fare un percorso di rilettura che possa far emergere degli orientamenti valoriali; credo che da lì possa nascere la fiducia in noi. E una cosa che ci costruiamo sul campo; non è data né da appartenenze precostituite né da leggi. Un ¿noi¿ che, partendo da una condivisione anche molto parziale e non troppo convinta intorno ad alcuni problemi, prima di tutto renda possibile un impegno e un investimento nel riconoscerli e nell'individuare gli orientamenti valoriali che ci guidano nel definire e nel prescrivere o proporre ipotesi di azione. Se si fa questo percorso insieme, aggregandosi con soggetti diversi, individui e gruppi, con diverse collocazioni e diverse competenze, ci si costruisce una sorta di piattaforma che diventa fiducia costruita sul campo. Si genera cosi una padronanza dei contenuti dei problemi e della loro complessità.¿ La creazione di una piattaforma comune, è un po' l'obiettivo della maggior parte degli educatori, in modo da potersi aggrappare ogni volta in cui ci si trova di fronte ad un ¿caso¿ complicato, ogni volta che siamo presi dallo sconforto, ogni volta in cui la sofferenza ci compare davanti agli occhi, ogni volta che ci si avverte anche solo, semplicemente, il bisogno di avere qualcuno pronto ad ascoltarci.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/18313