La filosofia di Wittgenstein, per tutta la sua vita, non ebbe uno svolgimento lineare ma dalla sua prima formulazione, subì molti cambiamenti e molte modifiche. Il punto di vista del Tractatus venne cambiato e completamente abbandonato dopo molti tentativi di cogliere il vero modo di funzionare del linguaggio fino ad approdare alla teoria dei giochi linguistici. Il linguaggio che inizialmente era stato pensato come immagine del mondo e sul quale si era creata un teoria del linguaggio (nella quale venne racchiusa tutta l¿essenza della proposizione), finì per essere stravolto e ripensato come linguaggio pubblico. Durante il passaggio da una concezione all¿altra Wittgenstein prese in considerazione il linguaggio fenomenologico il quale da una parte aveva introdotto l¿elemento della verifica come un momento dell¿esperienza presente, senza possibilità di aggiunte ipotetiche, cioè un momento che si svolgeva nell¿immediatezza e sui dati di senso che l¿esperienza coglieva istantaneamente, e dall¿altra riprendeva il discorso solipsistico che Wittgenstein aveva già introdotto nella sua prima opera, secondo la quale ¿I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo¿. Ovviamente, il discorso solipsistico segue direttamente dal carattere fenomenologico del linguaggio, ovvero dall¿elemento dell¿immediatezza della propria esperienza, un¿esperienza svolta soltanto nella propria soggettività e quindi scevra di ogni convenzione sociale e di sistemi di regole che governino i significati delle proprie attività linguistiche. Tutto ciò che riguardava la fenomenologia venne presto abbandonato dal momento che questa indagine avrebbe presto richiesto la difesa di due assunti principali: l¿assenza di una connessione tra linguaggio e realtà e la conoscenza di fatti originari alla comprensione. Ciò di cui Wittgenstein si accorse è che non potevano essere sostenibili nessuno dei due argomenti: dal primo si poneva la domanda sul come poteva essere compresa una proposizione e come essa poteva essere comunicata se ciò che affermava doveva trovarsi in una posizione fuori dal mondo, quindi in una posizione che non garantiva termini di confronto con ciò che si asseriva. Dal secondo invece sorgeva il problema che ciò che si conosceva non doveva essere qualcosa di extra linguistico, un fenomeno originario e quindi nascosto e travestito dal mondo quotidiano, ma qualcosa che doveva essere già noto, che doveva essere così com¿era. Non si dovevano ricercare fatti nascosti, ma si dovevano guardare le cose che erano sotto gli occhi. È qui che fa la sua entrata l¿idea che in realtà il linguaggio non sia qualcosa che si forma da sé, ma che sia un¿attività praticata da una comunità di parlanti. La tesi dell¿esistenza di un linguaggio pubblico dava appunto sostegno all¿idea che il comprendere un linguaggio fosse il comprendere una prassi governata da regole socialmente condivise, la quale era a sua volta sostenuta dalla tesi secondo cui il significato di una parola è il suo uso all¿interno di un contesto pubblico. Il contesto pubblico in cui vive il linguaggio sarebbe quindi stato quell¿elemento della ricerca filosofica che dava significato alle asserzioni linguistiche per il fatto che il linguaggio, essendo stato definito come ¿linguaggio pubblico¿, non poteva svolgersi, verificarsi, garantirsi e prodursi da sé, ma necessitava di un contesto sociale in cui evolversi e agire.

Wittgenstein, dal linguaggio fenomenologico al linguaggio pubblico

DEGASPERI, ELEONORA ANNA
2009/2010

Abstract

La filosofia di Wittgenstein, per tutta la sua vita, non ebbe uno svolgimento lineare ma dalla sua prima formulazione, subì molti cambiamenti e molte modifiche. Il punto di vista del Tractatus venne cambiato e completamente abbandonato dopo molti tentativi di cogliere il vero modo di funzionare del linguaggio fino ad approdare alla teoria dei giochi linguistici. Il linguaggio che inizialmente era stato pensato come immagine del mondo e sul quale si era creata un teoria del linguaggio (nella quale venne racchiusa tutta l¿essenza della proposizione), finì per essere stravolto e ripensato come linguaggio pubblico. Durante il passaggio da una concezione all¿altra Wittgenstein prese in considerazione il linguaggio fenomenologico il quale da una parte aveva introdotto l¿elemento della verifica come un momento dell¿esperienza presente, senza possibilità di aggiunte ipotetiche, cioè un momento che si svolgeva nell¿immediatezza e sui dati di senso che l¿esperienza coglieva istantaneamente, e dall¿altra riprendeva il discorso solipsistico che Wittgenstein aveva già introdotto nella sua prima opera, secondo la quale ¿I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo¿. Ovviamente, il discorso solipsistico segue direttamente dal carattere fenomenologico del linguaggio, ovvero dall¿elemento dell¿immediatezza della propria esperienza, un¿esperienza svolta soltanto nella propria soggettività e quindi scevra di ogni convenzione sociale e di sistemi di regole che governino i significati delle proprie attività linguistiche. Tutto ciò che riguardava la fenomenologia venne presto abbandonato dal momento che questa indagine avrebbe presto richiesto la difesa di due assunti principali: l¿assenza di una connessione tra linguaggio e realtà e la conoscenza di fatti originari alla comprensione. Ciò di cui Wittgenstein si accorse è che non potevano essere sostenibili nessuno dei due argomenti: dal primo si poneva la domanda sul come poteva essere compresa una proposizione e come essa poteva essere comunicata se ciò che affermava doveva trovarsi in una posizione fuori dal mondo, quindi in una posizione che non garantiva termini di confronto con ciò che si asseriva. Dal secondo invece sorgeva il problema che ciò che si conosceva non doveva essere qualcosa di extra linguistico, un fenomeno originario e quindi nascosto e travestito dal mondo quotidiano, ma qualcosa che doveva essere già noto, che doveva essere così com¿era. Non si dovevano ricercare fatti nascosti, ma si dovevano guardare le cose che erano sotto gli occhi. È qui che fa la sua entrata l¿idea che in realtà il linguaggio non sia qualcosa che si forma da sé, ma che sia un¿attività praticata da una comunità di parlanti. La tesi dell¿esistenza di un linguaggio pubblico dava appunto sostegno all¿idea che il comprendere un linguaggio fosse il comprendere una prassi governata da regole socialmente condivise, la quale era a sua volta sostenuta dalla tesi secondo cui il significato di una parola è il suo uso all¿interno di un contesto pubblico. Il contesto pubblico in cui vive il linguaggio sarebbe quindi stato quell¿elemento della ricerca filosofica che dava significato alle asserzioni linguistiche per il fatto che il linguaggio, essendo stato definito come ¿linguaggio pubblico¿, non poteva svolgersi, verificarsi, garantirsi e prodursi da sé, ma necessitava di un contesto sociale in cui evolversi e agire.
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