Nel 1970, dopo circa quindici anni di attività teatrale, il regista polacco Jerzy Grotowski decise di abbandonare il lavoro legato alla produzione di spettacoli e di approfondire la ricerca sull'attore - ora inteso sempre più come semplice individuo - su un terreno nuovo, in cui l'arte diventava pienamente quello che sempre per lui aveva aspirato essere: il punto di partenza, il ¿veicolo¿ di una crescita umana. Il tentativo fondamentale era quello di creare un luogo in cui fosse possibile sperimentare un modo di essere più sincero, pieno e privo di difese, una relazione pura e non mediata con gli altri esseri umani, e, soprattutto, una dimensione di vita in cui fosse presente «una sorta di assialità, di asse: un'altra dimensione più alta che ci oltrepassa». Gli assunti di base del pensiero del regista riguardavano la scissione di mente e corpo, l'impossibilità, nella civiltà occidentale, di essere pienamente sinceri e presenti a sé stessi, e la difficoltà di una convivenza tra gli uomini davvero sincera, diretta e pura. Molte delle idee di Grotowski, in maniera consapevole o meno, sono alla base di altre esperienze contemporanee. Questa tesi prova a illustrarne tre: il lavoro teatrale e pedagogico del regista torinese Gabriele Vacis, in cui queste idee divengono, in un modo assolutamente personale, la base per un metodo recitativo; la teoria e la pratica psicanalitica di Wilhelm Reich e Alexander Lowen, che tentano di curare la «paura di vivere pienamente» che si struttura nel corpo stesso dei loro pazienti sotto forma di blocchi e somatizzazioni; e l'originale ricerca del gruppo italiano Laboratorio365, che, percorrendo un territorio molto vicino a quello delle sperimentazioni ¿parateatrali¿ di Grotowski, ha inventato un nuovo modo di lavorare con le persone e la comunità, fondato su una pratica in cui esercizi corporei e riflessioni etiche vanno perennemente di pari passo. Ognuna di queste realtà condivide la stessa prospettiva: se non si parte dall'accettazione di sé e dei propri limiti, dalla riconquista di una compresenza negli uomini di mente e corpo e da un'autentica capacità d'ascolto del prossimo e dell'esistente in generale, nessuna creazione artistica e nessun reale progresso umano è possibile.
PRATICA DELL'ASCOLTO. Il Lavoro di Jerzy Grotowski come metodo, come terapia, come veicolo
d'AMORE, FRANCESCO
2010/2011
Abstract
Nel 1970, dopo circa quindici anni di attività teatrale, il regista polacco Jerzy Grotowski decise di abbandonare il lavoro legato alla produzione di spettacoli e di approfondire la ricerca sull'attore - ora inteso sempre più come semplice individuo - su un terreno nuovo, in cui l'arte diventava pienamente quello che sempre per lui aveva aspirato essere: il punto di partenza, il ¿veicolo¿ di una crescita umana. Il tentativo fondamentale era quello di creare un luogo in cui fosse possibile sperimentare un modo di essere più sincero, pieno e privo di difese, una relazione pura e non mediata con gli altri esseri umani, e, soprattutto, una dimensione di vita in cui fosse presente «una sorta di assialità, di asse: un'altra dimensione più alta che ci oltrepassa». Gli assunti di base del pensiero del regista riguardavano la scissione di mente e corpo, l'impossibilità, nella civiltà occidentale, di essere pienamente sinceri e presenti a sé stessi, e la difficoltà di una convivenza tra gli uomini davvero sincera, diretta e pura. Molte delle idee di Grotowski, in maniera consapevole o meno, sono alla base di altre esperienze contemporanee. Questa tesi prova a illustrarne tre: il lavoro teatrale e pedagogico del regista torinese Gabriele Vacis, in cui queste idee divengono, in un modo assolutamente personale, la base per un metodo recitativo; la teoria e la pratica psicanalitica di Wilhelm Reich e Alexander Lowen, che tentano di curare la «paura di vivere pienamente» che si struttura nel corpo stesso dei loro pazienti sotto forma di blocchi e somatizzazioni; e l'originale ricerca del gruppo italiano Laboratorio365, che, percorrendo un territorio molto vicino a quello delle sperimentazioni ¿parateatrali¿ di Grotowski, ha inventato un nuovo modo di lavorare con le persone e la comunità, fondato su una pratica in cui esercizi corporei e riflessioni etiche vanno perennemente di pari passo. Ognuna di queste realtà condivide la stessa prospettiva: se non si parte dall'accettazione di sé e dei propri limiti, dalla riconquista di una compresenza negli uomini di mente e corpo e da un'autentica capacità d'ascolto del prossimo e dell'esistente in generale, nessuna creazione artistica e nessun reale progresso umano è possibile.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/16880